Art. 120 - Disposizioni specifiche ai giudizi di cui all'articolo 119, comma 1, lettera a)
1. Gli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attivita' tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonche' i provvedimenti dell'Autorita' nazionale anticorruzione ad essi riferiti, sono impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente. comma così modificato dal Dlgs 50/2016 in vigore dal 19/04/20162. Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso non può comunque essere più proposto decorsi trenta giorni decorrenti dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell'avviso di aggiudicazione definitiva di cui all'articolo 65 e all'articolo 225 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, a condizione che tale avviso contenga la motivazione dell'atto con cui la stazione appaltante ha deciso di affidare il contratto senza previa pubblicazione del bando. Se sono omessi gli avvisi o le informazioni di cui al presente comma oppure se essi non sono conformi alle prescrizioni ivi contenute, il ricorso non può comunque essere proposto decorsi sei mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto.
2-bis. comma introdotto dal Dlgs 50/2016 in vigore dal 19/04/2016; abrogato dal D.L. 32/2019 in vigore dal 19/4/2019 e confermata in sede di conversione in legge
3. Salvo quanto previsto dal presente articolo e dai successivi, si applica l'articolo 119.
4. Quando è impugnata l'aggiudicazione definitiva, se la stazione appaltante fruisce del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato, il ricorso è notificato, oltre che presso detta Avvocatura, anche alla stazione appaltante nella sua sede reale, in data non anteriore alla notifica presso l'Avvocatura, e al solo fine dell'operatività della sospensione obbligatoria del termine per la stipulazione del contratto.
5. Per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso, principale o incidentale e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente, per il ricorso principale e per i motivi aggiunti, dalla ricezione della comunicazione di cui all'articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all'articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell'atto. Per il ricorso incidentale la decorrenza del termine è disciplinata dall'articolo 42. comma così modificato dal Dlgs 50/2016 in vigore dal 19/04/2016
6. Il giudizio, qualora le parti richiedano congiuntamente di limitare la decisione all'esame di un'unica questione, nonchè in ogni altro caso compatibilmente con le esigenze di difesa di tutte le parti in relazione alla complessità della causa, è di norma definito, anche in deroga al comma 1, primo periodo dell'articolo 74, in esito all'udienza cautelare ai sensi dell'articolo 60, ove ne ricorrano i presupposti, e, in mancanza, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d'ufficio e da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente. Della data di udienza è dato immediato avviso alle parti a cura della segreteria, a mezzo posta elettronica certificata. In caso di esigenze istruttorie o quando è necessario integrare il contraddittorio o assicurare il rispetto di termini a difesa, la definizione del merito viene rinviata, con l'ordinanza che dispone gli adempimenti istruttori o l'integrazione del contraddittorio o dispone il rinvio per l'esigenza di rispetto dei termini a difesa, ad una udienza da tenersi non oltre trenta giorni. modificato dal DL 90/2014 convertito dalla L 114/2014 in vigore dal 19/08/2014; modificato dall’art. 4 del DL 76/2020 in vigore dal 17-7-2020, modificato dalla L. di conversione 120/2020 in vigore dal 15-09-2020
6-bis. comma introdotto dal Dlgs 50/2016 in vigore dal 19/04/2016; abrogato dal D.L. 32/2019 in vigore dal 19/4/2019 e confermata in sede di conversione in legge
7. I nuovi atti attinenti la medesima procedura di gara devono essere impugnati con ricorso per motivi aggiunti. comma così modificato dal Dlgs 50/2016 in vigore dal 19/04/2016; disposizione modificata dal D.L. 32/2019 in vigore dal 19/4/2019 e confermata in sede di conversione in legge
8. Il giudice decide interinalmente sulla domanda cautelare, anche se ordina adempimenti istruttori, se concede termini a difesa, o se solleva o vengono proposti incidenti processuali.
8-bis. Il collegio, quando dispone le misure cautelari di cui al comma 4 dell'articolo 119, ne subordina l'efficacia alla prestazione, anche mediante fideiussione, di una cauzione, salvo che ricorrano gravi ed eccezionali ragioni specificamente indicate nella motivazione dell'ordinanza che concede la misura cautelare. Tali misure sono disposte per una durata non superiore a sessanta giorni dalla pubblicazione della relativa ordinanza, fermo restando quanto stabilito dal comma 3 dell'articolo 119. comma introdotto dal DL 90/2014 convertito dalla L 114/2014 in vigore dal 19/08/2014
8-ter. Nella decisione cautelare, il giudice tiene conto di quanto previsto dagli articoli 121, comma 1, e 122, e delle esigenze imperative connesse a un interesse generale all’esecuzione del contratto, dandone conto nella motivazione. comma introdotto dal Dlgs 50/2016 in vigore dal 19/04/2016
9. Il giudice amministrativo regionale deposita la sentenza con la quale definisce il giudizio entro quindici giorni dall'udienza di discussione. Quando la stesura della motivazione è particolarmente complessa, il giudice pubblica il dispositivo nel termine di cui al primo periodo, indicando anche le domande eventualmente accolte e le misure per darvi attuazione, e comunque deposita la sentenza entro trenta giorni dall'udienza. modificato dal DL 90/2014 convertito dalla L 114/2014 in vigore dal 19/08/2014; ultimo periodo soppresso dal D.L. 32/2019 in vigore dal 19/4/2019, modifica confermata in sede di conversione in legge; modificato dall’art. 4 del DL 76/2020 in vigore dal 17-7-2020
10. Tutti gli atti di parte e i provvedimenti del giudice devono essere sintetici e la sentenza è redatta, ordinariamente, nelle forme di cui all'articolo 74.
11. Le disposizioni dei commi 3, 6, 8, 8-bis, 8-ter, 9 e 10 si applicano anche nel giudizio di appello innanzi al Consiglio di Stato, proposto avverso la sentenza o avverso l'ordinanza cautelare, e nei giudizi di revocazione o opposizione di terzo. La parte può proporre appello avverso il dispositivo, al fine di ottenerne la sospensione prima della pubblicazione della sentenza. comma così modificato dal Dlgs 50/2016 in vigore dal 19/04/2016; disposizione modificata dal D.L. 32/2019 in vigore dal 19/4/2019 e confermata in sede di conversione in legge
11-bis. Nel caso di presentazione di offerte per più lotti l’impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto. comma introdotto dal Dlgs 50/2016 in vigore dal 19/04/2016
Giurisprudenza e Prassi
PROJECT FINANCING - TERMINI DI IMPUGNAZIONE DELLA PROCEDURA – SI APPLICA TERMINE ORDINARIO 60 GIORNI
Il Comune ha eccepito la tardività del ricorso, sostenendo che la revoca della dichiarazione di fattibilità della proposta di project financing doveva essere impugnata nel termine abbreviato di 30 giorni ai sensi degli artt. 119 e 120 c.p.a., mentre la ricorrente ha considerato il termine ordinario di 60 giorni per la proposizione dell’originaria impugnativa.
In realtà, come evidenziato dalla ricorrente, la giurisprudenza maggioritaria aderisce all’indirizzo secondo cui nella procedura di project financing occorre distinguere la fase preliminare della individuazione del promotore e la successiva fase selettiva finalizzata all’affidamento della concessione: la prima fase, ancorché in qualche misura procedimentalizzata, è connotata da amplissima discrezionalità amministrativa, essendo intesa non già alla scelta della migliore fra una pluralità di offerte sulla base di criteri tecnici ed economici predeterminati, ma alla valutazione dell’esistenza stessa di un interesse pubblico che giustifichi, alla stregua della programmazione delle opere pubbliche, l’accoglimento della proposta formulata dall’aspirante promotore. La seconda fase costituisce una vera e propria gara soggetta ai principi comunitari e nazionali in materia di evidenza pubblica. Di conseguenza, qualora si sia nell’ambito della prima di fase della procedura di project financing di individuazione del promotore, alle relative controversie non sono applicabili le regole proprie del rito speciale dei contratti pubblici, ai sensi degli artt. 119 e 120 c.p.a. (ex multis e di recente, Consiglio di Stato sez. V, 05/06/2024, n.5026).
Nel condividere quest’ultimo orientamento il Collegio evidenzia che, nel caso che ci occupa, effettivamente al ricorso introduttivo era applicabile il rito ordinario, ragione per cui l’impugnazione doveva avvenire ai sensi dell’art. 29 c.p.a. e cioè entro 60 giorni dalla conoscenza degli atti lesivi, vertendosi in una fase preliminare alla gara i cui atti sono stati poi gravati, seguendo questa volta correttamente il rito speciale ex art. 120 c.p.a., con ricorso per motivi aggiunti.
RICORSI GIURISDIZIONALI - PROVVEDIMENTI ANAC ANTERIORI AL NUOVO CODICE - NON SI APPLICA RITO ACCELERATO
Non si condivide l’eccezione di inammissibilità del ricorso per tardività in quanto il provvedimento di revoca è stato adottato con Determinazione Dir. n. -OMISSIS- del 29/10/2021 ed invece l’annotazione sul Casellario Anac è stata disposta il successivo 18/07/2022, circa 9 mesi dopo, traendo origine dalla revoca in autotutela del provvedimento di aggiudicazione, ex art. 21 quinquies l. n. 241/1990, assunta per motivi non riguardanti vizi inerenti agli atti della procedura di gara, ma per il mancato rispetto dei termini essenziali concessi all’RTI, per la produzione documentale prodromica all’integrazione del progetto definitivo e alla stipula contrattuale. In particolare l’atto di annotazione dell’Anac impugnato costituisce una iscrizione al Casellario informatico, adottata anteriormente alla introduzione della disciplina di cui all’art. 209 del d.lgs. n. 36 del 2023 (efficace a partire dal 1° luglio 2023), che ha previsto l’assoggettamento al rito processuale previsto dall’art. 120 cpa ai provvedimenti dell’Anac in materia di contratti pubblici, senza distinzioni. Nella specie il ricorso è stato notificato in data 17 ottobre 2022 e quindi trova applicazione la precedente versione della norma, esistente al momento della notifica del ricorso (provvedimenti Anac riferiti alle procedure di affidamento e a quelli “connessi” agli atti relativi alle procedure di affidamento, ossia, alle esclusioni o alle aggiudicazioni) e non il rito accelerato in materia di appalti ex art. 120 cpa con termine di impugnazione con scadenza al 30° giorno, bensì il rito di cui all’art. 119 c.p.a. con termine di scadenza al 60° giorno, salvo il dimezzamento di tutti gli altri termini processuali (cfr. Cons. Stato, sez. V, 13 dicembre 2023, n. 10760).
IMPUGNAZIONE BANDO DI GARA - DIMOSTRAZIONE CONCRETA DELL'IMPOSSIBILITA' A PARTECIPARE DA PARTE DELL'OE.
Con riguardo al ricorso, nonché ai primi motivi aggiunti, con i quali è stata contestata la disciplina di gara, occorre richiamare l’orientamento espresso dalla Corte Costituzionale, ad avviso della quale costituisce “acquisizione consolidata” che i bandi di gara devono essere impugnati unitamente agli atti che di questi fanno applicazione, gli unici idonei ad “identificare in concreto” - e, così, rendere manifesta – la lesione della situazione soggettiva dell’interessato (cfr. Corte Costituzionale, 22 novembre 2016, n. 245).
Tale orientamento ha pienamente confermato le statuizioni dell’Adunanza plenaria 29 gennaio 2003, n. 1, nella quale si è osservato che alla regola generale dell’impugnazione congiunta del bando con l’atto applicativo “fanno eccezione le ipotesi in cui si contesti che la gara sia mancata o, specularmente, che sia stata indetta o, ancora, si impugnino clausole del bando immediatamente escludenti, o, infine, clausole che impongano oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati o che rendano impossibile la stessa formulazione dell'offerta (Consiglio di Stato, sezione III, 10 giugno 2016, n. 2507; Consiglio di Stato, sezione V, 30 dicembre 2015, n. 5862; Consiglio di Stato, sezione V, 12 novembre 2015, n. 5181; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9; Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, 7 aprile 2011, n. 4)”.
La plenaria 1/2003 ha considerato come immediatamente escludenti, e quindi da impugnare immediatamente, (anche) clausole non afferenti ai requisiti soggettivi in quanto volte a fissare – restrittivamente – i requisiti di ammissione ma attinenti alla formulazione dell'offerta, sia sul piano tecnico che economico laddove esse rendano (realmente) impossibile la presentazione di una offerta; ed ha soggiunto che in tali evenienze ha legittimato alla contestazione giurisdizionale anche l’operatore che non ha proposto la domanda partecipativa.
Quanto illustrato ha trovato successivo riconoscimento nell’Adunanza plenaria 26 aprile 2018, n. 4, nella quale si è confermato che “le clausole non escludenti del bando vadano impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione (id est: aggiudicazione a terzi), considerato altresì che la postergazione della tutela avverso le clausole non escludenti del bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione, secondo quanto già stabilito dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di matrice europea, perché non lo oblitera, ma lo adatta alla realtà dell’incedere del procedimento nella sua connessione con i tempi del processo”; ed ha espresso il principio di diritto secondo cui “le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura”.
Tanto precisato, negli 11 motivi di ricorso (10 motivi proposti con il ricorso principale e l’11° motivo, proposto con i primi motivi aggiunti, mediante il quale le censure già proposte sono state integrate) la ricorrente ha esplicitato profili di lesione delle prerogative concorrenziali sottese all’indizione di una commessa che avrebbe avuto natura e contenuto identico o comunque analogo alla commessa in corso di esecuzione (fino al 31.8.2022, data di scadenza dell’accordo quadro), nonché vari profili di critica alle soluzioni tecniche poste a base di gara e, più in generale, all’ideazione delle procedura stessa.
Rileva, tuttavia, il Collegio che nessuna di tali censure ha prefigurato e dimostrato l’esclusione della possibilità della ricorrente di partecipare alla procedura di gara: evidenza sostanziata dalla plateale e pacifica circostanza che, effettivamente, la ricorrente ha concorso all’aggiudicazione dei lotti controversi.
RITO APPALTI - PROVVEDIMENTO ANAC - SI APPLICA
Non è in discussione la questione sollevata dall’appellante, circa l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 120 c.p.a. come novellato dal d.lgs. n. 36/2023, che, giova ricordare, ha attratto nella sfera del rito dell’art. 120 c.p.a. tutti i provvedimenti dell’ANAC, laddove, in precedenza, una parte dei provvedimenti dell’ANAC ricadevano nel rito ex art. 119 c.p.a. Tanto non è mai stato affermato dal decreto presidenziale ex art. 72-bis c.p.a., che ha fatto riferimento all’art. 119 c.p.a. e non già all’art. 120 c.p.a. Deve ritenersi incontestato che la controversia in esame ricada, ratione temporis, nell’ambito di applicazione del rito ex art. 119 c.p.a. e non del rito ex art. 120 c.p.a., dato che il provvedimento ANAC oggetto di impugnazione è stato adottato ben prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 36/2023.
Tuttavia, nel rito ex art. 119 c.p.a., tutti i termini processuali sono dimezzati, ad eccezione di quello per la notificazione del ricorso in primo grado (art. 119, c. 2 c.p.a.). Sono pertanto dimezzati anche i termini per la notificazione delle impugnazioni (Cons. St., III, 29.11.2018 n. 6800; Id., VI, 12.2.2014 n. 697; Id., 10.5.2013 n. 2568; Id., III, 25.3.2013 n. 1659). Per quel che qui rileva, il termine lungo per appellare, pari a sei mesi, è ridotto a tre mesi.
COMPETENZA TERRITORIALE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO - SEDE DI ESECUZIONE DEL CONTRATTO D'APPALTO (209.1)
Considerato che con specifico riguardo alle controversie aventi ad oggetto l’impugnazione degli atti e provvedimenti delle procedure di gara preordinate all’aggiudicazione dei pubblici appalti di servizi, lavori e forniture, l’orientamento giurisprudenziale prevalente è dell’avviso che il Tribunale amministrativo territorialmente competente a decidere sia da individuare avuto riguardo al luogo di produzione degli effetti diretti del provvedimento di aggiudicazione, precisando che tale luogo coincide con quello in cui deve essere eseguita la prestazione contrattuale da parte dell’aggiudicatario, ciò indipendentemente dal luogo in cui ha sede la stazione appaltante, nonché dal luogo di svolgimento delle operazioni di gara (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2016, n. 1643; Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2014, n. 1917; Cons. Stato, sez. VI, 11 luglio 2012, n. 4105; Cons. Stato, Sez. IV, ordinanza 16 febbraio 2011, n. 1018; Cons. Stato, sez. VI, 23 marzo 2010, n. 1690; Cons. Stato, sez. IV, 12 giugno 2007, n. 3102; Cons. Stato, sez. VI, 9 giugno 2005, n. 3045);
Ritenuto che, ad avviso del Collegio, detto orientamento debba trovare applicazione anche nella presente fattispecie;
Considerato, in proposito, che nessuna conseguenza giuridicamente rilevante può derivare dal fatto che le prestazioni dell’appalto in questione debbano essere eseguite anche nelle province di Bari e di Lecce, ossia all’interno del territorio afferente alla circoscrizione del Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia e di quello afferente alla Sezione Staccata di tale Tribunale, con sede a Lecce. Infatti, non può essere messo in discussione che, in ogni caso, gli effetti dei provvedimenti impugnati continuino ad essere circoscritti esclusivamente all’ambito della Regione Puglia, dominio esclusivo della competenza del relativo Tribunale Amministrativo Regionale.
CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTI - PRESENTAZIONE OFFERTA - NON DECADE AUTOMATICAMENTE LA LEGITTIMITA' ALL'IMPUGNAZIONE
La circostanza stessa della presentazione di offerta in sede di gara contraddice le censure proposte , nella parte in cui lamentano l’esistenza di una base d’asta che impedirebbe di presentare un’offerta remunerativa e quindi in parte qua contestano il bando .
Sul punto la giurisprudenza condivisa dal Collegio (cfr. Tar Lombardia Milano 29 aprile 2020 n. 709) osserva come la partecipazione alla gara si pone alla stregua di un fatto (successivo) incompatibile con l’azione proposta avverso il bando, poiché le due (contrapposte) utilità perseguite – accoglimento del ricorso e aggiudicazione – rischiano di elidersi a vicenda, impedendo alla parte di ottenere qualsivoglia vantaggio giuridicamente apprezzabile. Con l’inoltro della domanda di partecipazione alla gara la ricorrente ha dato prova, per fatti concludenti, di essere nella condizione di presentare un’offerta congrua e remunerativa, smentendo implicitamente le contestazioni mosse alla legge di gara.
Il Collegio è consapevole della circostanza che la pronuncia richiamata sia stata riformata dal Consiglio di Stato ( sentenza n.05705/2020), che ha ricordato come in seguito alla sentenza dell’Adunanza plenaria (26 aprile 2018, n. 4) si deve procedere all’immediata impugnazione del bando quando si contestano clausole immediatamente escludenti o che impediscono la partecipazione alla gara e la presentazione di un’offerta, dovendo tutte le altre essere impugnate, a valle e all’esito della gara, unitamente all’atto lesivo dell’interesse azionato (Cons. St., sez. V, 27 luglio 2020, n. 4758; id. 22 novembre 2019, n. 7978).
È stato altresì chiarito che la lesione lamentata deve conseguire in via immediata e diretta, e non soltanto potenziale e meramente eventuale, alle determinazioni dell’amministrazione e all’assetto di interessi delineato dagli atti di gara, in relazione a profili del tutto indipendenti dalle vicende successive della procedura e dai correlati adempimenti (Cons. St., sez. V, 20 gennaio 2020, n. 441).
Di qui si è affermato come diventa irrilevante la circostanza che l’operatore economico abbia o meno presentato la domanda di partecipazione alla gara, essendo soltanto l’immediata lesione della posizione giuridica qualificata a legittimare l’impugnazione del bando. Non sarebbe dunque condivisibile l’assunto secondo cui l’aver partecipato alla gara preclude la proposizione del ricorso, potendo al più essere la dimostrazione – in punto di fatto e non di diritto – che non era materialmente preclusa la presentazione di una offerta seria.
CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE LESIVE - AMBITO DI IMMEDIATA IMPUGNABILITÀ
Secondo un consolidato e condiviso indirizzo giurisprudenziale, l’ambito di immediata impugnabilità della disciplina di gara è circoscritto alle sole clausole limitative della partecipazione, cioè alle clausole stricto sensu escludenti, a quelle che non consentono la formulazione di una seria e ponderata offerta, nonché a quelle che introducono disposizioni abnormi o illogiche che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, con la conseguenza che le clausole della lex specialis che non rivestano tali caratteristiche – come quella di specie – vanno impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere contestate solo dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o abbia comunque manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 7 giugno 2021 n. 4295; Consiglio di Stato, Sez. V, 16 marzo 2020 n. 1867 e 10 ottobre 2019 n. 6907; TAR Campania Napoli, Sez. I, 7 gennaio 2021 n. 89; TAR Campania Napoli, Sez. III, 4 ottobre 2019 n. 4753);
GARA SUDDIVISA IN LOTTI - RICORSO CUMULATIVO - SOLO SE IDENTICHE LE MOTIVAZIONI DEL RICORSO (58)
L’art. 120, comma 11 bis, del codice del processo amministrativo, d.lgs. n. 104 del 2010, espressamente dispone che “nel caso di presentazione di offerte per più lotti, l’impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto”;
Pertanto, per costante e condivisibile giurisprudenza (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 27/09/2022, n. 8337 e, nello stesso senso, Tar Napoli, n. 1975 del 2022; Tar Veneto, n. 682 del 2021, Tar Lazio, Roma, n. 1337 del 2021, Tar Veneto, n. 943 del 2020; Tar Lombardia, Milano, n. 1874 del 2020, Tar Lazio, Roma, numero 6797 del 2020) l’ammissibilità del ricorso cumulativo contro gli atti di una gara divisa in lotti resta subordinata all’articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della commissione aggiudicatrice, la determinazione dei criteri di valutazione delle offerte tecniche) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni; solo in questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta;
Nel caso controverso, invece, la ricorrente ha impugnato le valutazioni della Commissione di gara, recepite nel provvedimento impugnato, espresse sulle due distinte offerte tecniche presentate dalla ricorrente per i lotti n. 1 e n. 2, riferiti rispettivamente alla tecnologia di base dei sistemi di automonitoraggio e alla tecnologia avanzata dei sistemi di automonitoraggio; si tratta, con ogni evidenza, di procedure di gara autonome l’una dell’altra, riferite a forniture distinte, per le quali la stessa ricorrente ha presentato due diverse offerte tecniche che, nella valutazione di merito, hanno conseguito, entrambe, un punteggio insufficiente per l’ammissione alla fase successiva della procedura;
Ne consegue che il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 120, comma 11 bis, del codice di rito che non consente la proposizione di un ricorso cumulativo, in materia di affidamento di contratti pubblici, per l’impugnazione di atti e provvedimenti adottati nel corso di più di un procedimento di aggiudicazione, a meno che, ma non è questo il caso, siano impugnati atti comuni alle diverse procedure di aggiudicazione
SUDDIVISIONE IN LOTTI - RICORSO CUMULATIVO - SOLO SE MOTIVI IDENTICI
L’art. 120, comma 11 bis, c.p.a. (“Nel caso di presentazione di offerte per più lotti l’impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto”), è stato introdotto nel codice del processo amministrativo dall’art. 204, comma 1, lett. i), del d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50, recependo un orientamento giurisprudenziale consolidato in tema di proponibilità del ricorso cumulativo nel caso di gare pubbliche divise in più lotti.
Questo orientamento ha preso le mosse dalla constatazione che nel processo amministrativo, il ricorso cumulativo, pur non essendo precluso, ha comunque carattere eccezionale, dato che può giustificarsi ove ricorra una connessione oggettiva tra gli atti impugnati, in quanto riferibili ad un’unica sequenza procedimentale o sussumibili entro la medesima azione amministrativa (cfr. Cons. Stato, V, 22 gennaio 2020, n. 526; id., VI, 16 aprile 2019, n. 2481; id., III, 7 dicembre 2015 n. 5547).
Rispetto alle gare pubbliche, la giurisprudenza ha precisato che, nel caso di presentazione di offerte per più lotti, l’impugnazione può essere proposta con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto, nel presupposto che l’atto impugnato riguardi tutti i lotti oggetto di gara, ma sempre ferma restando l’ammissibilità dell’impugnazione anche di più atti, comuni a tutti i lotti, purché tra loro connessi perché appartenenti alla medesima sequenza o azione amministrativa.
Di qui la corretta lettura dell’art. 120, comma 11 bis, c.p.a. in coerenza con la precedente giurisprudenza (ex pluribus cfr. Cons. Stato, III, 4 febbraio 2016, n. 449), secondo cui il ricorso cumulativo degli atti di gara è possibile solo se le censure proposte sono idonee a comportare l’annullamento di atti procedimentali comuni a tutti i lotti e tra loro connessi, perché solo in questo caso la medesima causa petendi e la connessione giustificano la trattazione congiunta di diverse domande di annullamento.
Va quindi ribadito che l’ammissibilità del ricorso cumulativo contro gli atti di una gara divisa in lotti resta subordinata all’articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni; in questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta (Cons. Stato, III, 15/05/2018, n. 2892; id, III, 15 luglio 2019, n. 4926; CGARS, 7 gennaio 2020, n.17).
3.1.1. Le conseguenze della violazione della regola di rito appena enunciata vanno tuttavia chiarite, nei seguenti termini:
– il ricorso cumulativo è inammissibile nella sua interezza se contiene più censure fondate su distinte causae petendi, ciascuna delle quali riferita (o riferibile) a lotti distinti;
– se invece il ricorso contiene più censure, alcune delle quali fondate sulla medesima causa petendi riferita (o riferibile) a tutti i lotti, per tali censure il ricorso è ammissibile, anche se, in aggiunta a queste ultime, sono proposte una o più censure riferite (o riferibili) ad alcuni soltanto dei lotti; in tale ultima eventualità la sanzione di inammissibilità riguarda i motivi di ricorso non comuni.
TERMINE DI IMPUGNAZIONE - SOSPENSIONE FERIALE – SI AGGIUNGE AL TERMINE DI IMPUGNAZIONE
Sulla base di quanto sinora considerato, può essere quindi formulato il seguente principio di diritto sulla questione deferita ai sensi dell’art. 99, comma 1, del c.p.a. dal Consiglio di giustizia, al quale la causa va restituita ai sensi del comma 4 del medesimo articolo:
– qualora il termine lungo di impugnazione abbia cominciato a decorrere prima del periodo feriale, al termine di impugnazione, calcolato a mesi, ai sensi degli articoli 155, secondo comma, c.p.c. e 2963, quarto comma, c.c. (per cui il decorso del tempo si ha, indipendentemente dall’effettivo numero dei giorni compresi nel rispettivo periodo, allo spirare del giorno corrispondente a quello del mese iniziale coincidente con la data di pubblicazione della sentenza), va alla fine aggiunto, realizzandosi così un prolungamento di tale termine nella misura corrispondente, il periodo di 31 giorni di sospensione previsto dalla l. n. 742 del 1969, come ribadito dall’art. 54, comma 2, del c.p.a., computato ex numeratione dierum ai sensi dell’art. 155, primo comma, c.p.c.
RICHIESTA RISARCIMENTO DANNI PER ILLEGITTIMA AGGIUDICAZIONE
In tema responsabilità della pubblica amministrazione in materia di commesse pubbliche, la Corte di Giustizia Europea -chiamata a stabilire se una norma interna che subordini il ristoro per violazione della disciplina degli appalti al carattere colpevole della violazione fosse o meno contrastante con le direttive ricorsi 89/665/CEE e 2007/66/CE- ha statuito, con la sentenza Stadt Graz del 30.09.2010, causa C-314/09, che in caso di violazione di tale disciplina vi è una responsabilità oggettiva della stazione appaltante, sottratta ad ogni possibile esimente sotto il profilo della scusabilità dell’errore, perché altrimenti la tutela offerta al privato non sarebbe rapida.
A tali principi ermeneutici si è conformata la giurisprudenza amministrativa, la quale ha a più riprese statuito che “la responsabilità per danni conseguenti all’illegittima aggiudicazione di appalti pubblici non richiede la prova dell’elemento soggettivo della colpa, giacché la responsabilità, negli appalti pubblici, è improntata -secondo le previsioni contenute nelle direttive europee- a un modello di tipo oggettivo, disancorato dall’elemento soggettivo, coerente con l’esigenza di assicurare l’effettività del rimedio risarcitorio” (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. V, 1 febbraio 2021, n. 912; Sez. IV, 15 aprile 2019, n. 2429; Sez. V, 2 gennaio 2019, n. 14; 25 febbraio 2019, n. 1257; 19 luglio 2018, n. 4381; 25 febbraio 2016, n. 772).
In aderenza ai riportati canoni interpretativi, pertanto, il profilo sull’asserita insussistenza di un contegno colposo imputabile alla stazione appaltante, prospettato dalla difesa comunale, non rientra nello spettro del vaglio giurisdizionale, attesa, secondo quanto appena chiarito, la natura oggettiva della responsabilità in esame.
Di contro, l’illegittimità dell’aggiudicazione disposta in favore dell’A.T.I. integra una violazione della disciplina in materia di appalti, per come evincibile dalla sentenza n. ……….., secondo cui “a parte la legge speciale di gara prevedeva la sottoscrizione della domanda di partecipazione a pena di esclusione, deve essere ricordato che la domanda di partecipazione alla gara non si configura quale mera comunicazione all’amministrazione aggiudicatrice da parte del concorrente dei propri dati identificativi e dei propri requisiti ma identifica una precisa volontà negoziale espressa dal concorrente medesimo. Conseguenza del tutto necessitata di ciò è che è nulla la domanda di partecipazione ad una procedura di gara per difetto di sottoscrizione e per la conseguente mancanza di un elemento essenziale per individuare la paternità e, quindi, la responsabilità dell’offerta, proprio in quanto, difettando l’imputabilità dell’atto ad un soggetto, viene meno la sua stessa riconoscibilità esteriore”.
Accertata, pertanto, l’illegittima attività amministrativa del Comune ritiene il Collegio che sussistano altresì gli ulteriori elementi per l’integrazione di un contegno illecito imputabile all’Ente locale ai sensi dell’art. 2043 c.c.
Invero, l’aggiudicazione all’A.T.I. ha impedito all’esponente, seconda graduata, di conseguire la commessa pubblica, in considerazione della circostanza che il criterio del prezzo più basso, posto quale parametro di selezione della gara, non implica l’esercizio di residue sacche di discrezionalità ad opera della stazione appaltante, risultando così comprovato il nesso eziologico, ai sensi dell’art. 1223 c.c., tra l’illegittimità dell’aggiudicazione ed il pregiudizio lamentato dall’esponente.
Circa, infine, la quantificazione del danno subìto, esso coincide con la perdita dell’utile sofferta dalla ricorrente, risultando tale perdita una lesione connessa in via immediata e diretta alla mancata esecuzione del contratto di appalto e la cui entità si presume correlata all’offerta presentata in gara, ovvero al margine positivo in essa incorporato, quale differenza tra costi e ribasso sulla base d’asta (Consiglio di Stato, Sez. III, 22 luglio 2020, n. 4685).
Non può quindi trovare ingresso la diversa ponderazione rapportata alla misura percentuale del 10% dell’importo dell’offerta, poiché fondata su di un criterio forfettario e presuntivo, frutto della trasposizione di quanto previsto in caso di recesso dell’amministrazione dal contratto di appalto, dall’art. 134, comma 1, del previgente D. Lgs. n. 163/2006, che la giurisprudenza amministrativa ha tuttavia ormai abbandonato, poiché il “danno per equivalente subìto” da mancata aggiudicazione dev’essere “provato” in conformità al richiamato art. 124, comma 1, c.p.a., dovendo riguardare, appunto, il margine di utile effettivo, quale ritraibile dal ribasso offerto dall’impresa nel corso della gara.
Dalla quantificazione dell’importo nel senso sopra descritto, dovrà essere decurtato l’eventuale aliunde perceptum vel percipiendum conseguito dall’impresa ricorrente nell’esecuzione di altri lavori durante il tempo di svolgimento del contratto d’appalto e, a tal fine, l’esponente produrrà al Comune di ………… i dati relativi alle forniture assunte nel periodo di durata del contratto.
La somma così individuata dovrà essere maggiorata di rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’I.s.t.a.t., che attualizza il danno al momento della sua liquidazione monetaria, e degli interessi fino alla data del soddisfo, nella misura del tasso legale.
In ragione di quanto precisato ed in applicazione dell’art. 34, comma 4, c.p.a., il Comune di dovrà quindi formulare una proposta -contenente la somma liquidata a titolo di risarcimento sulla scorta dei criteri sopra indicati- entro novanta giorni dalla notificazione ad opera della ricorrente della presente sentenza all’intimata amministrazione.
IMPUGNAZIONE PROVVEDIMENTO DI AGGIUDICAZIONE - TARDIVITA' NOTIFICA - IRRICEVIBILITA'
Preliminarmente, deve essere scrutinata l’eccezione di irricevibilità per tardività della notifica del ricorso principale sollevata dalla difesa della controinteressata. L’eccezione è fondata nei termini e per le considerazioni che seguono.
Per quanto riguarda la decorrenza del termine di impugnazione degli atti delle gare d’appalto, la ratio delle disposizioni contenute nell’art. 120, comma 5, prima parte, cod. proc. amm. è stata di recente ampiamente esaminata dall’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza del 2 luglio 2020, n. 12, che ha affermato i seguenti principi di diritto: «a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016; b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri, consentono la proposizione non solo dei motivi aggiunti, ma anche di un ricorso principale; c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara comporta la ‘dilazione temporale’ quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta; d) la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali allegati, ex art. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione; e) sono idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati».
Ciò posto, il Collegio ritiene che, nel caso in esame, la determinazione n. …del 02 marzo 2022 …… pubblicata sul sito del Comune nella sezione Amministrazione trasparente in data 03 marzo 2022, costituisce il provvedimento di aggiudicazione, come risulta, peraltro, in modo incontrovertibile dallo stesso tenore letterale del provvedimento de quo con cui la stazione appaltante, previa verifica ed approvazione della proposta di aggiudicazione così come formulata nel verbale conclusivo delle operazioni di gara n. 4 del 16 febbraio 2022, ha disposto di procedere alla aggiudicazione del servizio alla ……..
Ed invero, l’art. 32 del d.lgs. n. 50 del 2016, come ben chiarito da ultimo dalla sentenza del C.d.S., sez. V, 15 marzo 2019, n. 1710, «ha del tutto eliminato la tradizionale categoria della “aggiudicazione provvisoria”, ma distingue solo tra: – la “proposta di aggiudicazione”, che è quella adottata dal seggio di gara, ai sensi dell’art. 32, co.5, e che ai sensi dell’art. 120, co. 2-bis ultimo periodo del codice del processo amministrativo non costituisce provvedimento impugnabile; – la “aggiudicazione” tout court che è il provvedimento conclusivo di aggiudicazione e che diventa efficace dopo la verifica del possesso dei requisiti di cui all’art. 33, co. 1 del cit. d.lgs. n. 50 della predetta proposta da parte della Stazione Appaltante. In tale sistematica, la verifica dei requisiti di partecipazione è dunque una mera condizione di efficacia dell’aggiudicazione e non di validità in quanto attiene sotto il profilo procedimentale alla “fase integrativa dell’efficacia” di un provvedimento esistente ed immediatamente lesivo, la cui efficacia è sottoposta alla condizione della verifica della proposta di aggiudicazione di cui al cit. art. 33 circa il corretto espletamento delle operazioni di gara e la congruità tecnica ed economica della relativa offerta. Anche alla luce dei precedenti della Sezione (cfr. inframultis: Cons. Stato sez. V, 01.08.2018, n.4765), quindi, del tutto esattamente il TAR ha eccepito l’inammissibilità dell’appello perché il termine per impugnare l’aggiudicazione ex art. 32, co. 5 del d. lgs. n.50 ed ex art. 120, co. 2-bis c.p.a. decorre dalla comunicazione della stessa. Il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione da parte dei concorrenti non aggiudicatari inizia a decorrere dal momento in cui essi hanno ricevuto la comunicazione di cui all’art.76, co. 5, lett. a), d.lgs. n.50/2016, e non dal momento, eventualmente successivo, in cui la Stazione Appaltante abbia concluso con esito positivo la verifica del possesso dei requisiti di gara in capo all’aggiudicatario. L’aggiudicazione come sopra definita, dato che da un lato fa sorgere in capo all’aggiudicatario un’aspettativa alla stipulazione del contratto di appalto ex lege subordinata all’esito positivo della verifica del possesso dei requisiti, dall’altro produce nei confronti degli altri partecipanti alla gara un effetto immediato, consistente nella privazione definitiva, salvo interventi in autotutela della Stazione Appaltante o altre vicende comunque non prevedibili né controllabili, del “bene della vita” rappresentato dall’aggiudicazione della gara. … In linea di principio si osserva che la seconda comunicazione non è astrattamente inutile, ma è diretta ad assicurare la possibilità che, successivamente alla verifica dell’aggiudicazione, il ricorrente che abbia già impugnato l’aggiudicazione faccia luogo all’impugnazione della mancata esclusione dell’aggiudicatario, necessaria a pena di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse ai sensi dell’art. 35, co. 1, lett. c), c.p.a. (cfr. Cons. Stato, sez. V, 01.02.2019, n. 815; Cons. Stato, sez. V, 03.04. 2018, n. 2039; id., 28.03.2018, n. 1935; id., 23.12.2016, n. 5445; id., 25.02.2016, n. 754; id., 01.04.2015, n. 1714; id., 23.04.2014, n. 2063; id., 19.07.2013, n. 3940). Nel caso particolare, poi, si deve rilevare che le eventuali erronee indicazioni contenute nel provvedimento non possono consentire di porre nel nulla l’intervenuto superamento dei termini decadenziali per l’introduzione del ricorso anche solo ai fini dell’errore scusabile, per la fondamentale considerazione della condizione di soggetto professionale degli operatori economici che concorrono alle gare».
Ne discende, in applicazione di quanto statuito dalla giurisprudenza ora richiamata, che, ai sensi dell’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016, la pubblicazione della determinazione n. …del 02 marzo 2022 …… sul profilo del committente avvenuta in data 3 marzo 2022 era certamente idonea a far decorrere il termine di impugnazione; laddove invece con la determina n. …. in data 11 marzo 2022 l’Amministrazione ha piuttosto provveduto alla mera verifica del possesso dei requisiti da parte dell’aggiudicataria (fase successiva all’aggiudicazione).
PRIME APPLICAZIONI DELLE NORME IN MATERIA DI RICORSI RELATIVI AL PNRR
La procedura oggetto di ricorso rientra infatti nella materia di cui all’art.3, comma 1, del d.l. in parola, trattandosi di “interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR”.
Inoltre, trattandosi di novella processuale, in assenza di diversa esplicita disposizione e non attenendo a giurisdizione e competenza, essa si applica anche alle fasi non concluse dei procedimenti in corso (cfr. Decreto Presidente Cons. St. 15 luglio 2022, n. 3387; sentenze Cons. St., sez. VI, 15 giugno 2010, n. 3759; Tar Lazio, Roma, sez. III, 16 giugno 2010, n. 18131; Tar Cagliari, sez. I, 13.1.2011, n.16). L’udienza di merito della presente causa si è celebrata il 12 luglio 2022 e quindi la fase squisitamente decisoria della stessa deve osservare le nuove norme.
Le norme del d.l. n. 85/2022 applicabili al caso di specie sono quelle di cui ai commi 4 e 5 dell’art. 3.
La prima disposizione è afferente alle parti necessarie del processo e non pone criticità nel caso di specie essendo stata rispettata già per la naturale dinamica della presente causa.
La seconda disposizione prescrive invece: “5. Ai procedimenti disciplinati dal presente articolo si applicano, in ogni caso, gli articoli 119, secondo comma, e 120, nono comma, del codice del processo amministrativo, di cui al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104.”.
Il Collegio procede quindi a rendere la pronunzia nei ristretti termini previsti, mentre i termini per le parti di deposito delle memorie e delle repliche (ora dimezzati) sono rimasti fermi per quanto sopra detto.
