DECORRENZA TRIENNALE PER IL GRAVE ILLECITO PROFESSIONALE - NON SUSSISTE DISCREZIONALITA' DELLA PA ( 98)
Occorre rimarcare che nel caso dei gravi illeciti professionali la sentenza definitiva di condanna non costituisce ex se, diversamente da quanto previsto per le fattispecie previste dall’art. 80, co. 1, d.lgs. 50/2016, motivo di esclusione. Mentre, infatti, per queste ultime fattispecie il fatto escludente è proprio individuato dalla norma nella sentenza definitiva, per i gravi illeciti professionali esso si lega alla dimostrazione, da parte della stazione appaltante, “con mezzi adeguati che l'operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”. Il riferimento ai mezzi adeguati è un chiaro indice normativo che suggerisce la possibilità per la stazione appaltante di prescindere dall’accertamento definitivo, soltanto occorrendo la disponibilità di corredo probatorio sufficientemente informativo. Ma se è possibile escludere il concorrente prima dell’accertamento definitivo, e se è necessario porre un limite di rilevanza temporale al fatto come richiesto dalla normativa unionale, non è poi possibile ritenere che, a ogni ulteriore “accertamento”, il termine si sposti in avanti. La conseguenza di questa operazione sarebbe, infatti, la configurazione di una nuova fattispecie di illecito professionale, con un effetto moltiplicativo del tutto irrazionale.
Va altresì riaffermato che, come rilevato dal giudice d’appello (cfr. Cons. St., V, 6.7.2023, n. 6584, richiamata dal Cons. St., V, 13.1.2025, n. 167, nonché citata dalla sentenza della Sezione n. -OMISSIS-/2024), se “se l’attivazione della causa di esclusione è possibile anche prima (e perfino indipendentemente) di una sentenza di accertamento definitivo del reato (a differenza delle ipotesi di cui all’art. 80, comma 1), allora è giocoforza desumerne che alla stazione appaltante non tanto non sia (negativamente) preclusa, ma sia piuttosto (positivamente) imposta – allorquando si debba ritenere che gli elementi informativi a sua disposizione siano “adeguati” alla percezione del fatto ed all’apprezzamento della sua incidenza sulla moralità del concorrente – una delibazione dell’illecito ad excludendum. Sicché far decorrere il limite temporale di rilevanza del fatto (che è, in sé, anche limite ragionevole all’esercizio della facoltà di estromissione) dall’esito del processo penale (piuttosto che dal momento della sua percezione o percepibilità, sulla base di ogni elemento indiziario) appare non solo intrinsecamente contraddittorio, ma anche, in definitiva, contrario al dato normativo, così complessivamente ricostruito.
Con più lungo discorso, tenuto conto della possibilità di ricavare l’illecito professionale anche da accertamenti interinali o esterni all’eventuale processo penale (per esempio, da una richiesta di rinvio a giudizio o dalla emanazione di misure cautelari), ancorare al giudicato penale il decorso del termine triennale di rilevanza determinerebbe l’effetto (paradossale) di estendere a dismisura la valenza dello stesso, anche ben oltre l’effetto di un eventuale giudicato penale.
Una tale interpretazione è quindi certamente inammissibile, determinando un effetto “moltiplicatore” della valenza temporale dell’illecito (che ricomincerebbe a decorrere in occasione di ogni accertamento successivo in sede penale, fino al passaggio in giudicato), in palese contrasto con l’art. 57 della direttiva, e in violazione dei fondamentali principi di proporzionalità e ragionevolezza”.
Per le ragioni indicate dal richiamato precedente giurisprudenziale non è possibile ritenere, come invece preteso da -OMISSIS-, che la successiva sentenza definitiva determini uno spostamento in avanti del triennio rilevante: una soluzione di questo tipo, infatti, avrebbe l’effetto di dilatare, senza peraltro alcuna prospettiva di prevedibilità, la rilevanza del fatto potenzialmente escludente, contravvenendo alla chiara indicazione dell’art. 57, par. 7, della Direttiva 2014/23/UE (applicabile ai settori speciali secondo quanto previsto dall’art. 80, par. 1, della Direttiva 2014/25/UE e dall’art. 133, co. 1, d.lgs. 50/2016).
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