Giurisprudenza e Prassi

APPALTO DI SERVIZI - CLAUSOLA MONTE ORE MINIMO INDEROGABILE - AMMESSA E LEGITTIMA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2020

A mezzo del contratto stipulato con l’aggiudicatario, l’amministrazione persegue lo scopo istituzionale, espresso dal quadro esigenziale sotteso alla determinazione a contrarre, che giustifica il correlato impegno economico sul bilancio pubblico e corrisponde all’illustrazione puntuale dell’oggetto della gara nella lex specialis.

In tema, va anzitutto considerato in via generale che le disposizioni legislative sulla formazione del contratto pubblico sono speciali rispetto a quelle del tipo di contratto d’appalto indicato dal Codice civile, e fonte primaria pariordinata a quello. Né esiste nell’ordinamento vigente alcuna regola o principio per cui vi possano essere subordinate. Sicché vale a risolvere ogni eventuale antinomia tra le due fonti sia il criterio della legge posteriore, sia comunque il criterio della specialità.

Il contenuto dell’offerta definito dalla lex specialis corrisponde infatti all’utilità che l’amministrazione intende acquisire mediante la procedura, ferme ulteriori utilità da elementi dell’offerta che il bando non precostituisce e rimette alle scelte organizzative dell’operatore economico che partecipa alla gara, e che concorrono, nella misura in cui si innestano sul livello delle componenti necessarie dell’offerta, al raggiungimento di un livello di qualità da poi comparare con le parallele offerte e graduare al fine della selezione del miglior contraente.

La presenza di uno specifico quadro esigenziale, quello riflesso nella lex specialis, è del resto presupposto immanente a qualsiasi gara pubblica, la cui causa consiste nell’approvvigionare, mediante il più conveniente dei possibili contratti, la pubblica amministrazione delle opere, dei beni o dei servizi di cui effettivamente necessita nell’interesse generale, non nel mero mettere a disposizione delle imprese interessate un’occasione ordinaria di lavoro da modulare sulle loro preferenze organizzative. In questo contesto normativo e funzionale, da sempre è considerato naturale che l’autonomia dell’appaltatore pubblico sia meno ampia rispetto all’appalto di diritto comune (Cass., 10 luglio 1984, n. 4050; III, 9 febbraio 1991, n. 1346; I, 25 febbraio 1993, n. 2328; III, 9 dicembre 1997, n. 12449; 31 luglio 2002, n. 11356; I, 2 luglio 2010, n. 15784).

In altri termini, le caratteristiche essenziali e stimate indefettibili (ossia i requisiti minimi) delle prestazioni o del bene, definite dal bando, costituiscono una legittima condizione di partecipazione alla procedura: logica del resto vuole che il contratto vada aggiudicato a un concorrente che sia in grado di assicurare il minimo prestabilito che corrisponde all’essenza della res richiesta. E la significatività della regola è dimostrata anche dal fatto che essa vale anche se la lex specialis non commini espressamente l’esclusione per l’offerta che abbia caratteristiche difformi da quelle richieste. Ciò perché una tale difformità comunque concretizza un aliud pro alio che comporta, di per sé, l’esclusione dalla gara, anche in mancanza di un’apposita comminatoria (di recente, Cons. Stato, V, 25 ottobre 2019, n. 5260; 20 dicembre 2018, n. 7191; III, 3 agosto 2018, n. 4809; 26 gennaio 2018 , n. 565; sul punto, anche Cons. Stato, V, 5 maggio 2016, n. 1818; 28 giugno 2011, n. 3877). L’assoggettamento delle offerte per il servizio di pulizia in questione alla previsione inderogabile di un numero minimo obbligatorio di ore di lavoro concorre a definire la specifica obbligazione che, per l’Amministrazione che ha bandito la gara, l’appaltatore deve comunque mostrare di saper soddisfare.

Ciò fermo, va specificato che la correlata previsione nella lex specialis, comunque, non contrasta con l’art. 1655 Cod. civ., perché esprime le concrete esigenze contrattuali del committente. Nulla dunque consente di affermare che la sua apposizione nel bando non sia compatibile con il modello generale del contratto di appalto di cui all’art. 1655 Cod. civ.. L’imprenditore che non ravvisi in quelle clausole – che traducono motivi del contrarre della pubblica amministrazione – la convenienza alla sua organizzazione non è tenuto a presentare offerta e nulla può lamentare al riguardo, salvo impugnarle in giustizia ove irragionevoli, ingiustificate o sproporzionate. Il che certamente sarebbe – va già qui anticipato – se esse intaccassero la sua connotazione imprenditoriale (art. 2082 Cod. civ.), ma non se solo contrastino con suoi individuali criteri organizzativi dei fattori della produzione.