Ad avviso del Collegio, deve altresì ritenersi applicabile ai casi di cui al d.l. n. 85/2022 la previsione relativa alla redazione, ordinariamente, della sentenza in forma semplificata, di cui al comma 10 del predetto art. 120 c.p.a..
Infatti, la previsione in parola è intimamente intrecciata con il precedente comma 9, e la sentenza cui fa riferimento la disposizione da ultimo indicata, che si applica ai giudizi PNRR, è logicamente quella di cui al successivo comma 10 che quindi deve essere parimenti applicato ai giudizi PNRR, risultando concettualmente impraticabile un’applicazione non convergente delle due norme alla medesima fattispecie, almeno in assenza di specifica disciplina di coordinamento.
L’interpretazione appena accennata è confermata dalla ratio acceleratoria delle norme in discorso e dai “Principi generali” (cfr. artt. 1-3) del c.p.a., in particolare dagli obblighi di sinteticità degli atti e di ragionevole durata del processo. Il Legislatore considera quindi, in linea di principio, nei processi relativi a interventi urgenti, prevalenti le esigenze di celerità rispetto a quelle di piena e diffusa esplicazione dei presupposti di fatto e diritto della decisione.
In ogni caso, trattando una questione avente caratteri di novità, la presente sentenza viene redatta nelle forme ordinarie, avvalendosi il Collegio della facoltà derogatoria di cui allo stesso comma 10 dell’art. 120 c.p.a.
In assenza di una diversa disposizione transitoria e non attenendo agli aspetti della giurisdizione o della competenza, l’art. 3 del d.l. n. 85/2022 si applica anche alle fasi non concluse dei procedimenti in corso riguardanti “interventi finanziati in tutto o in parte con le risorse previste dal PNRR”.
Ai sensi dell’art. 3, comma 5, del d.l. n. 85/2022, alle controversie sul PNRR si applicano gli artt. 119, comma 2 e 120, commi 9 e 10, c.p.a., inerenti al dimezzamento dei termini, al termine di deposito della sentenza ed alla redazione della sentenza nella forma semplificata.
RITO APPALTI E DOMANDA CAUTELARE
L’art. 120, comma 6, prima parte, del codice del processo amministrativo, di cui l’appellante deduce la violazione, nel testo attualmente vigente, stabilisce che “Il giudizio, qualora le parti richiedano congiuntamente di limitare la decisione all’esame di un’unica questione, nonché in ogni altro caso compatibilmente con le esigenze di difesa di tutte le parti in relazione alla complessità della causa, è di norma definito, anche in deroga al comma 1, primo periodo dell’articolo 74, in esito all’udienza cautelare ai sensi dell’articolo 60, ove ne ricorrano i presupposti, e, in mancanza, viene comunque definito con sentenza in forma semplificata ad una udienza fissata d’ufficio e da tenersi entro quarantacinque giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente”.
La richiamata disposizione prevede dunque che, in materia di giudizi aventi ad oggetto procedure di evidenza pubblica, il giudizio è di norma definito alla camera di consiglio fissata per l’esame della domanda cautelare (ove proposta).
In ogni caso rimette al Collegio la valutazione della sussistenza o meno di elementi impeditivi, tipizzati dalla stessa disposizione: nel qual caso la decisione sul merito, comunque da rendere in forma semplificata, viene rinviata ad una udienza prossima.
Tale disciplina rende tendenzialmente obbligato, salvo eventi eccezionali indicati dalla stessa disposizione, il percorso processuale che esaurisce il giudizio nell’unica udienza camerale fissate per l’esame della domanda cautelare.
In ogni caso la disposizione manifestamente esclude la sussistenza di un diritto potestativo di natura processuale della parte ricorrente, avente ad oggetto la calendarizzazione della decisione: dopo la proposizione della domanda cautelare, di cui la parte accetta evidentemente le conseguenze disciplinari sul piano processuale, la norma impone la decisione immediata, salvo eccezioni (la cui valutazione è comunque di competenza esclusiva del collegio).
Tale disciplina è del resto oltremodo ragionevole, dal momento che si fonda sulla necessità, in ragione della natura degl’interessi implicati, di una sollecita decisione di merito, onde consentire il sindacato giurisdizionale senza rallentare eccessivamente le procedure di evidenza pubblica
Poiché tale regime implica, inevitabilmente, la compressione di spazi processuali in danno di altre materie, parimenti afferenti la complessiva domanda di giustizia, la disposizione in esame coerentemente ricollega alla proposizione della domanda cautelare un effetto processuale non più negoziabile (salvo il ricorrere dei fatti impeditivi tipizzati).
ACCETTAZIONE DEL PROVVEDIMENTO LESIVO ANCHE SE TACITA - INIBISCE POSSIBILITA' DI FARE RICORSO
Sempre in via preliminare si deve rammentare che, secondo una consolidata giurisprudenza (ex multis, Consiglio di Stato, IV, 4 dicembre 2013, n. 5775; id., Sez. V, 8 novembre 2012, n. 5694; id., Sez. VI, 19 marzo 2015, n. 1417), dalla quale non v’è motivo per discostarsi, l’acquiescenza - intesa come accettazione espressa o tacita del provvedimento amministrativo lesivo, con conseguente estinzione del diritto di agire in giudizio - si configura soltanto in presenza di una condotta, da parte dell’avente titolo all’impugnazione, libera e inequivocabilmente diretta a manifestare la volontà di non contestare più l’assetto di interessi definito dall’Amministrazione mediante il provvedimento lesivo; pertanto il relativo accertamento, in quanto incidente sul fondamentale diritto alla tutela giurisdizionale, dev’essere accurato ed esauriente e svolgersi su tutti i dati fattuali che hanno caratterizzato la dichiarazione negoziale, dalla quale deve dunque risultare senza alcuna incertezza la presenza di una chiara intenzione definitiva di non rimettere in discussione l’atto lesivo.
L’acquiescenza si configura, quindi, solo in presenza di atti, comportamenti o dichiarazioni univoci, posti liberamente in essere dal destinatario del provvedimento lesivo, che dimostrino anzitutto che questi ha potuto comprenderne il contenuto e che sussiste la chiara ed incondizionata (cioè non rimessa ad eventi futuri ed incerti) volontà del destinatario del provvedimento stesso di accettarne in via definitiva e irrevocabile gli effetti.
Tanto premesso, il Collegio ritiene di non poter aderire alla richiesta della parte ricorrente di concessione di un rinvio dell’udienza, perché risulta manifestamente fondata la seconda, assorbente eccezione processuale sollevata dall’APSS, con la conseguenza che il presente ricorso dev’essere dichiarato inammissibile per acquiescenza tacita della società ricorrente al provvedimento di aggiudicazione del lotto n. 1 alla controinteressata C.
RICORSO CONTRO ESCLUSIONE APPALTO - ILLEGITTIMO SE NON SI E' IMPUGNATA ANCHE AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA
Come risulta dal consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa, il ricorso avverso l’esclusione da una gara pubblica è improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse allorché non sia impugnata nei termini, nonostante la tempestiva comunicazione, l’aggiudicazione definitiva dell’appalto, che costituisce l’atto che OMISSIS definitiva la lesione dell’interesse azionato dal soggetto escluso; infatti l’eventuale annullamento della esclusione, che ha effetto viziante e non caducante, lasciando sopravvivere l’aggiudicazione non impugnata, non è idoneo ad attribuire al ricorrente alcun effetto utile (cfr, fra le tante, Cons. Stato, III, 24 marzo 2021, n. 2501; 20 maggio 2020, n. 3200).
Invero, l’interesse che un soggetto escluso da una gara pubblica fa valere è quello di conseguire l’aggiudicazione della gara, mentre rispetto ad esso la rimozione dell’esclusione costituisce un passaggio solo strumentale; conseguentemente, data la relazione intercorrente tra esclusione ed aggiudicazione, anche quest’ultima deve essere necessariamente impugnata, poiché il difetto di impugnazione dell’aggiudicazione avrebbe come conseguenza l’inutilità di un’eventuale decisione di annullamento dell’esclusione, la quale non varrebbe a rimuovere anche l’aggiudicazione, che sarebbe affetta da un’invalidità ad effetto solo viziante, e non caducante e perciò non permetterebbe un reinserimento dell’escluso nella procedura, ormai esaurita ed inoppugnabile (cfr. Cons. Stato, V, 2 marzo 2021, n. 1783; 28 luglio 2015, n. 3708; 4 giugno 2015, n. 2759).
Nella fattispecie in questione, l’Impresa M. si è limitata ad impugnare in primo grado solo la revoca dell’approvazione della proposta di aggiudicazione nei suoi confronti, ma non l’aggiudicazione della gara alla controinteressata nel frattempo intervenuta, pacificamente dalla stessa conosciuta.
Ne consegue che l’annullamento dell’atto impugnato non rivestirebbe alcuna utilità per l’appellante, atteso che non varrebbe a rimuovere anche l’aggiudicazione, che sarebbe affetta da un’invalidità ad effetto solo viziante, e non caducante. La carenza di interesse all’azione, quindi, inesorabilmente improcedibile il ricorso di primo grado.
Alla luce delle suesposte considerazioni l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza appellata di improcedibilità del ricorso di primo grado, con conseguente preclusione alla disamina del merito della controversia.
RICORSO AMMINISTRATIVO E ONERE DI RESISTENZA - QUANDO DEVE ESSERE COMPROVATO
Il Comune ha eccepito l’inammissibilità del ricorso per mancato superamento della prova di resistenza, poiché la ricorrente non avrebbe dimostrato come un eventuale accoglimento del vizio di motivazione le consentirebbe di ottenere il bene della vita anelato.
L’eccezione non è fondata.
In giurisprudenza viene costantemente affermato che:
- allorché le censure proposte sono dirette ad ottenere l'annullamento dell'intera procedura e non il conseguimento di una immediata collocazione utile nella graduatoria impugnata, non sussiste in capo al deducente l'onere di fornire alcuna prova di resistenza (si vedano, in tal senso, Cons. Stato, sez. III, 2.3.2018, n. 1312 e 5 marzo 2018, n. 1335; Id., sez. VI, 1.4.2016, n. 1288);
- ciò è tanto più vero nella ipotesi in cui oggetto di censura è lo stesso assetto di regole disciplinari sulla cui base si è svolta la selezione, in particolare laddove dette regole rendano scarsamente intelligibili (e quindi non criticabili) gli esiti del confronto competitivo;
- l'utilitas che in ipotesi siffatte la parte ricorrente in giudizio può ritrarre è quella, già evidenziata, della rinnovazione della gara, interesse strumentale che la Corte di Giustizia UE riconosce, nelle controversie relative all'aggiudicazione di appalti pubblici, come meritevole di tutela per esigenze di effettività (cfr. sentenza Puligienica, Corte di giustizia Ue, grande sezione, 5 aprile 2016, C-689/13).
Questi principi si attagliano al caso di specie in cui viene proposta una censura di difetto di motivazione dei punteggi numerici attribuiti all’offerta tecnica che mira alla caducazione dell’intera procedura di gara: non può quindi ritenersi che fosse onere della …… s.p.a. fornire alcuna dimostrazione della spettanza dell’aggiudicazione né dell’irragionevolezza di una valutazione che, nella prospettazione della ricorrente, è incomprensibile.
RICORSO AL CAPO DELLO STATO - NON AMMESSO NEI CONTRATTI PUBBLICI
In materia di pubblici affidamenti, il rimedio giurisdizionale avverso gli atti illegittimi facenti parte delle relative procedure è unico, e si riduce al solo ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente, con esclusione, quindi, del ricorso straordinario al Capo dello Stato.
L’art. 120 c.p.a rubricato ‘disposizioni specifiche ai giudizi di cui all’art. 119 comma 1, lett. a)’ si applica alle controversie aventi ad oggetto gli atti delle procedure di affidamento, comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico – amministrative relativamente a pubblici lavori, servizi o forniture dinanzi al giudice amministrativo. Si occupa, altresì, dell’eventuale proposizione dei c.d. motivi aggiunti e del procedimento che un giudice deve seguire per poter emettere una sentenza con la quale definire una controversia.
Ai sensi dell’art. 120, comma 1, del c.p.a., “Gli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico – amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i connessi provvedimenti dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, sono impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente”.
La norma, che esclude la proponibilità del ricorso straordinario nel contenzioso sui pubblici appalti, è stata inserita nell’art. 245, comma 1, del d.lgs. 20 marzo 2010, n. 163, per effetto della sostituzione operata dall’art. 8, comma 1, lett. b) del d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53.
Questo Consiglio, nel parere reso sullo schema del d.lgs. n. 53 del 2010, ha evidenziato che la scelta di escludere il ricorso straordinario è ‘coerente con l’accentuata specialità che connota il nuovo rito in materia di appalti’ (Cons. Stato, commissione speciale, 1 febbraio 2010 n. 368).
Le esigenze di una tutela assicurata in tempi rapidi (proprie del rito) non sarebbero, infatti, compatibili con la possibilità, per l’interessato, di attivare un contenzioso dopo centoventi giorni dall’emanazione dei provvedimenti impugnati; con ulteriore allungamento dei tempi nell’ipotesi di istanza di trasposizione proposta dall’amministrazione appaltante o dai controinteressati.
In questo senso si è espressa la giurisprudenza amministrativa, precisando che, in base all’art. 120, è preclusa la possibilità di impugnare gli atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici con gli strumenti della tutela giustiziale (incluso il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica).
Tale esclusione è motivata anche per la complessiva ratio che sorregge la disciplina dettata dal codice del processo amministrativo per tale tipo di controversie, cadenzata da tempi processuali serrati e stringenti, il cui rispetto sarebbe certamente pregiudicato dallo svolgimento di una fase contenziosa da svolgersi davanti all’amministrazione; pertanto, in tale tipo di controversie, l’eventuale proposizione di ricorsi amministrativi non determina la sospensione del termine per proporre ricorso giurisdizionale. E’ stato, infatti, chiarito che: “Non vi sono dubbi circa l’esistenza della preclusione, espressamente prevista dalla disciplina del c.d. rito appalti, ed appare altrettanto chiaro che la conseguente inammissibilità del ricorso straordinario deve riverberarsi sulla sua eventuale trasposizione in sede giurisdizionale, in quanto in caso contrario si vanificherebbe la stessa ratio di una disciplina processuale speciale accellerata volta a garantire una rapida conclusione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici”(Cons. Stato, n. 6237 del 2018).
Secondo l’indirizzo condiviso dalla giurisprudenza amministrativa, a tale conclusione si perviene in via ermeneutica già dalla lettura del primo comma dell’art. 120, il quale prevede che il ricorso al T.A.R. competente costituisca l’unico mezzo di impugnazione attribuito alle parti per ricorrere avverso gli atti delle procedure di affidamento, come emerge dall’utilizzo dell’enunciato linguistico “unicamente”.
Converge in tal senso l’univoco orientamento di questo Consiglio, secondo cui: “sono soggetti al c.d. rito appalti, ovvero al giudizio ordinario di legittimità che si svolge davanti al giudice amministrativo, e che ha ad oggetto la complessa attività della pubblica amministrazione finalizzata alla conclusione di contratti, gli ‘atti delle procedure di affidamento’ relative a ‘pubblici lavori, servizi o forniture’ (comma 1 dell’art. 120 c.p.a., sopra citato). In termini analoghi si esprime l’art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a., attraverso l’impiego dell’espressione ‘procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture’(…) entrambe le formule normative hanno carattere generale, sono in altri termini riferite a tutti gli atti che si collocano nella fase c.d. pubblicistica di selezione del contraente privato e che precedono la stipula del contratto”(Cons. Stato, n. 2444 del 2017)
In ipotesi di esclusione dalla procedura di affidamento, ai sensi dell’art. 120 comma 2 bis c.p.a., la società esclusa è tenuta ad impugnare il provvedimento di esclusione entro il termine di trenta giorni, che decorre dalla comunicazione del provvedimento motivato (art. 29 d.lg. n. 50 del 2016) da parte della stazione appaltante. L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale.
ONE SHOT TEMPERATO – DURATA RICORSO AMMINISTRATIVO - EVITARE INUTILI RIGETTI O ANNULLAMENTI
Nella specie, fermi i rilievi guidati dalla pronuncia della Sezione sul punto dell’esame dell’adeguatezza patrimoniale, da condursi in concreto, senza deroghe alla disciplina di settore ( non potendosi argomentare in tal senso dal fugace riferimento al patrimonio netto contenuto nella sentenza CdS VI n. 8017 del 2019 , nozione civilistica volta solo ad orientare la tipologia di esame da effettuare – non sulla base del mero capitale versato - ma certamente secondo le regole della vigilanza di settore ) ha integralmente rimesso alla Banca d’Italia il nuovo intero apprezzamento della fattispecie imponendo solo che venisse fatto a partire da una concreta analisi dell’adeguatezza patrimoniale dell’intermediario come base di partenza dell’attività di riesame; dall’analisi degli atti emerge come la Banca d’Italia abbia svolto un approfondimento proprio nell’ottica del vaglio completo di tutti gli elementi in suo possesso e di quelli sopravvenuti, così come imposta dall’esecuzione della sentenza e dai principi già espressi da questo Consiglio relativi all’attuazione del giudicato.
In proposito, il giudicato per la sua latitudine ed ampiezza permetteva di fare applicazione del principio del c.d. one shot temperato, formatosi in sede giurisprudenziale per evitare che l'amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale; tanto comporta che è dovere della stessa pubblica amministrazione riesaminare una seconda volta l'affare nella sua interezza, sollevando tutte le questioni rilevanti, con definitiva preclusione (per l'avvenire, e, in sostanza, per una terza volta) di tornare a decidere sfavorevolmente per il privato; tale principio costituisce il punto di equilibrio tra due opposte esigenze, quali la garanzia di inesauribilità del potere di amministrazione attiva e la portata cogente del giudicato di annullamento con i suoi effetti conformativi.
Al riguardo, va ricordato che tale principio è già emerso come consolidato nella giurisprudenza di questo Consiglio, come principio del c.d. one shot temperato, per evitare che l'amministrazione possa riprovvedere per un numero infinito di volte ad ogni annullamento in sede giurisdizionale.
RICORSO ATTI DI GARA - SEDE COMPETENTE E' IL TAR
In materia di pubblici affidamenti, il rimedio giurisdizionale avverso gli atti illegittimi facenti parte delle relative procedure è unico, e si riduce al solo ricorso al Tribunale amministrativo regionale competente, con esclusione, quindi, del ricorso straordinario al Capo dello Stato.
L’art. 120 c.p.a rubricato ‘disposizioni specifiche ai giudizi di cui all’art. 119 comma 1, lett. a)’ si applica alle controversie aventi ad oggetto gli atti delle procedure di affidamento, comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico – amministrative relativamente a pubblici lavori, servizi o forniture dinanzi al giudice amministrativo. Si occupa, altresì, dell’eventuale proposizione dei c.d. motivi aggiunti e del procedimento che un giudice deve seguire per poter emettere una sentenza con la quale definire una controversia.
Ai sensi dell’art. 120, comma 1, del c.p.a., “Gli atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico – amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i connessi provvedimenti dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, sono impugnabili unicamente mediante ricorso al tribunale amministrativo regionale competente”.
La norma, che esclude la proponibilità del ricorso straordinario nel contenzioso sui pubblici appalti, è stata inserita nell’art. 245, comma 1, del d.lgs. 20 marzo 2010, n. 163, per effetto della sostituzione operata dall’art. 8, comma 1, lett. b) del d.lgs. 20 marzo 2010, n. 53.
Questo Consiglio, nel parere reso sullo schema del d.lgs. n. 53 del 2010, ha evidenziato che la scelta di escludere il ricorso straordinario è ‘coerente con l’accentuata specialità che connota il nuovo rito in materia di appalti’ (Cons. Stato, commissione speciale, 1 febbraio 2010 n. 368).
Le esigenze di una tutela assicurata in tempi rapidi (proprie del rito) non sarebbero, infatti, compatibili con la possibilità, per l’interessato, di attivare un contenzioso dopo centoventi giorni dall’emanazione dei provvedimenti impugnati; con ulteriore allungamento dei tempi nell’ipotesi di istanza di trasposizione proposta dall’amministrazione appaltante o dai controinteressati.
