L’art. 108, al comma 9 prima parte, prevede espressamente che, nei casi di risoluzione del contratto di appalto dichiarata dalla stazione appaltante (fra i quali rientra, all’evidenza, la dichiarazione della stazione appaltante di risoluzione del contratto in questione), “l’appaltatore deve provvedere al ripiegamento dei cantieri già allestiti e allo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze nel termine a tale fine assegnato dalla stessa stazione appaltante” e che, “in caso di mancato rispetto del termine assegnato, la stazione appaltante provvede d’ufficio addebitando all’appaltatore i relativi oneri e spese”.

Con la precisazione che l’ultima parte del comma 9 dell’art. 108 del d.lgs. 50/2016 (laddove prevede che la “stazione appaltante, in alternativa all’esecuzione di eventuali provvedimenti giurisdizionali cautelari, possessori o d’urgenza comunque denominati che inibiscano o ritardino il ripiegamento dei cantieri o lo sgombero delle aree di lavoro e relative pertinenze, può depositare cauzione (…), pari all’uno per cento del valore del contratto (…)”) va evidentemente interpretata nel senso della sua operatività solo nell’ipotesi in cui l’ente non si sia avvalso (o non si sia ancora avvalso) della possibilità di procedere d’ufficio allo “sgombero”: non avrebbe, altrimenti, senso la previsione, immediatamente prima, dello “sgombero” d’ufficio ad opera della stazione appaltante, nell’ipotesi di mancato rispetto, da parte dell’appaltatore, del termine assegnato. E con l’ulteriore precisazione che le questioni affrontate dalle parti negli scritti difensivi, circa la sussistenza o meno dell’inadempimento del ricorrente, la gravità e la imputabilità di tale inadempimento a quest’ultimo, il mancato rispetto di termini previsti nel procedimento di risoluzione – esulano dal presente giudizio, attenendo al merito dei rapporti patrimoniali intercorrenti tra le parti in relazione al cessato appalto.

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