Va piuttosto verificato se la clausola contestata, che esprime la valutazione dell’amministrazione nel tracciare le regole (tecniche e tecnico-giuridiche) della procedura di evidenza pubblica, risponda a proporzionalità e adeguatezza, tenendo conto della tipologia e dell’oggetto della prestazione per la quale è gara: è questo il tema su cui si incentra la seconda linea argomentativa del mezzo in esame, che però, come meglio in seguito, è infondata.

La giurisprudenza ha così enucleato gli elementi utili a distinguere la somministrazione di lavoro da altre fattispecie: a) la richiesta da parte del committente di un certo numero di ore di lavoro; b) l’inserimento stabile del personale dell’appaltatore nel ciclo produttivo del committente; c) l’identità dell’attività svolta dal personale dell’appaltatore rispetto a quella svolta dai dipendenti del committente; d) la proprietà in capo al committente delle attrezzature necessarie per l’espletamento delle attività; e) l’organizzazione da parte del committente dell’attività dei dipendenti dell’appaltatore (Cons. Stato, III, 12 marzo 2018, n.1571, che richiama Cass., lav., 7 febbraio 2017, n. 3178).

Su tali basi si può sintetizzare rilevando che: l’obbligazione dell’appaltatore è un’obbligazione di risultato; invece la somministrazione di lavoro è la messa a disposizione di lavoratori che svolgono attività nell’interesse e sotto la direzione e il controllo dell’utilizzatore, secondo lo schema dell’obbligazione di mezzi; nel contratto di appalto i lavoratori restano nella effettiva disponibilità dell’impresa appaltatrice, che ne cura la direzione e il controllo; nella somministrazione di lavoro è invece l’utilizzatore (non il somministratore) che dispone in concreto dei lavoratori, impartendo loro le direttive.

Applicando tali coordinate al caso di specie, è naturale concludere che non basta la sola richiesta del committente di un certo numero di ore di lavoro per escludere che ricorra un appalto e qualificare il contratto come di somministrazione di lavoro: occorre infatti, in primis, che sia trasferito al committente l’esercizio del potere organizzativo e direttivo dei lavoratori impiegati. Il che qui non risulta dimostrato, perché la stazione appaltante non intende acquistare un monte di ore di lavoro da gestire a propria discrezione, ma semplicemente garantire che sia effettuato un determinato numero ore di servizio minimo che evidentemente stima correlato allo specifico servizio di cui abbisogna.

Così stando le cose, la contestata clausola realizza quella predeterminazione del committente “anche delle modalità temporali” della prestazione, ovvero “delle modalità analitiche operative del servizio” che la giurisprudenza, sia anteriore che precedente all’art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003, ha ritenuto ben compatibile con il contratto di appalto (rispettivamente, Cass., n. 12201/2011 e n. 15557/2019, cit.).

Si può aggiungere, trattandosi di un elemento correlato al tema, che con lo stesso bando qui in esame la stazione appaltante intende promuovere anche una certa stabilità occupazionale del personale da impiegare da parte dell’appaltatore, effetto che affida alla c.d. “clausola sociale”, prevista dal disciplinare [paragrafo 25, Condizioni generali degli accordi quadro e dei contratti esecutivi, lett. a), ultimo periodo, pag. 33]: condizione che, peraltro, l’appellante, che incentra le doglianze su “una questione di sistema” relativa alle “ore di lavoro minime e inderogabili” – non ha peraltro impugnato.

Tanto premesso, e considerati i detti criteri discretivi, si deve concludere che l’appellante – che si limita come visto a contestare la compatibilità della clausola del monte ore minimo inderogabile con gli schemi di cui all’art. 1655 Cod. civ. e all’art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003 – non dimostra la concreta sussistenza, nella fattispecie in esame, di una siffatta condizione: vale a dire che la lex specialis configuri non già un contratto di appalto, ma una figura non consentita di contratto di somministrazione di lavoro.

Quanto, invece, alla seconda censura (che evidenzia che il bando-tipo n. 2 adottato dall’ANAC per i servizi di pulizia non contempla una clausola quale quella qui in rilievo), è la stessa deducente a rilevare che l’art. 71 del d.lgs. n. 50 del 2016 prevede la possibilità delle stazioni appaltanti di derogare ai bandi-tipo Anac previa motivazione nella determina a contrarre. Sicché per un verso va confermato il rilievo del primo giudice sulla non vincolatività dei bandi-tipo, ulteriormente rilevandosi la coerenza della conclusione con le finalità meramente agevolative e di omogeneità che la legge collega espressamente alla loro predisposizione; per altro verso va escluso che una prescrizione meramente aggiuntiva a quelle del bando-tipo di cui sia accertata la compatibilità con il quadro normativo della materia, come quella di cui si discute, possa ritenersi illegittima, con conseguente sua demolizione giurisdizionale, solo perché carente di specifica motivazione: la gravità della sanzione ipotizzata dall’appellante, sia ex se, sia per l’afferenza alla materia dei bandi pubblici, ove domina l’esigenza della certezza della regolazione, imporrebbe infatti la sua predeterminazione da parte dell’art. 71 in parola, che invece non la contempla.


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