In questo senso si è espressa la giurisprudenza amministrativa, precisando che, in base all’art. 120, è preclusa la possibilità di impugnare gli atti delle procedure di affidamento di contratti pubblici con gli strumenti della tutela giustiziale (incluso il ricorso straordinario al Presidente della Repubblica).
Tale esclusione è motivata anche per la complessiva ratio che sorregge la disciplina dettata dal codice del processo amministrativo per tale tipo di controversie, cadenzata da tempi processuali serrati e stringenti, il cui rispetto sarebbe certamente pregiudicato dallo svolgimento di una fase contenziosa da svolgersi davanti all’amministrazione; pertanto, in tale tipo di controversie, l’eventuale proposizione di ricorsi amministrativi non determina la sospensione del termine per proporre ricorso giurisdizionale. E’ stato, infatti, chiarito che: “Non vi sono dubbi circa l’esistenza della preclusione, espressamente prevista dalla disciplina del c.d. rito appalti, ed appare altrettanto chiaro che la conseguente inammissibilità del ricorso straordinario deve riverberarsi sulla sua eventuale trasposizione in sede giurisdizionale, in quanto in caso contrario si vanificherebbe la stessa ratio di una disciplina processuale speciale accellerata volta a garantire una rapida conclusione delle procedure di affidamento dei contratti pubblici”(Cons. Stato, n. 6237 del 2018).
Secondo l’indirizzo condiviso dalla giurisprudenza amministrativa, a tale conclusione si perviene in via ermeneutica già dalla lettura del primo comma dell’art. 120, il quale prevede che il ricorso al T.A.R. competente costituisca l’unico mezzo di impugnazione attribuito alle parti per ricorrere avverso gli atti delle procedure di affidamento, come emerge dall’utilizzo dell’enunciato linguistico “unicamente”.
Converge in tal senso l’univoco orientamento di questo Consiglio, secondo cui: “sono soggetti al c.d. rito appalti, ovvero al giudizio ordinario di legittimità che si svolge davanti al giudice amministrativo, e che ha ad oggetto la complessa attività della pubblica amministrazione finalizzata alla conclusione di contratti, gli ‘atti delle procedure di affidamento’ relative a ‘pubblici lavori, servizi o forniture’ (comma 1 dell’art. 120 c.p.a., sopra citato). In termini analoghi si esprime l’art. 119, comma 1, lett. a), c.p.a., attraverso l’impiego dell’espressione ‘procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture’(…) entrambe le formule normative hanno carattere generale, sono in altri termini riferite a tutti gli atti che si collocano nella fase c.d. pubblicistica di selezione del contraente privato e che precedono la stipula del contratto”(Cons. Stato, n. 2444 del 2017)
In ipotesi di esclusione dalla procedura di affidamento, ai sensi dell’art. 120 comma 2 bis c.p.a., la società esclusa è tenuta ad impugnare il provvedimento di esclusione entro il termine di trenta giorni, che decorre dalla comunicazione del provvedimento motivato (art. 29 d.lg. n. 50 del 2016) da parte della stazione appaltante. L’omessa impugnazione preclude la facoltà di far valere l’illegittimità derivata dei successivi atti delle procedure di affidamento, anche con ricorso incidentale.
RICORSO OLTRE SEI MESI NEL CASO DI ASSENZA PUBBLICAZIONE BANDO - RESPINTO PER TARDIVITA'
In accoglimento delle eccezioni sollevate dalle parti resistenti, il ricorso dev’essere dichiarato irricevibile per tardività, essendo stato proposto oltre il termine semestrale di cui all’art. 120, comma 2, c.p.a..
In proposito, la sezione ritiene di richiamare – ex art. 88 comma 2 lett. d) c.p.a. – il precedente costituito dalla propria sentenza 14.10.2021, n. 876, ribadendo che “In base alla predetta disposizione (riproduttiva del previgente art. 245, comma 2, del d.lgs. n. 163/2006, come novellato dal d.lgs. n. 53/2010), “Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso non può comunque essere più proposto decorsi trenta giorni decorrenti dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso di aggiudicazione definitiva di cui all’articolo 65 e all’articolo 225 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, a condizione che tale avviso contenga la motivazione dell’atto con cui la stazione appaltante ha deciso di affidare il contratto senza previa pubblicazione del bando. Se sono omessi gli avvisi o le informazioni di cui al presente comma oppure se essi non sono conformi alle prescrizioni ivi contenute, il ricorso non può comunque essere proposto decorsi sei mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto”. Pertanto, accanto alla regola generale secondo cui gli atti della procedura vanno impugnati entro trenta giorni dalla relativa pubblicazione o comunicazione (art. 120, comma 2, primo periodo, e comma 5, c.p.a.), per i casi in cui sia mancata la pubblicità del bando e dell’avviso di aggiudicazione l’art. 120, comma 2, secondo periodo c.p.a. stabilisce l’impossibilità di promuovere il giudizio dopo il decorso del termine decadenziale di sei mesi dalla stipula del negozio. Si tratta di una norma di chiusura del sistema delle impugnazioni in materia di contratti pubblici, di derivazione comunitaria (v. art. 2-septies della direttiva 89/665/CEE e art. 2-septies della direttiva 92/13/CEE), che fissa un termine ultimo di gravame non superabile, impedendo che gli esiti del procedimento di affidamento possano essere rimessi in discussione dopo il predetto arco temporale (in argomento cfr., ex aliis, T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 13 luglio 2020, n. 1707; T.A.R. Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 19 giugno 2019, n. 547; T.A.R. Abruzzo, L’Aquila, sez. I, 6 maggio 2014, n. 417). Come evidenziato in dottrina e in giurisprudenza, il termine massimo semestrale, preclusivo della proposizione del ricorso, opera a prescindere dalla conoscenza degli atti (in ipotesi) illegittimi da parte del soggetto leso (cfr. Cons. St., commissione speciale, parere n. 368 in data 1° febbraio 2010; T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 13 luglio 2020, n. 1707, cit., secondo cui la norma “ha introdotto una presunzione legale di conoscenza ai fini della decorrenza dei termini per la proposizione del ricorso”). La ratio della previsione, derogatoria dei tradizionali principi in materia di impugnazione degli atti amministrativi, risiede nel contemperamento della tutela dell’interesse legittimo con le esigenze di celerità e certezza proprie della materia dei contratti della pubblica amministrazione, garantite mediante la stabilizzazione dell’affidamento non gravato entro sei mesi dalla sottoscrizione dell’accordo negoziale. Il termine semestrale si applica in tutti i casi in cui siano state omesse le formalità pubblicitarie e, quindi, non soltanto quando il confronto competitivo abbia avuto luogo senza rendere conoscibili all’esterno i relativi atti, ma anche nelle fattispecie in cui l’amministrazione non abbia nemmeno esperito la procedura comparativa, affidando direttamente il contratto ad un operatore privato (v. T.A.R. Sicilia, Catania, sez. III, 13 luglio 2020, n. 1707, cit.) o ad una società in house”.
Si tratta di principi affermati in una fattispecie in cui la società ricorrente aveva diritto ad una comunicazione individuale, e che debbono pertanto valere – a più forte ragione – nel caso di specie, in cui il termine impugnatorio decorreva, secondo i principi generali, dalla conoscenza legale, ovvero “dal giorno in cui sia scaduto il termine della pubblicazione se questa sia prevista dalla legge o in base alla legge” (art. 41 comma 2 c.p.a.).
Ai sensi dell’art. 124 del T.U.E.L, infatti, “tutte le deliberazioni del comune e della provincia sono pubblicate mediante pubblicazione all'albo pretorio, nella sede dell'ente, per quindici giorni consecutivi, salvo specifiche disposizioni di legge”, ed è noto che per “deliberazioni” si intendono, pacificamente, anche le determinazioni dirigenziali (cfr., per tutte, Cons. di St., V, 18.6.2018, n. 3719).
Orbene, il Comune di Genova ha provato che la determinazione dirigenziale a contrattare 22 gennaio 2021 n. 2021-188.0.0.-2, di approvazione dello schema di contratto di rinegoziazione, è stata pubblicata, ai sensi dell'art. 32 della legge 18 giugno 2009, n. 69 e s.m.i, nell'albo pretorio on line del Comune dall’1.2.2021 al 16.2.2021 (doc. 11 delle produzioni 18.10.2021 di parte comunale).
Né vale opporre una pretesa nullità e/o inefficacia della disposta rinegoziazione, in quanto priva della necessaria copertura finanziaria per gli esercizi dal 2023 al 2028.
DIES A QUO - TERMINE PER IMPUGNARE AGGIUDICAZIONE - RATIO DELLA "SOTTRAZIONE DEI GIORNI"
L’appellante sostiene che, ammesso e non concesso che il termine per impugnare fosse quello di 30 giorni + 15 giorni per l’accesso, dai 45 giorni complessivi dovessero essere sottratti i giorni – nel caso di specie 6 – che l’impresa ha atteso per effettuare l’accesso, in quanto, diversamente, si lascerebbe il concorrente arbitro di determinare ad libitum la decorrenza del termine.
Si tratta di un’argomentazione non certo irrilevante, nel calcolare il dies a quo per la decorrenza del termine per impugnare nel caso di accesso agli atti di gara, ma la tesi della c.d. “sottrazione dei giorni” sostenuta dalle appellanti non sembra essere un portato necessario dei principî affermati dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato nella sentenza n. 12 del 2 luglio 2020 e non pare del tutto compatibile con il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale riconosciuto dal diritto nazionale (art. 24 Cost.) ed europeo in materia di ricorsi relativi agli appalti pubblici.
Sostenere infatti che dal complessivo termine di 30 giorni + 15 giorni, individuato dall’Adunanza plenaria nella sentenza n. 12 del 2 luglio 2020 per la c.d. dilazione temporale in ipotesi di accesso, debbano essere sottratti i sei giorni che l’impresa concorrente ha impiegato per chiedere l’accesso agli atti significa porre a carico del concorrente l’onere di proporre l’accesso non solo tempestivamente, come certo l’ordinaria diligenza, prima ancora che l’art. 120, comma 5, c.p.a. gli impone di fare, ma addirittura immediatamente, senza lasciargli nemmeno un minimo ragionevole spatium deliberandi per valutare la necessità o, comunque, l’opportunità dell’accesso al fine di impugnare, mentre, va qui ricordato, la stessa amministrazione, ai sensi dell’art. 76, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016, dispone di ben quindici giorni per consentire o meno l’accesso agli atti, al di là dell’eventuale superamento di questo termine per condotte dilatorie od ostruzionistiche.
Sotto la vigenza del precedente codice dei contratti pubblici, il termine a disposizione del privato per esercitare il proprio diritto d’accesso era stato fissato espressamente dal legislatore in 10 giorni (cfr. art. 79, comma 5-quater, del d. lgs. n. 163 del 2006).
Vero è che tale disposizione non è stata riprodotta nell’attuale codice dei contratti pubblici, ma altrettanto vero è che la Corte costituzionale ha da ultimo evidenziato come un’interpretazione conforme al contesto logico-giuridico di riferimento conduca a ritenere che la dilazione temporale del termine per la proposizione del ricorso sia «correlata all’esercizio dell’accesso nei quindici giorni previsti attualmente dall’art. 76 del vigente “secondo” cod. dei contratti pubblici (e, in precedenza, ai dieci giorni indicati invece dall’art. 79 del “primo” cod. contratti pubblici)» (Corte cost., 28 ottobre 2021, n. 204).
Esiste dunque piena continuità tra i due regimi normativi e l’istanza di accesso presentata dall’odierna appellata risulta tempestiva avuto riguardo ad entrambi.
Una diversa interpretazione, che pretenda di applicare il meccanismo della c.d. “sottrazione dei giorni” anche ad un’istanza d’accesso presentata entro un termine contenuto e ragionevole (e, comunque, non superiore ai suddetti quindici giorni), potrebbe risultare non del tutto in sintonia con i principi di legittimo affidamento e di proporzionalità.
La Sezione non ignora che, in seguito alla pronuncia dell’Adunanza plenaria, esista un orientamento più rigoroso in questa materia (v., ad esempio, Cons. St., sez. V, 16 aprile 2021, n. 3127), secondo cui più tempestiva è l’istanza di accesso che il concorrente presenti una volta avuta conoscenza dell’aggiudicazione, maggiore sarà il tempo a sua disposizione per il ricorso giurisdizionale, mentre «quel che non può consentirsi è che il concorrente possa, rinviando nel tempo l’istanza di accesso agli atti di gara, posticipare a suo gradimento il termine ultimo per l’impugnazione dell’aggiudicazione» e, cioè, i 45 giorni decorrenti dalla conoscenza dell’aggiudicazione, ma nondimeno ritiene che debba essere permesso alla concorrente per poter chiedere l’accesso un congruo termine, eguale a quello assegnato all’amministrazione per consentirlo («immediatamente e comunque entro quindici giorni»: art. 76, comma 2, del d. lgs. n. 50 del 2016), senza sottrarre questi pochi giorni (nel caso di specie appena sei), invero già esigui perché contraddistinti da rigide preclusioni decadenziali ispirate in questa materia ad una evidente ratio acceleratoria, dai 45 giorni indicati dall’Adunanza plenaria, in modo da non superare così nel rispetto della stessa ratio acceleratoria, complessivamente e a tutto concedere anche nell’ipotesi di richiesto (e ottenuto) accesso, il termine ordinario massimo di 30 giorni per impugnare gli atti di gara.
Ne discende, dunque, che il ricorso di OMISSIS S.p.a., notificato l’11 gennaio 2021, si deve ritenere tempestivo, come ha ritenuto il primo giudice, non potendo essere sottratti ragionevolmente, secondo una interpretazione costituzionalmente orientata che, senza eludere la disciplina dei termini decadenziali, non sacrifichi però eccessivamente il diritto di difesa, i menzionati 6 giorni dai complessivi 45 giorni indicati dall’Adunanza plenaria, con la conseguente reiezione dell’istanza, formulata in via subordinata dall’appellata, di rimettere all’Adunanza plenaria la questione sulla decorrenza del termine per impugnare nell’ipotesi, qui non inveratasi, in cui il Collegio avesse ritenuto di seguire una interpretazione diversa.
MANCATA PUBBLICAZIONE IN GURI - ININFLUENTE IN QUANTO TERMINE DECORRE DALL'AGGIUDICAZIONE
Il bando di gara – in relazione a quanto emerge dagli atti versati in giudizio – non risulta oggetto di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (né della Repubblica Italiana, né della Regione Siciliana).
In esito allo svolgimento della procedura di gara il Comune, con determina n. 27 del 5 gennaio 2021 (pubblicata il 7 gennaio 2021, così dal ricorso introduttivo), ha disposto l’aggiudicazione in favore della società controinteressata per l’importo di gara pari ad euro 133.550,00 oltre IVA, detratta la percentuale di ribasso.
La norma di riferimento, per valutare la ricevibilità, o meno, del ricorso, è l’art. 120 comma 2 c.p.a.
Ai sensi dell’art. 120 comma 2 c.p.a. l’impugnazione del bando decorre dalla pubblicazione dello stesso o, in mancanza di pubblicità del medesimo, dalla pubblicazione dell’avviso di aggiudicazione.
Lo scrutinio del motivo impone di valutare se nel caso di specie vi è stata pubblicazione del bando. In quanto, in tale caso, il ricorso non è tempestivo. Diversamente, cioè calcolando i trenta giorni dalla pubblicazione dell’avviso di aggiudicazione, il ricorso sarebbe tempestivo.
Ai sensi del richiamato art. 73 comma 5 del d. lgs. n. 50 del 2016 “gli effetti giuridici che l’ordinamento connette alla pubblicità in ambito nazionale decorrono dalla data di pubblicazione sulla piattaforma digitale dei bandi di gara presso l’ANAC”. La disposizione che regolamenta la pubblicità in ambito nazionale è proprio l’art. 73, intitolato appunto “Pubblicazione a livello nazionale” (laddove invece l’art. 72 si occupa della pubblicità a livello eurounitario).
Solo rispetto agli avvisi e ai bandi relativi a lavori di importo inferiore a cinquecentomila euro gli effetti giuridici connessi alla pubblicazione decorrono pertanto dalla pubblicazione nell’albo pretorio del Comune ove si eseguono i lavori mentre, negli altri casi, e in particolare per i contratti relativi ai servizi, come quello oggetto della gara de quo, gli effetti decorrono dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale.
Del resto, con l’art. 2 comma 6 del d.m. 2 dicembre 2016 è altresì precisato che “fino alla data di cui al primo periodo del presente comma, per le finalità di cui all’art. 29 del codice, i bandi e gli avvisi sono pubblicati, entro i successivi due giorni lavorativi dalla pubblicazione avente valore legale, sulla piattaforma informatica del Ministero delle infrastrutture e trasporti anche tramite i sistemi informatizzati delle regioni ad essa collegati”, dal che si desume che, per quanto riguarda i bandi e gli avvisi, la pubblicazione avente valore legale non è quella prevista dall’art. 29. Quest’ultimo infatti reca la precisazione che “Fatti salvi gli atti a cui si applica l’articolo 73, comma 5, i termini cui sono collegati gli effetti giuridici della pubblicazione decorrono dalla data di pubblicazione sul profilo del committente” e gli atti cui si applica l’art. 73 comma 5 sono, come già visto, i bandi di gara.
In ragione di ciò non si attaglia al caso di specie il richiamo di parte appellante alla statuizione dell’Adunanza plenaria, che, decidendo in merito alla diversa fattispecie dell’impugnazione dell’aggiudicazione (che non rientra nella richiamata previsione di cui all’art. 73 comma 5), ha menzionato in termini generali l’art. 29 del d. lgs. n. 50 del 2016 e ha affermato che “L’impresa interessata – che intenda proporre un ricorso – ha l’onere di consultare il ‘profilo del committente’, dovendosi desumere la conoscenza legale degli atti dalla data nella quale ha luogo la loro pubblicazione con i relativi allegati (data che deve costantemente risultare dal sito)” e che “la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali allegati, ex art. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione” (2 luglio 2020 n. 12).
Del resto, in termini generali anche il principio di effettività della tutela di cui alla direttiva 89/665/CEE depone nel senso che i termini imposti per proporre i ricorsi avverso gli atti delle procedure di affidamento cominciano a decorrere solo quando “il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione” (Corte di giustizia, sez. IV, 14 febbraio 2019, in C-54/18, punto 21 e anche punti 32 e 45, che ha deciso una questione pregiudiziale riguardante il comma 2 bis dell’art. 120 del c.p.a., poi abrogato dalla legge n. 55 del 2019, e sez. V, 8 maggio 2014, in C-161/13, punto 37, che ha deciso una questione pregiudiziale riguardante proprio l’art. 79 del d. lgs. n. 163 del 2006 e l’art. 120, comma 5, del c.p.a.).
In tale prospettiva, con specifico riferimento all’impugnazione delle regole di gara, la Corte di giustizia ha stabilito che “l’art. 1, par. 1, comma 3, della Dir. 89/665, e gli artt. 2, 44, par. 1, e 53, par. 1, lett. a), della Dir. 2004/18, devono essere interpretati nel senso che impongono che un diritto di ricorso relativo alla legittimità della gara sia azionabile, dopo la scadenza del termine previsto dal diritto nazionale, da un offerente ragionevolmente informato e normalmente diligente che è stato in grado di comprendere le condizioni della gara unicamente nel momento in cui l’amministrazione aggiudicatrice, dopo aver valutato le offerte, ha fornito informazioni esaustive sulle motivazioni della sua decisione”. Al riguardo ha altresì precisato che “un siffatto diritto di ricorso può essere esercitato fino al momento della scadenza del termine di ricorso avverso la decisione di aggiudicazione dell’appalto” (Corte di giustizia UE, sez. V, 12 marzo 2015, C-538/13), dettando una regola che risulta recepita dall’art. 120 comma 2 c.p.a. e che è applicabile al caso di specie, laddove il termine di impugnazione decorre, per le ragioni sopra illustrate, dall’aggiudicazione (determina 5 gennaio 2021 n. 27, pubblicata il 7 gennaio 2021, così dal ricorso introduttivo), con conseguente tempestività del ricorso (notificato il 3 febbraio 2021).
ESAME CONGIUNTO RICORSO PRINCIPALE E INCIDENTALE - PRESUPPOSTI
Con il secondo motivo di ricorso perché “nessuna certificazione afferente le suddette informazioni (volumi degli edifici e classi d’uso) risulta esser stata allegata dall’RTP B5 S.r.l. nella busta tecnica/conformità in violazione di quanto expressis verbis stabilito dal combinato dei citati artt. 7.3 e 16 del Disciplinare”.
Le parti hanno insistito nelle proprie difese e prodotto documenti e alla pubblica udienza del 20 ottobre 2021 la causa è stata introitata in decisione.
Deve essere esaminata in via preliminare la questione dell’ordine di esame dei ricorsi principale e incidentale.
Secondo l’impostazione giurisprudenziale della Corte di Giustizia UE (Sez. X, 4 luglio 2013, C-100/12) e poi fatta propria dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza n. 9/2014), l’esame congiunto dei ricorsi (principale e incidentale) è necessario in presenza di tre condizioni: 1) si versi all’interno del medesimo procedimento; 2) gli operatori rimasti in gara siano solo due; 3) il vizio escludente che affligge le offerte sia identico per entrambe.
Successivamente la Corte di Giustizia Ue ha chiarito che “quando, a seguito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, due offerenti presentano ricorsi intesi alla reciproca esclusione, ciascuno di detti offerenti ha interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto, ai sensi delle disposizioni menzionate al punto precedente. Infatti, da un lato, l’esclusione di un offerente può far sì che l’altro ottenga l’appalto direttamente nell’ambito della stessa procedura. Dall’altro lato, nell’ipotesi di un’esclusione di tutti gli offerenti e dell’avvio di una nuova procedura di aggiudicazione di appalto pubblico, ciascuno degli offerenti potrebbe parteciparvi e quindi ottenere indirettamente l’appalto” (v., in tal senso, sentenza del 5 aprile 2016, PFE, C 689/13, (Puligienica c/Airgest S.p.A.), punto 27). Ne consegue che il ricorso incidentale dell’aggiudicatario non può comportare il rigetto del ricorso di un offerente escluso qualora la regolarità dell’offerta di ciascuno degli operatori venga contestata nell’ambito del medesimo procedimento, dato che, in una situazione del genere, ciascuno dei concorrenti può far valere un legittimo interesse equivalente all’esclusione dell’offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell’impossibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice, di procedere alla scelta di un’offerta regolare.
La Corte ha quindi evidenziato che il principio sancito dalle sentenze menzionate, secondo cui gli interessi perseguiti nell’ambito di ricorsi intesi alla reciproca esclusione sono considerati in linea di principio equivalenti, si traduce, per i giudici investiti di tali ricorsi, nell’obbligo di non dichiarare irricevibile il ricorso per esclusione principale in applicazione delle norme procedurali nazionali che prevedono l’esame prioritario del ricorso incidentale proposto da un altro offerente.
La Corte di Giustizia UE, con la sentenza del 5 settembre 2019 (causa C-333/18, Lombardi), ha esteso tale principio anche al caso in cui “altri offerenti abbiano presentato offerte nell’ambito della procedura di affidamento e i ricorsi intesi alla reciproca esclusione non riguardino offerte siffatte classificate alle spalle delle offerte costituenti l’oggetto dei suddetti ricorsi per esclusione”.
Da tale ricostruzione emerge, dunque, che il ricorso incidentale in linea di massima non deve essere esaminato in via preliminare qualora anche il ricorso principale tenda all’esclusione del ricorrente incidentale, emergendo, in tal caso, un interesse “equivalente all’esclusione dell’offerta degli altri, che può portare alla constatazione dell’impossibilità, per l’amministrazione aggiudicatrice, di procedere alla scelta di un’offerta regolare”.
Qualora, invece, con il ricorso incidentale si contesti la legittimazione ad agire del ricorrente che, dal proprio canto, si limiti alla contestazione nel merito dell’esito della gara, riemerge la regola della necessaria trattazione preliminare del ricorso incidentale (nello stesso senso, sentenze di questa Sezione nn. 7036/2021, 2795/2020 e 5259/2021).
Nel caso di specie, la ricorrente principale ha contestato la propria esclusione dalla selezione disposta dalla Stazione appaltante, mentre la ricorrente incidentale ha articolato censure volte ad evidenziare ulteriori motivi che avrebbero dovuto condurre all’esclusione della ricorrente principale ma che non sarebbero stati indicati nel provvedimento di esclusione gravato, quindi, in via incidentale.
Ritiene il Collegio che anche in questo caso debba esaminarsi preliminarmente il ricorso principale, in quanto rivolto a contestare il provvedimento di esclusione dalla procedura selettiva ed incisivo quindi sulla legittimazione processuale della B5 s.r.l.; nel caso in cui il gravame principale dovesse ritenersi fondato, e quindi il provvedimento di esclusione dovesse risultare illegittimo, dovrà procedersi allo scrutinio anche del ricorso incidentale, in quanto volto a censurare l’operato della stazione appaltante per non avrebbe integrato il provvedimento di esclusione con le ulteriori cause di espulsione segnalate dalla controinteressata.
CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE LESIVE - OBBLIGO IMMEDIATA IMPUGNAZIONE
secondo un più che consolidato indirizzo giurisprudenziale (da ultimo, Cons. Stato, V, 7 giugno 2021, n. 4301, che richiama le statuizioni di Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4, 7 aprile 2011, n. 4 e 29 gennaio 2003, n. 1), l’immediata impugnazione del bando di gara si impone soltanto qualora esso contenga clausole direttamente ed immediatamente escludenti, che determinano, cioè, la radicale impossibilità di prendere parte alla procedura concorsuale, ovvero quando la legge di gara contenga disposizioni abnormi, che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara e, quindi, la formulazione di un’offerta consapevole; invero, solo in queste ipotesi la posizione dell’operatore economico può ritenersi immediatamente lesa dall’adozione delle clausole del bando e l’interesse all’impugnativa può dirsi concreto ed attuale.
In particolare, “Nel caso di ricorso giurisdizionale, la lesione dell’interesse del ricorrente deve essere caratterizzata dai caratteri dell’immediatezza, della concretezza e dell’attualità: deve, cioè essere una conseguenza diretta ed immediata del provvedimento lesivo e dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, sussistere già al momento della proposizione del ricorso e persistere al momento della decisione su di esso.
I bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento, ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato. A fronte, infatti, della clausola illegittima del bando di gara o del concorso, il partecipante alla procedura concorsuale non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, dal momento che egli non sa ancora se l’astratta e potenziale illegittimità della predetta clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva, che solo da tale esito può derivare.
Il bando di gara o di concorso, o la lettera di invito, normalmente impugnabili con l’atto applicativo, conclusivo del procedimento concorsuale, devono essere considerati immediatamente impugnabili solo allorché contengano clausole impeditive dell’ammissione dell’interessato alla selezione, con la conseguenza che la partecipazione alla gara e la presentazione della domanda non costituiscono acquiescenza e non impediscono la proposizione di un eventuale gravame” (Cons. Stato, Ad. plen., 29 gennaio 2003, n. 1).
TERZA CLASSIFICATA - IMPUGNAZIONE AGGIUDICAZIONE -INTERESSE CONCRETO E ATTUALE SUSSISTE
Le considerazioni che precedono sono state efficacemente compendiate, in giurisprudenza, nei termini che seguono: «La terza classificata può efficacemente coltivare, attraverso il giudizio, l'utilità dell'aggiudicazione solo in quanto dimostri l'illegittimità del posizionamento delle due imprese che l'hanno preceduta in graduatoria, salva la piena ammissibilità delle censure che tendono ad invalidare l'intera procedura, poiché, attraverso di esse, è coltivato un interesse diverso da quello all'aggiudicazione, sub specie strumentale alla riedizione dell'intera gara. Il principio costituisce espressione di quello più generale dell'interesse ad agire, indefettibile condizione dell'azione che nel processo amministrativo si collega alla «lesione della posizione giuridica del soggetto» e sussiste qualora sia individuabile un'utilità della quale esso fruirebbe per effetto della rimozione del provvedimento. Alla luce di tali principi il ricorso avverso il provvedimento d'aggiudicazione non solo è inammissibile in radice se non contiene doglianze dirette nei confronti di tutti gli operatori collocati in graduatoria in posizione migliore del ricorrente, ma neppure può trovare accoglimento nel caso di rigetto di tutte le censure avverso uno di tali controinteressati, la cui posizione poziore si consoliderebbe pregiudicando di per sé la possibilità del ricorrente di ottenere il bene della vita perseguito» (TAR Puglia, Bari, II, 19 febbraio 2021 n. 308).
VERBALE DI ESCLUSIONE - DECORRENZA TERMINE RICORSO - ATTO IMMEDIATAMENTE LESIVO
La giurisprudenza (cfr. C.d.S. n. 1247 del 25 febbraio 2019) ha affermato che il verbale di esclusione dalla procedura competitiva adottato dalla commissione di gara configura di per sé un atto immediatamente lesivo; in particolare, condivisibile giurisprudenza (cfr. T.A.R. Emilia Romagna, Bologna, n. 135/2016) ha sostenuto che il termine per la proposizione del ricorso giurisdizionale avverso il provvedimento di esclusione da una gara pubblica deve ritenersi coincidente con il momento in cui il rappresentante dell’impresa, nel corso di una seduta pubblica della commissione giudicatrice, alla quale egli partecipava in base a delega, aveva avuto notizia ufficiale dell’esclusione e la sua presenza risultava dal verbale, ciò in quanto fin dalla seduta pubblica durante la quale è comunicata l’esclusione, la ricorrente già dispone di tutte le informazioni essenziali per presentare il ricorso, essendone stata ampiamente indicata e verbalizzata la relativa motivazione, con la conseguenza che il concorrente escluso ha l’onere di proporre ricorso avverso il provvedimento che produce questo effetto, salvo poi, eventualmente, proporre ricorso per motivi aggiunti entro l’ulteriore termine di trenta giorni, che decorre dal momento in cui ha avuto piena conoscenza degli altri atti endoprocedimentali, qualora emergano altri profili di illegittimità.
Nella fattispecie, non vi sono dubbi circa la conoscenza del provvedimento di esclusione (e delle sue motivazioni) in quanto alla seduta pubblica della commissione di gara era presente un delegato dell’impresa, inoltre, l’esistenza del verbale è risultata dalla pubblicazione della rettifica e dalla sua comunicazione a mezzo PEC (peraltro, come evidenziato dalla controinteressata, la ricorrente le ha notificato in data 4 marzo 2021 un ricorso avverso tale esclusione mai depositato).
In secondo luogo, l’eventuale incompetenza della commissione giudicatrice ad adottare il provvedimento di esclusione avrebbe dovuto essere prontamente censurata dalla ricorrente con apposito ricorso senza attendere la determina del 22 settembre 2021 di aggiudicazione alla seconda graduata (con la quale la stazione appaltante si è limitata a prendere atto dell’avvenuta esclusione già disposta dalla commissione giudicatrice);
del resto la stessa giurisprudenza citata dalla ricorrente (C.d.S. n. 1104 del 12 febbraio 2020) ha ritenuto illegittimo (per incompetenza) l’operato di una commissione giudicatrice che ha disposto l’esclusione di un concorrente senza limitarsi a fornire una proposta di esclusione della ricorrente al competente organo della stazione appaltante (chiamato poi ad approvarla).
MOTIVI AGGIUNTI - DIES A QUO - 30 GIORNI - LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE
La Corte dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 120, comma 5, dell'Allegato 1 (Codice del processo amministrativo) al decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell'articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione staccata di Lecce, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Nel caso in esame il rimettente sostiene che l'interpretazione intesa a individuare nel sopraggiunto art. 76 del "secondo" cod. contratti pubblici l'oggetto del rinvio contenuto nell'art. 120, comma 5, cod. proc. amm. sarebbe del tutto eccentrica, perché comporterebbe che il termine per proporre non solo i motivi aggiunti, ma anche il ricorso principale decorra non già dalla comunicazione dell'aggiudicazione, ma «solo a partire dal momento in cui l'interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura» a seguito di richiesta di accesso.
Il rimettente ritiene tale effetto, che sarebbe «in radicale contrasto con la previsione del rito speciale accelerato in materia di appalti pubblici», una conseguenza necessitata del presupposto secondo il quale la norma censurata dispone ora un rinvio all'art. 76, comma 2, del "secondo" cod. contratti pubblici, che disciplina le comunicazioni rese dall'amministrazione a seguito di istanza di accesso.
Tale convincimento non è però condivisibile, perché non vi è alcuna ragione per ritenere che la norma censurata contenga ora un rinvio solo a tale porzione dell'art. 76 del "secondo" cod. contratti pubblici, e non anche al comma 1 dello stesso articolo, che continua a disciplinare la comunicazione dell'aggiudicazione.
Il testo dell'art. 120, comma 5, cod. proc. amm. è compatibile con un'interpretazione, come quella da ultimo seguita dall'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, secondo la quale il dies a quo per proporre il ricorso principale ed i motivi aggiunti decorre dalla comunicazione dell'aggiudicazione (salve le ulteriori ipotesi di decorrenza di altra natura, ed estranee al presente incidente di legittimità costituzionale), fermo il già descritto meccanismo di dilazione temporale per denunciare i vizi che emergano a seguito dell'accesso agli atti di gara.
Una volta appurato che non vi è alcun impedimento letterale o logico ad adottare l'interpretazione della norma censurata propugnata dalla giurisprudenza amministrativa maggioritaria, avvallata dalla Adunanza plenaria, resta da verificare se essa sia tale da assicurare la conformità della disposizione all'art. 24 Cost.
Questa Corte osserva, in via preliminare, che senza dubbio sarebbe contrario alle garanzie proprie del diritto di difesa un assetto che imponga alla parte lesa dal provvedimento di aggiudicazione di proporre un ricorso recante motivi aggiunti prima che essa sia stata posta nelle condizioni di percepire il vizio che si intende denunciare, o comunque quando non le sia stato assicurato, a tal fine, l'intero termine di trenta giorni previsto dalla legge, e non le possa essere mosso alcun addebito di colpevole inerzia, o comunque di negligenza.
L'istituto stesso dei motivi aggiunti, infatti, è finalizzato, per quanto qui rileva, a permettere l'introduzione in giudizio di profili di illegittimità dell'atto impugnato che non era stato possibile percepire innanzi, sulla base della sola cognizione del provvedimento lesivo.
Perciò, prevedere che il termine di decadenza per proporre i motivi aggiunti maturi, nonostante il vizio non fosse conoscibile mediante l'impiego della ordinaria diligenza, comporterebbe una arbitraria e irragionevole compressione del diritto di agire (ex plurimis, sentenze n. 271 del 2019 e n. 94 del 2017).
Oltretutto, nella materia degli affidamenti pubblici di lavori, servizi o forniture soggetti al diritto dell'Unione europea, una tale previsione sarebbe anche in contrasto con quest'ultimo, che invece esige che il termine per proporre ricorso decorra dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della illegittimità che intende denunciare (Corte di giustizia dell'Unione europea, sentenza 28 gennaio 2010, in causa C-406/08, Uniplex, UK, Ltd, e ordinanza 14 febbraio 2019, in causa C-54/18, Cooperativa Animazione Valdocco S.C.S. Impresa sociale Onlus), formulando così una regola che, in tale settore, concerne sia il ricorso principale, sia la proposizione di motivi aggiunti.
Perciò, sono compatibili con l'art. 24 Cost., oltre che con il diritto dell'Unione europea, ove applicabile, quelle sole interpretazioni del quadro normativo per effetto delle quali la parte ricorrente disponga di un termine non inferiore a trenta giorni per agire in giudizio, e comunque per proporre motivi aggiunti, tenuto conto della data in cui essa ha preso conoscenza, o avrebbe potuto prendere conoscenza usando l'ordinaria diligenza, dei profili di illegittimità oggetto dell'impugnativa. Si tratta, infatti, del termine discrezionalmente scelto dal legislatore per la proposizione sia del ricorso principale, sia dei motivi aggiunti, per i quali ultimi non è stabilita normativamente alcuna dimidiazione di esso.
TERMINE PRESENTAZIONE RICORSO - COMPORTAMENTO INERTE OE - INCIDE
Con riguardo alla questione della tempestività del ricorso, devono farsi le considerazioni che seguono.
Come noto, con la sentenza del 2 luglio 2020, n. 12, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato ha fatto il punto sul delicato tema del dies a quo del termine previsto dall’art. 120, c. 5, cod. proc. amm. per l’impugnazione degli atti delle procedure di gara sottoposte al c.d. “rito appalti” e, in particolare, dell’aggiudicazione, nel necessario contemperamento tra i due principi in reciproca tensione che la questione chiama in causa, ovvero, da una parte, la speditezza e la celerità delle procedure di evidenza pubblica e, dall’altra, l’effettività e la pienezza della tutela giurisdizionale.
Il Consiglio di Stato, condividendo l’esigenza della effettività e della pienezza della tutela, sottolinea che i meccanismi previsti dal d.lgs. n. 50/2016 per garantire la conoscenza e la conoscibilità degli atti di gara sono significativamente mutati rispetto a quelli prima previsti dal d.lgs. n. 163/2006, con conseguente nuova articolazione dei momenti in cui sorge l’onere dell’impugnazione giurisdizionale.
A conclusione di un ampio iter argomentativo, l’Adunanza plenaria è giunta all’affermazione dei seguenti principi di diritto:
«a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri, consentono la proposizione non solo dei motivi aggiunti, ma anche di un ricorso principale;
c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara comporta la ‘dilazione temporale’ quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
d) la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali allegati, ex art. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione;
e) sono idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati».
Con particolare riguardo alla “dilazione temporale” determinata dalla presentazione dell’istanza di accesso (lett. c) dei principi di diritto sopra riportati), lo stesso Consiglio di Stato ha successivamente precisato che «più tempestiva è l’istanza di accesso che il concorrente presenti una volta avuta conoscenza dell’aggiudicazione, maggiore sarà il tempo a sua disposizione per il ricorso giurisdizionale; quel che non può consentirsi è che il concorrente possa, rinviando nel tempo l’istanza di accesso agli atti di gara, posticipare a suo gradimento il termine ultimo per l’impugnazione dell’aggiudicazione» (Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2021, n. 3127).
Tali ultime considerazioni lasciano intendere che non può essere indifferente, ai fini del computo del termine decadenziale per l’impugnazione dell’aggiudicazione, l’atteggiamento dell’operatore economico interessato e, dunque, la sua maggiore o minore prontezza nell’esercizio dell’accesso agli atti (i documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario; le giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta) dalla cui conoscenza conseguano i motivi di ricorso.
Ed infatti, la giurisprudenza successiva alla pronuncia dell’Adunanza plenaria (ma già in quella precedente si rinviene l’espressione della medesima regola: cfr. TAR Sicilia, Palermo, sez. II, 16.10.2019, n. 2404) ha chiarito che ai fini del computo del termine a disposizione per ricorrere avverso gli atti oggetto di ostensione documentale va tenuto conto sia dei ritardi della stazione appaltante, sia del comportamento eventualmente inerte dell’operatore economico.
Pertanto, se, da una parte, il rifiuto o il differimento dell’accesso da parte della stazione appaltante non determina la “consumazione” del potere di impugnare, dall’altra parte «ogni eventuale giorno di ritardo del concorrente non aggiudicatario che intenda accedere agli atti deve essere computato, a suo carico, sul termine complessivamente utile per proporre gravame (…). In altre parole, al termine ordinario di 30 giorni occorrerà se del caso sottrarre i giorni che ha impiegato la PA per consentire l’accesso agli atti (termine non a carico del privato) e allo stesso tempo aggiungere i giorni “a carico” del ricorrente, pari ossia al tempo impiegato tra la comunicazione di aggiudicazione e la domanda di accesso» (TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 15 dicembre 2020, n. 13550; anche TAR Lazio, sez. I-ter, 12 aprile 2021, n. 4249; TAR Emilia-Romagna, Bologna, sez. II, 29 luglio 2021, n. 747).
Così, «se l’impresa interessata presenta immediatamente istanza di accesso ha a disposizione l’integrale termine di 30 giorni per formulare censure derivanti dalla presa visione della documentazione, decorrenti dal momento in cui riceve il riscontro della Stazione appaltante. Se invece l’impresa non procede all’immediata presentazione dell’istanza di accesso, il relativo ritardo determina una progressiva erosione dei giorni a disposizione per impugnare tramite motivi aggiunti, atteso che l’inerzia dell’impresa istante non può costituire un mezzo a disposizione dell’impresa per dilatare ad libitum i termini di legge. Diversamente ragionando, si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento tra coloro che si siano immediatamente attivati con l’accesso agli atti e coloro che, invece, abbiano ritardato nel presentare tale istanza, in tal modo determinando quegli effetti dilatori che la pronuncia dell’Adunanza Plenaria mira ad evitare» (TAR Lazio, Roma, sez. III-quater, 24 novembre 2020, n. 12480).
Per le stesse ragioni, è stato ritenuto che «nel caso in cui il comportamento della stazione appaltante non sia dilatorio, il termine di impugnazione degli atti di gara non inizierà a decorrere solo dalla conoscenza dei medesimi atti da parte del ricorrente, ma da un momento antecedente, ossia quello in cui il ricorrente avrebbe potuto ottenere i documenti richiesti ma che non ha ottenuto per un suo ritardo nell’azione di accesso, atteso che sempre secondo quanto statuito da Adunanza Plenaria n. 12/2020, si deve “… comunque tenere conto anche di quando l’impresa avrebbe potuto avere conoscenza degli atti, con una condotta ispirata alla ordinaria diligenza”, in quanto, altrimenti, con condotte dilatorie ad hoc, l’impresa potrebbe avvalersi di un termine di impugnazione maggiore di quello previsto per legge» (TAR Emilia-Romagna, sez. I, Parma, 22 luglio 2020, n. 139).
PERDITA DI CHANCE PER MANCATA PROCEDURA AD EVIDENZA PUBBLICA A CAUSA DI PROROGA CONTRATTUALE - LEGITTIMO RISARCIMENTO
Il riconoscimento della risarcibilità della perdita di ‘chance’, come è noto, è frutto di una lenta evoluzione interpretativa.
Si tratta, invero, di figura elaborata al fine di ‘traslare’ sul versante delle situazioni soggettive ‒ e, quindi, del danno ingiusto ‒ un problema di causalità incerta: quello cioè delle fattispecie in cui non sia affatto possibile accertare, già in astratto e in termini oggettivi, se un determinato esito vantaggioso (per chi lo invoca) si sarebbe o meno verificato senza l’ingerenza illecita del danneggiante.
Per superare l’impasse dell’insuperabile deficienza cognitiva del processo eziologico, il sacrificio della ‘possibilità’ di conseguire il risultato finale viene fatto assurgere a bene giuridico ‘autonomo’.
Mentre nel diritto privato le ipotesi più ricorrenti riguardano la responsabilità medica (quando si imputa la mancata attivazione di una cura o intervento sanitario il cui esito sarebbe stato tuttavia incerto), nel campo del diritto amministrativo la lesione della ‘chance’ viene invocata per riconoscere uno sbocco di tutela (sia pure per equivalente) a quelle delle aspettative andate ‘irrimediabilmente’ deluse a seguito dell’illegittimo espletamento (ovvero del mancato espletamento) di un procedimento amministrativo.
La fattispecie presa in considerazione è quella in cui il vizio accertato dal giudice amministrativo consiste nella violazione di una norma di diritto pubblico che ‒ non ricomprendendo nel suo raggio di protezione l’interesse materiale ‒ assicura all’istante soltanto la possibilità di conseguire il bene finale. L’«ingiustizia» del nocumento assume ad oggetto soltanto il ‘quid’ giuridico, minore ma autonomo, consistente nella spettanza attuale di una mera possibilità. Nella moderna economia di mercato, del resto, anche la diminuzione di probabilità di eventi patrimoniali favorevoli può rilevare come perdita patrimoniale, non solo i danni fisici intesi come distruzione di ricchezza tangibile.
Così delineata la nozione, il richiamo del giudice di primo grado alla ‘elevata probabilità’ di realizzazione, quale condizione affinché la ‘chance’ acquisti rilevanza giuridica, è fuorviante, in quanto così facendo si assimila il trattamento giuridico della figura in esame alla causalità civile ordinaria (ovvero alla causalità del risultato sperato).
La ‘chance’ prospetta invece, come si è detto, un’ipotesi ‒ assai ricorrente nel diritto amministrativo ‒ di danno solo ‘ipotetico’, in cui non si può oggettivamente sapere se un risultato vantaggioso si sarebbe o meno verificato. Pur essendo certa la contrarietà al diritto della condotta di chi ha causato la perdita della possibilità, non ne è conoscibile l’apporto causale rispetto al mancato conseguimento del risultato utile finale.
Poiché l’esigenza giurisdizionale è quella di riconoscere all’interessato il controvalore della mera possibilità ‒ già presente nel suo patrimonio ‒ di vedersi aggiudicato un determinato vantaggio, l’an del giudizio di responsabilità deve coerentemente consistere soltanto nell’accertamento del nesso causale tra la condotta antigiuridica e l’evento lesivo consistente nella perdita della predetta possibilità. La tecnica probabilistica va quindi impiegata, non per accertare l’esistenza della chance come bene a sé stante, bensì per misurare in modo equitativo il ‘valore’ economico della stessa, in sede di liquidazione del ‘quantum’ risarcibile. Con l’avvertenza che, anche se commisurato ad una frazione probabilistica del vantaggio finale, il risarcimento è pur sempre compensativo (non del risultato sperato, ma) della privazione della possibilità di conseguirlo.
Richiedere (come ha fatto il giudice di primo grado) che la possibilità di conseguire il risultato debba raggiungere una determinata soglia di probabilità prima di assumere rilevanza giuridica, significa ricondurre nuovamente il problema delle aspettative irrimediabilmente deluse (con un percorso inverso a quello che ha portato a configurare la ‘chance’ come bene autonomo, in ragione dell’impossibilità di dimostrare l’efficienza causale della condotta antigiuridica nella produzione del risultato finale) dal ‘danno’ alla ‘causalità’. In questo modo la ‘chance’ finisce per essere utilizzata quale frazione probabilistica di un risultato finale di cui (poteva essere fornita, ma) è mancata la prova. Ma si tratta di un esito del tutto contraddittorio, in quanto, se la verificazione dell’evento finale può essere empiricamente riscontrata, allora non ricorrono neppure i presupposti per l’operatività della ‘chance’.
Al fine però di non incorrere in una forma inammissibile di responsabilità senza danno, è necessario che, per raggiungere la soglia dell’«ingiustizia», la ‘chance’ perduta sia ‘seria’. A tal fine: da un lato, va verificato con estremo rigore che la perdita della possibilità di risultato utile sia effettivamente imputabile alla condotta altrui contraria al diritto; sotto altro profilo, al fine di non riconoscere valore giuridico a ‘chance’ del tutto accidentali, va appurato che la possibilità di realizzazione del risultato utile rientri nel contenuto protettivo delle norme violate.
Al fine poi di scongiurare azioni bagatellari o emulative, il giudice dovrà disconoscere l’esistenza di un ‘danno risarcibile’ (1223 c.c.) nel caso in cui le probabilità perdute si attestino ad un livello del tutto infimo.
MANCATA AGGIUDICAZIONE - PROVVEDIMENTO LESIVO E' DATO DALL'AGGIUDICAZIONE AD ALTRO SOGGETTO (32.5)
Secondo il consolidato indirizzo della giurisprudenza (si veda soprattutto la sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, 31 luglio 2012, n. 31; più di recente: Cons. St., V, 5 febbraio 2018, n. 726; nonché Cons. St., V, 15 marzo 2019, n. 1710, che, come si dirà, non può essere intesa nel senso fatto proprio dall’appellante), maturato sotto la vigenza del vecchio codice dei contratti (di cui al d.lgs. n. 163 del 2006) e confermato alla luce della disciplina introdotta con il nuovo codice dei contratti di cui al d.lgs. n. 50 del 2016, il provvedimento lesivo della situazione giuridica dell’operatore economico, che ha partecipato alla procedura di gara e non è risultato aggiudicatario, è rappresentato dall’aggiudicazione definitiva a un terzo (art. 32, comma 5, del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016), che compromette in via definitiva la possibilità di conseguire il bene della vita (ossia il contratto oggetto della gara). Dalla comunicazione o dalla piena conoscenza dell’intervenuta aggiudicazione a terzi, decorre il termine entro il quale proporre l’impugnazione ai sensi dell’art. 120, comma 5, del codice del processo amministrativo. La successiva fase di verifica, nei confronti dell’aggiudicatario, del possesso dei requisiti richiesti dalla lex specialis di gara (art. 32, comma 7, del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 50 del 2016) costituisce unicamente una condizione integrativa dell’efficacia del provvedimento di aggiudicazione. Ne deriva come logica conseguenza che – per un verso – se l’operatore economico non aggiudicatario non ha tempestivamente impugnato l’aggiudicazione definitiva (dichiarata ai sensi dell’art. 32, comma 5, e comunicata ai sensi dell’art. 76, comma 5, del Codice dei contratti pubblici) non può successivamente impugnare la comunicazione con cui la stazione appaltante lo informi della intervenuta verifica positiva dei requisiti; per altro verso, se l’impugnazione dell’aggiudicazione adottata ex art. 32, comma 5, cit., è stata proposta (come nel caso di specie) l’interessato non è tenuto a ricorrere anche avverso l’atto con cui si rende noto il positivo superamento della verifica (ex art. 32, comma 7, cit.)
RISARCIMENTO DA MANCATO AFFIDAMENTO - PER COLPA PA - NON SERVE ONERE DELLA PROVA
In effetti, la giurisprudenza comunitaria citata dal giudice di primo grado (Corte Giust. CE, sez. III 30 settembre 2010 in causa C314/2009) ha affermato l’incompatibilità con la disciplina comunitaria di una normativa nazionale, che subordini il diritto ad ottenere un risarcimento a motivo di una violazione della disciplina sugli appalti pubblici da parte di un'amministrazione aggiudicatrice al carattere colpevole di tale violazione, con riferimento ad una procedura di rilevanza comunitaria.
Peraltro, la giurisprudenza di questo Consiglio ne ha tratto un principio di carattere generale, per cui in materia di risarcimento da mancato affidamento di gare pubbliche di appalto e concessioni non è necessario provare la colpa dell'amministrazione aggiudicatrice, “poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività della tutela previsto dalla normativa comunitaria; le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno sì che una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consente all'impresa pregiudicata di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell'ente aggiudicatore e dunque della imputabilità soggettiva della lamentata violazione” (Cons. Stato, Ad. plen. 12 maggio 2017, n. 2; Sez. V, 2 gennaio 2019, n. 14; Sez, V, 25 febbraio 2016, n. 772; Sez. II, 20 novembre 2020, n. 7250).
SEGGIO DI GARA - ERRATA INTERPRETAZIONE CLAUSOLA BANDO - ESCLUSIONE CONCORRENTE VA IMPUGNATA
E' noto che, a fronte di una clausola cui si riconnette una portata escludente, e a fronte del carattere asseritamente non univoco della disposizione in essa racchiusa, l’interprete deve conformare la propria attività interpretativa al criterio del favor partecipationis, favorendo l’applicazione della disposizione che consenta la massima partecipazione possibile alla procedura (cfr. ex multis Cons. Stato, Sezione III, 7 marzo 2019, n. 1577, Sezione V, 17 luglio 2017, n. 3507).
Il ricorso è fondato e merita accoglimento.
Nel caso qui in rilievo, la pretesa assenza di conformità CE dei prodotti offerti dalla ricorrente con conseguente inevitabile esclusione dalla competizione selettiva veniva agganciata dalla Stazione appaltante alla mancata dimostrazione della conformità del sistema complessivo informatico alla direttiva europea 93/42/CE e direttiva CE 2007/47/CE, nonché per essere riscontrabili sul sito del Ministero della Salute soltanto due componenti informatici dell’intero sistema, peraltro di data posteriore alla data di presentazione dell’offerta.
21. Deve rilevarsi che la stessa premessa da cui prende spunto il provvedimento escludente, vale a dire che dovessero sussistere già al momento di presentazione dell’offerta le condizioni per la registrazione del software come dispositivo medico, non trovano sicuro fondamento nella disciplina di gara che faceva, invece, rinvio da un lato alla mera dichiarazione di conformità alla direttiva 93/43/CE-2007/47/CE regolamento UE 2017/745 e dall’altro alla dichiarazione sostitutiva per dispositivi privo di numero identificativo di iscrizione al repertorio dei dispositivi medici.
È, infatti, noto che, in sede di interpretazione di una clausola ambigua del bando concernente le specifiche tecniche, va applicato il principio giurisprudenziale secondo cui l’interpretazione va operata in aderenza al canone del favor partecipationis (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sezione III, 4 settembre 2020, n. 5358 e 10 settembre 2019, n. 6127; Sezione V, 27 maggio 2014, n. 2709).
38. Va qui inoltre ricordata, come rilevato più volte dalla giurisprudenza, la pacifica vigenza del principio per il quale il bando, costituendo la lex specialis del concorso, deve essere interpretato in termini strettamente letterali, con la conseguenza che le regole in esso contenute vincolano rigidamente l’operato dell’amministrazione pubblica, obbligata alla loro applicazione senza alcun margine di discrezionalità, in ragione sia dei principi dell’affidamento e di tutela della parità di trattamento tra i concorrenti, che sarebbero pregiudicati ove si consentisse la modifica delle regole di gara cristallizzate nella lex specialis medesima, sia del più generale principio che vieta la disapplicazione del bando, quale atto con cui l’amministrazione si è originariamente autovincolata nell’esercizio delle potestà connesse alla conduzione della procedura selettiva (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sezione VI, 2 marzo 2021, n. 1788; Sezione III, 15 febbraio 2021, n. 1322 e 6 novembre 2019, n. 7595; Sezione V, 27 dicembre 2019, n. 8821).
39. Il Collegio osserva inoltre come la ricorrente abbia posto in rilievo il fatto che i prodotti da offrire sono oggetto di completamento in sede di esecuzione e installazione.
RITARDO STIPULA CONTRATTO - ATTEGGIAMENTO NON COLLABORATIVO AGGIUDICATARIO – LEGITTIMA REVOCA AGGIUDICAZIONE
La valutazione sulla sussistenza di gravi illeciti professionali spetta in via esclusiva alla stazione appaltante, costituendo una scelta ampiamente discrezionale; da ciò consegue che il sindacato del giudice amministrativo sulle relative motivazioni non può che limitarsi al riscontro “esterno” della non manifesta abnormità, contraddittorietà o contrarietà a norme imperative di legge nella valutazione degli elementi di fatto.
In questi termini, invero, “il giudizio su gravi illeciti professionali è espressione di ampia discrezionalità da parte della P.A. cui il legislatore ha voluto riconoscere un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell’affidabilità dell’appaltatore; ne consegue che il sindacato che il Giudice amministrativo è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della “non pretestuosità” della valutazione degli elementi di fatto compiuta e non può pervenire ad evidenziare una mera “ non condivisibilità “ della valutazione stessa” (ex plurimis, Cons. Stato, IV, 8 ottobre 2020, n. 5867).
Non è quindi decisivo l’argomento di parte appellante secondo cui, nel caso di specie, difetterebbe il presupposto dei “gravi illeciti professionali” richiesto dalla lett. c) dell’art. 80, comma 5 del d.lgs. n. 50 del 2016, come comprovato dal non aver mai l’amministrazione formalmente receduto dai contratti in precedenza stipulati con OMISSIS s.c.p.a., seppur da questa asseritamente violati: invero, a prescindere dalle concrete ragioni poste a fondamento della scelta dell’INAIL di non revocare i precedenti affidamenti (in primis il rischio di interrompere l’erogazione dei servizi), va riconosciuto che ben poteva la stazione appaltante desumere l’integrazione di gravi illeciti professionali anche da circostanze non tipizzate, purché indicate in modo puntuale. Circostanze che nel caso in esame risiedevano nei numerosi e reiterati inadempimenti di OMISSIS successivamente all’aggiudicazione dell’appalto, tali da incidere negativamente sull’affidabilità del Consorzio, anche in considerazione dell’interesse pubblico alla regolare erogazione di servizi essenziali.
D’altronde, anche i lamentati ritardi nelle attività preliminari alla stipula del contratto di appalto su cui attualmente si verte potevano in linea di principio giustificare, da sé soli, la revoca dell’aggiudicazione (ex multis, Cons. Stato, V, 29 luglio 2019, n. 5354): “è legittimo il provvedimento di revoca dell’aggiudicazione per notevoli ritardi nella produzione della documentazione di rito strumentale alla stipulazione del contratto”, così come “Il reiterato atteggiamento non cooperativo dell’aggiudicatario, obiettivamente idoneo a ritardare la stipula del contratto anche a fronte di servizi dichiaratamente connotati di urgenza”, in presenza di motivate ragioni di pubblico interesse.
Sono dunque persuasive le considerazioni rassegnate dall’amministrazione appellata, secondo cui la stazione appaltante avrebbe semplicemente operato un apprezzamento complessivo della condotta tenuta da OMISSIS, sia riguardo alla violazione degli obblighi preliminari alla stipulazione dei nuovi contratti, sia riguardo agli inadempimenti attuati nell’esecuzione dei contratti in corso, alla fine ritenendo tale condotta idonea ad incidere – in modo negativo – sull’affidabilità della aggiudicataria circa il corretto svolgimento delle prestazioni contrattuali.
MANCATA AGGIUDICAZIONE - RICHIESTA RISARCIMENTO DANNI
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza nazionale ed europea, infatti, in materia di risarcimento da mancata aggiudicazione di gare pubbliche di appalto e di concessione, non è necessario l’accertamento della colpa dell’amministrazione aggiudicatrice laddove, come nella specie, il ristoro pecuniario funga da strumento necessariamente sostitutivo della non più possibile tutela in forma specifica, poiché il rimedio risarcitorio risponde al principio di effettività previsto dalla normativa comunitaria. Pertanto, le garanzie di trasparenza e di non discriminazione operanti in materia di aggiudicazione dei pubblici appalti fanno sì che una qualsiasi violazione degli obblighi di matrice sovranazionale consenta all’operatore pregiudicato di ottenere un risarcimento dei danni, a prescindere da un accertamento in ordine alla colpevolezza dell’ente aggiudicatore e, dunque, della imputabilità soggettiva della lamentata violazione (in tal senso cfr., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 30 novembre 2020, n. 7577; Cons. St., sez. II, 20 novembre 2020, n. 7250; Cons. St., sez. III, 26 luglio 2019, n. 5296; Cons. St., sez. V, 2 gennaio 2019, n. 14; Cons. St., ad. plen., 12 maggio 2017, n. 2; Cons. St., sez. IV, 23 maggio 2016, n. 2111; Cons. St., sez. V, 31 dicembre 2014, n. 6450; Corte di Giustizia UE, sez. III, 30 settembre 2010, C-314/09, Stadt Graz).
Nel caso in esame, peraltro, il Collegio ravvisa un profilo di imprudenza in capo alla stazione appaltante, non già per la valutazione della Commissione giudicatrice (che, in sede di operazioni di gara, disponeva esclusivamente delle schede presentate dal R.T.P. OMISSIS), bensì per avere completamente ignorato le contestazioni stragiudiziali di ACS. Infatti, nonostante già da fine agosto l’esponente avesse chiesto il riesame degli atti in autotutela a OMISSIS ed un parere di precontenzioso all’Anac (docc. 22 e 25 ricorrente), la resistente ha interpellato il raggruppamento affidatario solo dopo la notificazione del ricorso (cfr. pagg. 5-6 memoria di OMISSIS del 18.10.2019).
DANNO PER MANCATO AFFIDAMENTO DELL’APPALTO – ONERE DELLA PROVA
Secondo questo Consiglio (sentenza, sez. V, 2 febbraio 2018, n. 680), “a differenza della responsabilità da mancata aggiudicazione, la culpa in contrahendo della Pubblica amministrazione nelle procedure ad evidenza pubblica di affidamento di contratti costituisce fattispecie nella quale l’elemento soggettivo assume una sua specifica rilevanza, in correlazione con l’ulteriore elemento strutturale del contrapposto affidamento incolpevole del privato in ordine alla positiva conclusione delle trattative prenegoziali; infatti, i presupposti della responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione consistono nell’affidamento ingenerato dal comportamento della stazione appaltante su tale esito positivo e nell’assenza di una giusta causa per l’inattesa interruzione delle trattative”. Orbene, la sussistenza di tali elementi costitutivi è stata appurata dal T.a.r. e le relative statuizioni sono ormai passate in giudicato, non essendo state contestate da parte appellata in sede incidentale.
Rimane da verificare se l’impresa danneggiata da tale comportamento era gravata da un preciso onere della prova in ordine al danno lamentato.
Sul punto, da reputare realmente decisivo della controversia, l’appellante deduce che non vi sarebbe un preciso onus probandi in capo al danneggiato, essendo la relativa quantificazione demandata a criteri equitativi, applicabili dal giudice adìto. E’ bene precisare che “mentre i danni da mancata aggiudicazione sono parametrati al c.d. interesse positivo e consistono nell’utile netto ritraibile dal contratto, oltre che nei pregiudizi di tipo curriculare e all’immagine commerciale della società, ingiustamente privata di una commessa pubblica, nel caso di responsabilità precontrattuale i danni sono limitati al solo interesse negativo, ravvisabile nel caso delle procedure ad evidenza pubblica nelle spese inutilmente sopportate per parteciparvi e nella perdita di occasioni di guadagno alternative” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 2 aprile 2019, n. 2181). Invero, nel novero dei danni risarcibili, in casi siffatti, non rientra il ristoro della chance intesa come pura e semplice possibilità di conseguire i guadagni connessi all’esecuzione del contratto non stipulato (Cons. Stato, sez. V, 28 gennaio 2019, n. 697). Inoltre, secondo un orientamento seguito anche da questo Consiglio, “nell’ambito della responsabilità precontrattuale, il c.d. danno curriculare non è risarcibile, perché non attiene all’interesse negativo, ma, più propriamente, all’interesse positivo, derivando proprio dalla mancata esecuzione dell’appalto, non dall’inutilità della trattativa” (Cons. Stato, sez. VI, 1° febbraio 2013, n. 633). Ciò sarebbe già sufficiente per respingere l’appello in esame, atteso che l’appellante identifica le voci di danno, come precisate nel corso del giudizio di prime cure, nel danno da perdita di chance e nel danno curriculare (pagina 8, rigo 3 dell’appello), entrambi non risarcibili in caso di responsabilità precontrattuale, qualificata tale dallo stesso appellante.
Ad ogni modo, a prescindere dalla catalogazione delle voci di danno al fine di discernere tra quelle risarcibili o meno, va ribadito che in materia rileva il principio dell’onere della prova, di guisa che il privato deve provare sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione (Ad. plen. n. 5/2018).
DECRETO TERMINE UDIENZA - FA RIFERIMENTO SOLO ALLA PRIMA UDIENZA DI TRATTAZIONE NEL MERITO
Ritenuto che:
a) l’art. 71 c. 5 c.p.a., con riferimento alle cause sottoposte al rito dell’art. 120 c.p.a., si riferisce solo alla prima udienza di trattazione nel merito e non alle successive, posto che, ai sensi dell’art. 120 c. 6 c.p.a.:
a.1) il giudizio va definito a una udienza fissata d’ufficio e da tenersi entro 45 giorni dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti diverse dal ricorrente;
a.2) in caso di esigenze istruttorie o di difesa, la definizione del merito va rinviata ad una udienza da tenersi “non oltre trenta giorni”;
a.3) l’ultima previsione menzionata conferma che, fermo il termine dilatorio di trenta giorni tra avviso alle parti e data dell’udienza quanto alla prima udienza di merito (in base al combinato disposto dell’art. 71 c. 5 e dell’art. 120, c. 6 primo periodo c.p.a.), le udienze di merito successive alla prima si devono tenere “non oltre trenta giorni” dalla precedente, sicché i trenta giorni – peraltro di calendario e non liberi – sono un termine massimo e non un termine minimo, ben potendosi fissare l’udienza ad una distanza inferiore a 30 giorni dall’avviso;
a.4) la previsione in commento, recata dall’ultimo periodo dell’art. 120 c. 6 c.p.a., rispondendo alla ratio acceleratoria che ispira al rito appalti, si deve applicare in ogni ipotesi di rinvio dell’udienza, quindi anche nel caso di rimessione della causa alla Plenaria e di fissazione della nuova udienza dopo la decisione della Plenaria.
IMPUGNAZIONE AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA - DECORRENZA TERMINE - DALLA COMUNICAZIONE PPROVVEDIMENTO DI AGGIUDICAZIONE (76.5.a)
Nel caso in esame la ricorrente ha provveduto solo in data 18/02/2021 alla notifica del proprio ricorso, e dunque oltre il termine per impugnare l’aggiudicazione previsto dall’art. 120 cod.proc.amm., atteso che questo aveva preso a decorrere al più tardi dall’accesso agli atti effettuato il 7/12/2020, e non già, come invece vorrebbe la ricorrente, dalla comunicazione dell’esito positivo del procedimento di verifica dei requisiti in capo all’aggiudicataria..
3.3. Infatti non è condivisibile l’assunto della ricorrente che il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorrerebbe solo dall’efficacia di questa – a sua volta dipendente dalla verifica dei requisiti dell’aggiudicatario – anziché dalla relativa comunicazione.
In senso contrario è dirimente il dettato dell’art. 120, comma 5, cod. proc. amm., a tenore del quale il ricorso si propone “nel termine di trenta giorni, decorrente […] dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163”.
In proposito il richiamato art. 79, comma 5, lett. a) prevedeva la comunicazione d’ufficio dell’aggiudicazione definitiva agli altri concorrenti; ciò che oggi parimenti prevede – salva l’eliminazione dell’aggettivo “definitiva”, non più previsto dal nuovo codice dei contratti pubblici – l’analogo art. 76, comma 5, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016.
È dunque chiara la previsione del decorso del termine per l’impugnazione già a far data dalla comunicazione dell’aggiudicazione; mentre su tutt’altro piano si colloca la verifica in ordine al possesso dei requisiti (art. 32, comma 7, d. lgs. n. 50 del 2016; già art. 11, comma 8, d. lgs. n. 163 del 2006), la quale incide solo sull’efficacia dell’aggiudicazione.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha in proposito da tempo affermato, del resto, che “il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva da parte dei concorrenti non aggiudicatari inizia a decorrere dal momento in cui essi hanno ricevuto la comunicazione di cui all’art. 79, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 163 del 2006, e non dal momento, eventualmente successivo, in cui la stazione appaltante abbia concluso con esito positivo la verifica del possesso dei requisiti di gara in capo all’aggiudicatario” (Cons. Stato, Ad. Plen. 31 luglio 2012, n. 31 e, più di recente, sez. VI, 30 luglio 2020, n. 4858).
PROCEDURE AD EVIDENZA PUBBLICA - ANNULLAMENTO GARA- LEGITTIMA RICHIESTA RISARCIMENTO DEL DANNO
Con l’odierno ricorso, il Consorzio ha formulato domanda di risarcimento del danno a titolo di responsabilità pre-contrattuale “a causa dell’inutile partecipazione alla gara d’appalto” che è stata poi annullata in sede giurisdizionale.
Allega: a) di aver partecipato alla gara in quanto confidava “del tutto incolpevolmente nella piena legittimità della stessa, confortato anche dalla professionalità” di Consip S.p.A. che è la stazione appaltante “presumibilmente più qualificata d’Italia (tant’è che, anche a seguito dell’introduzione dell’albo delle stazioni appaltanti qualificate, Consip non è assoggettata ad alcuna verifica: cfr. l’art. 38, comma 1, d.lgs. 19 aprile 2016, n. 50)”; b) che, a causa dell’annullamento della gara, “ha poi dovuto prendere atto che tale fiducia era stata mal riposta”; c) che ha affrontato costi di partecipazione ed impegnato le strutture interne alle società costituenti il Consorzio per diversi mesi; d) che, pertanto, la “brusca interruzione delle trattative, già avviate con la pubblicazione del bando di gara e poi proseguite con la presentazione delle offerte, è imputabile esclusivamente al comportamento colposo della stazione appaltante”; d) che la Consip ha violato le regole che disciplinano, con carattere di specialità, lo specifico settore dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163/2006), nonché i “principi di buona fede e correttezza” e gli “obblighi di informazione e protezione” che gravano (anche) sul committente pubblico; e) che Consip ha leso il proprio affidamento incolpevole in quanto, pur avendo ricevuto la “notifica del ricorso” (15 novembre 2015) volto all’annullamento dell’intera procedura in data antecedente a quella di “scadenza del termine per la presentazione delle offerte” (25 gennaio 2016), ha comunque “deciso di non sospendere” “formalmente”, nell’esercizio del potere amministrativo, la procedura in attesa della definizione del contenzioso ed “ha atteso” la conclusione del giudizio di secondo grado prima di comunicare sul proprio sito (27 aprile 2017) che la gara era stata annullata, come precisato nella memoria difensiva del 22 gennaio 2021.
Sotto il profilo della colpa, deduce che nonostante il “chiaro disposto” dell’allora art. 2, comma 1-bis, d.lgs. n. 163 del 2006 (riguardante la suddividere degli appalti in lotti funzionali), la centrale di committenza ha “deciso di suddividere una gara d’appalto di valore pari ad oltre 550 milioni, in soli 13 macro-lotti di ampiezza macro-regionale, in contrasto con i principi di massima partecipazione, ragionevolezza e proporzionalità dei requisiti (cfr. TAR Lazio 9441/2016 e CdS 1038/2017) … nonostante dalle risultanze dell’istruttoria … fosse chiaramente evincibile la contrarietà di una siffatta, illegittima suddivisione in lotti, rispetto, sia all’interesse delle PMI a partecipare alla gara, che agli stessi interessi pubblici sottesi ai programmi di razionalizzazione della spesa”. Nella richiamata memoria difensiva ha poi precisato che secondo la giurisprudenza comunitaria, nelle procedure ad evidenza pubblica, “non è necessario provare la colpa”.
Le procedure ad evidenza pubblica si caratterizzano per la loro struttura c.d. bifasica in cui alla fase propriamente pubblicistica di selezione della migliore offerta (secondo le regole di diritto pubblico) segue quella privatistica di esecuzione del contratto stipulato (secondo le regole di diritto privato, generali e/o speciali). Nella fase pubblicistica la stazione appaltante è tenuta a rispettare, quale autorità, le regole c.d. di validità che disciplinano l’esercizio del potere volto al perseguimento dell’interesse pubblico affidato in cura (e la cui violazione si risolve nell’illegittimità degli atti, annullabili o nulli) e, contemporaneamente, quale contraente, è tenuta a seguire le regole c.d. di responsabilità che disciplinano l’agire negoziale nell’ambito delle trattative c.d. multiple o parallele che si instaurano individualmente con coloro che partecipano alla gara.
Tra le regole c.d. di responsabilità che l’amministrazione aggiudicatrice è tenuta ad osservare durante la fase pubblicistica dell’evidenza pubblica vi sono quelle che discendono da principi generali di comportamento secondo buona fede e correttezza, posti a tutela degli interessi delle parti, sanciti nell’art. 2 Cost. e negli artt. 1337 e 1338 c.c..
Sotto il profilo oggettivo, la giurisprudenza, nel corso nel tempo, ha individuato una serie di ipotesi in cui è stato ritenuto violato il dovere di comportarsi secondo buona e correttezza nel corso delle trattative negoziali. Tra queste vi rientra sicuramente il dovere di astenersi dal tenere comportamenti maliziosi o reticenti, nonché il dovere, quale risvolto in positivo del primo, di fornire ogni notizia rilevante, conosciuta o conoscibile con l’ordinaria diligenza, ai fini della conduzione delle trattative o della stipulazione del contratto.
Si è peraltro evidenziato come la concreta individuazione del comportamento esigibile dipenda anche dal ruolo o dallo status qualificato che riveste la parte che opera nel rapporto negoziale. Se questa è per legge tenuta a rispettare ed applicare regole che fondano e governano, in via istituzionale, il proprio agire nei rapporti con il privato (regole c.d. di azione), come è per la pubblica amministrazione, nei suoi riguardi sono in concreto esigibili comportamenti di maggiore tutela verso i destinatari della propria azione.
L’amministrazione aggiudicatrice è equiparata, laddove opera nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali, all’amministrazione pubblica. In quanto tale, ha uno status qualificato che le deriva direttamente dalla conformazione che la Costituzione riserva all’amministrazione pubblica (art. 97 Cost.): a) costituita da funzionari muniti di un rilevante bagaglio tecnico, selezionati mediante concorso; b) tenuta ad agire nel rispetto del principio di legalità; c) e a perseguire il buon andamento e l’imparzialità.
È proprio l’indiscussa rilevanza costituzionale che assume l’amministrazione, e i soggetti ad essa equiparati, che attribuisce all’amministrazione aggiudicatrice una posizione di garanzia nei confronti di tutti coloro che per legge sono tenuti, a vario titolo, a rapportarsi con essa al fine di ottenere o mantenere un bene della vita. In quest’ottica l’operatore economico è ragionevolmente portato, in virtù del principio di legalità che regola l’agire del soggetto pubblico e della natura autoritativa che caratterizza i sui atti, ad avere fiducia (a fidarsi) nel operato di questo.
Dal fascio di relazioni giuridicamente rilevanti, nel senso qui precisato, nasce quella situazione giuridica soggettiva definita affidamento. L’affidamento consiste nella fiducia riposta nella correttezza della condotta tenuta dall’amministrazione. L’affidamento è tuttavia tutelato dall’ordinamento soltanto se incolpevole. L’affidamento è incolpevole laddove la parte privata compie o omette di compiere le proprie scelte senza sua colpa, agendo o omettendo di agire sulla base di un presupposto (un atto o un comportamento) posto in essere dal soggetto pubblico nell’esercizio delle sue funzioni istituzionali.
Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, è oramai principio consolidato che nelle procedure ad evidenza pubblica il diritto al risarcimento che dipende da una violazione della disciplina europea sugli appalti da parte di un’amministrazione aggiudicatrice, come avvenuto nel caso di specie, non è subordinato “al carattere colpevole di tale violazione, anche nel caso in cui l’applicazione della normativa in questione sia incentrata su una presunzione di colpevolezza in capo all’amministrazione suddetta, nonché sull’impossibilità per quest’ultima di far valere la mancanza di proprie capacità individuali e, dunque, un difetto di imputabilità soggettiva della violazione lamentata” (cfr., Corte di giustizia 30 settembre 2010, in C-314/09).
Così delineato il quadro giuridico di riferimento, e tenendo presente il precedente rappresentato da Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 aprile 2018, n. 5, sussistono nella presente controversia i presupposti che conducono ad accertare la sussistenza della responsabilità pre-contrattuale dell’amministrazione aggiudicatrice.
INCERTEZZA DEL BANDO DI GARA – LEGITTIMA IMPUGNAZIONE OPERATORE ECONOMICO NON CONCORRENTE
Secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cons. Stato, Ad. Plen. 26 aprile 2018, n. 4; sez. V, 23 agosto 2019, n. 5789; 18 luglio 2019, n. 5057; 8 marzo 2019, n. 1736), se è vero che l'esito di una procedura di gara è impugnabile solamente da colui che vi ha partecipato (la domanda di partecipazione atteggiandosi a strumento per la sussistenza della posizione qualificata e differenziata che legittima l'impugnazione, laddove altrimenti l'operatore del settore sarebbe portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione dell'intera selezione per partecipare ad una riedizione di questa), è pur vero che a tale regola generale si deroga allorché l'operatore contesti in radice l'indizione della gara ovvero all'inverso contesti che una gara sia mancata, avendo l'amministrazione disposto l'affidamento in via diretta del contratto, ovvero ancora impugni direttamente le clausole del bando assumendone l'immediato carattere escludente: in tali ipotesi infatti la presentazione della domanda di partecipazione costituirebbe un inutile adempimento formale, privo della benché minima utilità in funzione giustiziale.
Il carattere immediatamente escludente ai fini della immediata impugnazione è stato ragionevolmente individuato: a) nelle clausole impositive di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati ai fini della partecipazione; b) nelle regole procedurali che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Cons. Stato, Ad. plen. 7 aprile 2001, n. 3); c) nelle disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara oppure prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980); d) nelle condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e non conveniente (Cons. Stato, sez. III, 23 gennaio 2015, n. 293); e) nelle clausole impositive di obblighi contra ius; f) nei bandi contenenti gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta oppure che presentino formule matematiche del tutto errate; g) negli atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421); ipotesi tutte accomunate dal fatto di impedire in modo macroscopico, ovvero di rendere estremamente ed inutilmente difficoltoso ad un operatore economico di formulare un'offerta corretta, adeguata e consapevole, configurandosi pertanto come una concreta ed effettiva lesione dell'interesse legittimo dell'impresa a concorrere con gli altri operatori per l'aggiudicazione di una commessa pubblica (Cons. Stato, Sez. III, 28/9/2020 n. 5708).
E' stato precisato (Cons. Stato, sez. III, 26 febbraio 2019, n. 1331; C.G.A.R.S. 20 dicembre 2016, n. 474) che tra le clausole da considerare immediatamente escludenti rientrano anche quelle che prevedono un importo a base d'asta insufficiente alla copertura dei costi, inidoneo cioè ad assicurare ad un'impresa un sia pur minimo margine di utilità o addirittura tale da imporre l'esecuzione della stessa in perdita (ciò in quanto l'amministrazione, nel perseguimento del suo interesse all'ottenimento della prestazione alle condizioni più favorevoli, deve contemperare tale interesse con l'esigenza di garantire l'utilità effettiva del confronto concorrenziale (Cons. Stato, sez. III, 21 febbraio 2019, n. 513), aggiungendosi al riguardo che il carattere escludente di una siffatta clausola deve essere verificato e apprezzato in concreto, cioè anche in relazione allo specifico punto di vista dell'impresa e della sua specifica organizzazione imprenditoriale (cfr. Cons. Stato, sez. III, 21 febbraio 2019, n. 513; Sez. V, 25 novembre 2019, n. 8033).
10.2 - Dai suddetti principi si evince che dinanzi all’incertezza del bando di gara, tale da non poter consentire di formulare un’offerta consapevole, sussiste la legittimazione e l’interesse all’impugnativa da parte dell’operatore del settore che non abbia partecipato alla gara.
Come ha correttamente ritenuto il TAR “la formulazione della lex specialis è tale da indurre gli operatori – come nella fattispecie la ricorrente – a ragionevolmente dubitare su quale fosse la precisa tipologia di dispositivo richiesto in relazione alla base d’asta prevista, nonché, conseguentemente, a ritenere di non poter partecipare alla gara”; tale indeterminatezza, inoltre, “ingenera seri dubbi circa la possibilità di esiti irragionevoli e comunque incerti della procedura” “con il rischio di lasciare insoddisfatte e comunque indeterminate le reali esigenze dell’Amministrazione”; “un device finalizzato al trattamento dell’aorta tout court e un device destinato al trattamento della patologia di uno specifico tratto dell’aorta sono all’evidenza volti a soddisfare distinte necessità (e presentano caratteristiche e costi diversi), sicchè non può ritenersi indifferente per l’Amministrazione acquisire l’una o l’altra tipologia di protesi”.
MANCATA AGGIUDICAZIONE - PRINCIPI DEL RISARCIMENTO DANNI
La tutela risarcitoria è, sotto il profilo del danno ristorabile, variamente modulata, secondo che:
a) il concorrente danneggiato sia in grado di dimostrare con certezza che, in assenza del comportamento illegittimo serbato dalla stazione appaltante, si sarebbe aggiudicato la commessa (e cioè che – ove il contratto fosse stato dichiarato inefficace, ricorrendone le condizioni – avrebbe senz’altro avuto diritto alla stipula o al subentro): trattandosi, in tal caso, propriamente di danno da mancata aggiudicazione;
b) non sia, per contro, possibile accedere – in difetto di idonei elementi probatori ovvero in presenza di profili conformativi non integralmente vincolati, rimessi all’apprezzamento sequenziale della stazione appaltante – ad un giudizio di effettiva spettanza: prospettandosi, in tal caso, il danno in termini di mera perdita di chances di aggiudicazione.
Nel caso di specie, è certo, alla luce dei fatti di causa, che – ove il contratto non fosse stato illegittimamente aggiudicato alla controinteressata – l’odierna appellante, utilmente collocata in graduatoria al secondo posto ed in possesso dei requisiti soggettivi ed oggettivi di partecipazione, avrebbe avuto diritto ad aggiudicarsi il contratto.
4.- Ciò posto, in relazione al danno da mancata aggiudicazione, che qui viene in considerazione, vale rammentare, in conformità al consolidato orientamento giurisprudenziale:
a) che la relativa imputazione opera in termini obiettivi, che prescindono dalla colpa della stazione appaltante, in quanto – in conformità alle indicazioni di matrice eurounitaria – la responsabilità assume, nella materia de qua, una coloritura funzionale compensativo-surrogatoria a fronte della impossibilità di conseguire l’aggiudicazione del contratto (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 15 aprile 2019, n. 2429; Id., sez. V, 19 luglio 2018, n. 4381);
b) che – come, peraltro, positivamente chiarito dall’art. 124, comma 1 cod. proc. amm., che fa parola di danno “subito e provato” – è onere del concorrente danneggiato offrire compiuta dimostrazione dei relativi presupposti, sia sul piano dell’an che sul piano del quantum, atteso che, in punto di tutela risarcitoria, l’ordinario principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal c.d. metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento ex art. 64, commi 1 e 3 cod. proc. amm., che si giustifica solo in quanto sussista la necessità di equilibrare l'asimmetria informativa tra Amministrazione e privato (cfr. Cons Stato, sez. V, 13 luglio 2017, n. 3448);
c) che non compete il ristoro del danno emergente, posto che i costi per la partecipazione alla gara sono destinati, di regola, a restare a carico del concorrente (il quale, perciò, può pretenderne il ristoro solo allorché lamenti, in chiave di responsabilità precontrattuale, di averli inutilmente sostenuti per essere stato coinvolto, in violazione delle regole di correttezza e buona fede, in una trattativa inutile), onde il cumulo con l’utile prospetticamente derivante, in caso di mancata aggiudicazione, dalla esecuzione della commessa darebbe vita ad un ingiustificato arricchimento (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803; Id., sez. VI, 15 settembre 2015, n. 4283; Id., sez. III, 25 giugno 2013, n. 3437; Id., sez. III, 14 dicembre 2012, n. 6444);
d) che spetta, per contro, il lucro cessante, che si identifica con il c.d. interesse positivo e che ricomprende: d1) il mancato profitto, cioè a dire l’utile che l’impresa avrebbe ricavato, in base alla formulata proposta negoziale ed alla propria struttura dei costi, dalla esecuzione del contratto; d2) il danno c.d. curriculare, derivante dall’impossibilità di arricchimento della propria storia professionale ed imprenditoriale, con conseguente potenziale perdita di competitività in relazione a future occasioni contrattuali;
e) che, relativamente alla prima posta risarcitoria, deve escludersi l’ancoraggio forfettario alla misura del dieci per cento dell'importo a base d'asta: e ciò sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, non avendo fondamento la presunzione che la perdita sia, secondo un canone di normalità, ancorata alla ridetta percentuale, sia perché l’art. 124 cit. va inteso nel senso della rigorosa incombenza, a carico del danneggiato, di un puntuale onere di allegazione e di dimostrazione (cfr. Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2017, n. 2184; Id., Ad. plen, 2 maggio 2017, n. 2), sicché il ricorso alla valutazione equitativa può essere riconosciuto solo in caso di impossibilità o di estrema difficoltà a fornire prova in relazione all'ammontare preciso del danno patito (Cons. Stato, Sez. V, 26 luglio 2019, n. 5283);
f) che, ai fini della base di calcolo della percentuale per il mancato utile, non si può prendere a riferimento l'importo posto a base della gara, dovendo aversi riguardo al margine di utile effettivo, quale ricavabile dal ribasso offerto dall'impresa danneggiata;
g) che, inoltre, il valore del mancato utile può essere integralmente ristorato solo laddove il danneggiato possa dimostrare di non aver potuto utilizzare i mezzi o le maestranze in altri lavori; e ciò perché, in assenza di suddetta prova, in virtù della presunzione per cui chi partecipa alle gare non tiene ferme le proprie risorse ma le impiega in altri appalti, lavori o servizi, l'utile così calcolato andrà decurtato in ragione dell'aliunde perceptum vel percipiendum, in una misura percentuale variabile (cfr. Cons. Stato, ad. plen. n. 2/2017 cit.; Cons. giust. amm. 6 novembre 2019 n. 947) che tenga, in concreto, conto della natura del contratto, del contesto operativo di riferimento, delle risorse nella ordinaria disponibilità del concorrente, della sua struttura dei costi, della sua storia professionale e del presumibile livello di operatività sul mercato, potendo, a tal fine, addivenirsi anche – nel caso di mancato assolvimento dell’onere dimostrativo ed in presenza di elementi indiziari che evidenzino l’impossibilità di ricorso cumulativo alle risorse strumentali – all’azzeramento del danno potenzialmente riconoscibile (Cons. Stato, sez. V, 12 novembre 2020, n. 7262; Id., sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803);
h) che anche il danno curriculare, ancorato alla perdita della specifica possibilità concreta di incrementare il proprio avviamento per la parte relativa al curriculum professionale, da intendersi anche come immagine e prestigio professionale, al di là dell’incremento degli specifici requisiti di qualificazione e di partecipazione alle singole gare, deve essere oggetto di puntuale dimostrazione, ancorata h1) alla perdita di un livello di qualificazione già posseduta ovvero alla mancata acquisizione di un livello superiore, quale conseguenze immediate e dirette della mancata aggiudicazione; h2) alla mancata acquisizione di un elemento costitutivo della specifica idoneità tecnica richiesta dal bando oltre la qualificazione SOA (cfr. Cons. Stato, sez. III, 15 aprile 2019, n. 2435; Id., sez. IV, 7 novembre 2014, n. 5497), sicché solo all’esito di tale dimostrazione, relativamente all’an, è possibile procedere alla relativa liquidazione nel quantum (anche a mezzo di forfettizzazione percentuale applicata sulla somma riconosciuta a titolo di lucro cessante: cfr. Cons. Stato, Sez. V, 23 agosto 2019, n. 5803) e sempre che non debba ritenersi che, trattandosi di impresa leader nel settore di riferimento, l'aver conseguito già un curriculum di tutto renda la mancata aggiudicazione di un appalto non idonea, per definizione, ad incidere negativamente sulla futura possibilità di conseguire le commesse economicamente più appetibili e, più in generale, sul posizionamento dell'impresa nello specifico settore di mercato in cui è chiamata ad operare (Cons. Stato, Sez. V, 28 gennaio 2019, n. 689);
i) che, infine, il complessivo importo riconosciuto va incrementato, trattandosi di debito di valore, della rivalutazione monetaria (a decorrere dalla data di stipula del contratto fino all’attualità), e degli interessi legali sulla somma di anno in anno rivalutata, fino all’effettivo soddisfo (Cons. Stato, sez. III, 10 luglio 2019, n. 4857).
RIMOZIONE ESCLUSIONE DALLA GARA - PASSAGGIO STRUMENTALE E NECESSARIO IN SEDE DI RICORSO
E’ infatti consolidata la giurisprudenza nel ritenere che l’interesse che un soggetto escluso da una gara pubblica fa valere è quello di conseguire l’aggiudicazione della gara, mentre rispetto ad esso la rimozione dell’esclusione costituisce un passaggio solo strumentale; conseguentemente, data la relazione intercorrente tra esclusione ed aggiudicazione, anche quest’ultima deve essere necessariamente impugnata, poiché il difetto di impugnazione dell’aggiudicazione avrebbe come conseguenza l’inutilità di un’eventuale decisione di annullamento dell’esclusione, la quale non varrebbe a rimuovere anche l’aggiudicazione, che sarebbe affetta da un’invalidità ad effetto solo viziante, e non caducante e perciò non permetterebbe un reinserimento dell’escluso nella procedura, ormai esaurita ed inoppugnabile (in termini, tra le tante, Cons. Stato, V, 28 luglio 2015, n. 3708; ; V, 4 giugno 2015, n. 2759).
Il descritto rapporto di presupposizione intercorrente tra esclusione ed aggiudicazione, tale da non enucleare un’ipotesi di caducazione, non è destinato a mutare nella specificità della fattispecie in esame, in cui l’offerta esclusa era già stata individuata come aggiudicataria in ragione dell’inversione procedimentale. Infatti la scansione procedimentale va vista nella prospettiva diacronica caratterizzante l’ordo productionis, per cui l’iniziale aggiudicazione è stata superata dall’esclusione, ed anzi si sono susseguite più aggiudicazioni, prima della “definitiva”, all’esito anche del ricalcolo dell’anomalia dell’offerta, non potendosi dunque parlare di un mero scorrimento della graduatoria (peraltro di per sé non necessariamente significativo di uno stretto rapporto di presupposizione tra atti).
AGGIUDICAZIONE - TERMINE PER PRESENTARE RICORSO
Sul punto va richiamata la costante giurisprudenza (cfr., fra le altre, Consiglio di Stato, sez. III, nn. 4356/2013, 2449/2013, 4593/2012 e 2842/2011; sez. V, n. 2554/2010) che ha chiarito che i termini previsti per la proposizione dei ricorsi davanti al giudice amministrativo avverso gli atti lesivi per l’interessato nell’ambito di una gara pubblica non possono essere riaperti sollecitando il potere di autotutela dell’Amministrazione, dovendo procedersi alla loro tempestiva impugnativa. Diversamente opinando, infatti, la richiesta di un intervento in autotutela comporterebbe l’elusione del sistema dei termini decadenziali previsti in subiecta materia, vanificando l’esigenza sottesa alla normativa di una celere definizione della lite (cfr.: Cons. Stato, sez. III, 22 gennaio 2016 n. 213; T.a.r. Puglia, Bari, sez. III, 6 aprile 2018, n. 521; T.a.r. Lazio, Latina, sez. I, 22 marzo 2018, n. 147; T.a.r. Puglia, Bari, sez. I, 19 novembre 2014, n. 1400).
Ed invero, poiché è dal provvedimento originario che discende la lesione in relazione alla quale viene invocata l’autotutela, è da tale atto che sorge per la parte ricorrente l’onere di impugnativa entro i termini di legge.
Ordinariamente, il diniego espresso di autotutela costituisce atto meramente confermativo dell’originario provvedimento, che non compie alcuna nuova valutazione degli interessi in gioco, ma piuttosto, pronunciando sulle doglianze spiegate dal soggetto interessato, anche in conformità ai generali principi di trasparenza e correttezza dell’azione amministrativa, nonché in funzione preventiva di un possibile contenzioso giurisdizionale, si limita a smentire l’idoneità delle avverse censure a scalfire le valutazioni in precedenza svolte, meramente confermandole nelle conclusioni raggiunte, di talché l’autotutela non può costituire un mezzo per una sostanziale rimessione in termini quanto alla contestazione dell’originario provvedimento.
La giurisprudenza si è spinta persino ad affermare che “il diniego di autotutela si fondi su ragioni di merito amministrativo, esulanti dalla giurisdizione di qualsivoglia giudice: il giudice non potrebbe, cioè, valutare se il diniego di autotutela sia stato bene o male esercitato, perché se ciò facesse la conseguenza sarebbe un ordine, rivolto all’Amministrazione, di nuovo esercizio del potere di autotutela secondo parametri fissati dal giudice e questo sarebbe uno sconfinamento del giudice in un potere di merito riservato esclusivamente all’Amministrazione e, come tale, incoercibile; il diniego espresso di autotutela non sarebbe, dunque, impugnabile anche per l’esposta, assorbente ragione che si tratterebbe di atto espressione del potere di apprezzamento di interessi pubblici nel loro merito, con riguardo ad opportunità e convenienza, su cui il giudice amministrativo non ha giurisdizione” (cfr. T.a.r. Toscana, sez. II, 25 giugno 2018, n. 920).
Nel caso in esame, la ricorrente ha proposto ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione solo in data 8 settembre 2020, allorquando era oramai decorso il termine di 30 giorni previsto ex art. 120, comma 5, c.p.a. per impugnare l’aggiudicazione, fidando, ma inutilmente, in una positiva conclusione del procedimento di autotutela da essa nelle more attivato, al fine del relativo ritiro da parte della Stazione appaltante.
DEPOSITO DEL RICORSO – DIMIDIAMENTO DEI TERMINI ORDINARI – POSSIBILE
In tema di rito sugli appalti pubblici l’art. 120, comma 3, cod. proc. amm. prevede l’applicazione del precedente art. 119 cod. proc. amm. per ciò che non è diversamente disciplinato nel medesimo art. 120. L’art. 119, comma 2, cod. proc. amm. a sua volta stabilisce che nelle materie in esso contemplate – tra cui l’affidamento dei contratti pubblici (comma 1, lettera a)) – tutti i termini processuali sono dimezzati. Ne consegue che il termine di deposito del ricorso presso la Segreteria del giudice adito, ordinariamente fissato in trenta giorni (art. 45, comma 1, cod. proc. amm.), diviene di quindici giorni nelle materie soggette a rito speciale accelerato. Dal combinato disposto degli artt. 45 e 119 cod. proc. amm. tale termine è peraltro definito espressamente “perentorio” ed è posto a garanzia del contraddittorio e della valida instaurazione del rapporto processuale anche nei confronti dell’organo giudicante.
MANCATA PARTECIPAZIONE GESTORE USCENTE -NON LEGITTIMATO A PRESENTARE RICORSO
Secondo un costante indirizzo giurisprudenziale dal quale non si ravvisano ragione per discostarsi, salve puntuali eccezioni, individuate in coerenza con il diritto comunitario, qui non ravvisabili, la legittimazione al ricorso, in materia di affidamento di contratti pubblici, spetta solo al soggetto che ha legittimamente partecipato alla procedura selettiva (Cons. Stato, Ad. plen., 7 aprile 2011, n. 4). Infatti, in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione; chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento (Cons. Stato, Ad. plen., 25 febbraio 2014, n. 9). In altri termini, l’impresa non partecipante alla gara non è di regola legittimata ad impugnare gli atti di gara, salve alcune eccezioni tra cui le impugnative volte all’annullamento delle cc.dd. “clausole immediatamente escludenti” (Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4).
Parte ricorrente ha sostenuto che la sua legittimazione sarebbe da ritrarre dal fatto che il ricorso sarebbe «volto a contestare che la gestione del servizio, affidata all’odierna deducente, sia trasferita ad altro operatore sulla base di determinazioni nulle di pieno diritto».
Tuttavia, la posizione di affidatario del servizio in scadenza non ha consistenza di interesse legittimo, bensì di mero interesse di fatto, atteso che la protrazione del rapporto con non è una conseguenza diretta e automatica della mancata stipulazione del contratto con l’operatore entrante, e non costituisce quindi comunque l’esito necessitato dell’eventuale annullamento dell’affidamento disposto all’esito di nuova procedura comparativa.
PAGAMENTO SPESE PROCESSUALI - PREVALE PRINCIPIO "NE BIS IN IDEM"
Dall’esame del ricorso principale emerge chiaramente la palese inammissibilità dello stesso sotto diversi profili, tra i quali si ritiene abbia carattere dirimente quello – segnalato sia dall’Amministrazione …. sia da ……… – derivante dal fatto che la ricorrente, con il presente autonomo ricorso – ha impugnato principalmente un mero atto consequenziale del procedimento di gara in oggetto, avendo la stessa già impugnato gli atti di gara direttamente lesivi della sua sfera giuridica, tra cui l’aggiudicazione della gara a …………………., con il precedente ricorso, anch’esso depositato presso questo Tribunale, rubricato sub. R.G. n. 927 del 2019. La suddetta controversia è stata decisa da questo T.A.R. con sentenza in forma succintamente motivata ex art. 60 Cod. proc. amm. n. 146 del 14 febbraio 2020, “…a mezzo della quale il Tar Bologna, definitivamente pronunciando sul ricorso principale e su quelli incidentali, condannando l’odierno esponente al pagamento delle spese di giudizio.” (v. ricorso principale pag. 4). Secondo quanto riportato dal …….. ricorrente, l’impugnazione degli atti della stessa gara con autonomo ricorso deriva dal fatto che solo in data successiva alla citata sentenza T.A.R. il …………….. ha avuto la possibilità di accedere a determinati atti di gara dai quali esso ha potuto evidenziare ulteriori vizi di legittimità che invalidano la gara in oggetto e che avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione ………..appaltante a revocare l’aggiudicazione a …………… a fare subentrare nell’affidamento dell’appalto di lavori il ………. ricorrente.
Il Collegio deve osservare, al riguardo, che tali considerazioni risultano del tutto irrilevanti nel caso di specie, stante che, da un lato, il ………… ricorrente non ha alcun concreto interesse ad annullare (oltretutto con nuovo e autonomo ricorso) l’atto con il quale ……………, nel procedere, con esito favorevole, alla verifica del possesso dei requisiti in capo all’aggiudicataria, ha unicamente reso efficace, ex art. 32 D.Lgs. n. 50 del 2016, la già valida aggiudicazione dell’appalto di lavori a ………………, risultando detta aggiudicazione definitiva il solo provvedimento immediatamente e concretamente lesivo della sfera giuridica della impresa concorrente odierna ricorrente (v. Cons. Stato sez. V, 23/8/2019 n. 5813). Dall’altro lato, l’avere riprodotto e reiterato, con il presente ricorso, le stesse identiche censure già rassegnate dalla medesima ricorrente avverso gli atti della stessa gara, con il precedente ricorso n. 927 del 2019 (ricorso peraltro già deciso da questo T.A.R. con sentenza n. 146 del 2020), rende quest’ultimo gravame inammissibile anche per palese violazione del principio di ne bis in idem (v. Cons. Stato, sez. III, 24/9/2020 n. 5585).
Il Collegio ritiene pertanto, sulla base delle considerazioni che precedono, di condannare il ………… ricorrente, quale parte virtualmente soccombente ex art. 39 Cod. proc. civ., al pagamento delle spese processuali in favore delle parti resistenti …………… e …………. , con liquidazione delle stesse come indicato in dispositivo.
IMPUGNAZIONE AGGIUDICAZIONE - DECORRENZA TERMINE RICORSO
Il ricorso è stato proposto calcolando come dies a quo per il decorso del termine decadenziale quello dell’ostensione dell’offerta tecnica dell’R.T.I. aggiudicatario avvenuta in data 3 novembre 2020, in quanto - secondo quanto affermato dalla ricorrente - solo l’acquisizione di tale documento ha reso possibile il rilievo del vizio censurato.
Per quanto riguarda la decorrenza del termine di impugnazione degli atti delle gare d’appalto, la composita ratio delle disposizioni speciali contenute nell’art. 120, comma 5, prima parte, cod. proc. amm. è stata recentemente ampiamente esaminata dall’ Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nella sentenza del 2 luglio 2020, n. 12, che ha affermato i seguenti principi di diritto: «a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016; b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri, consentono la proposizione non solo dei motivi aggiunti, ma anche di un ricorso principale; c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara comporta la ‘dilazione temporale’ quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta; d) la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali allegati, ex art. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione; e) sono idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati».
Ciò posto, nel caso in esame - sebbene in data 28 maggio 2020 il Comune non avesse negato l’accesso agli atti bensì solo differito lo stesso al momento dell’aggiudicazione ex art. 53, comma 2, lett. c), del d.lgs. n. 50 del 2016 - deve convenirsi con le difese resistenti laddove stigmatizzano la perdurante inerzia della Società ricorrente nella richiesta di accesso agli atti successivamente alla conoscenza dell’aggiudicazione.
Difatti, l’Amministrazione avrebbe dovuto riattivarsi per consentire l’accesso dopo la Determinazione n. 1560 del 10 giugno 2020 recante “Aggiudicazione non efficace ai sensi dell’art. 32, comma 7, d.lgs. n. 50 del 2016” con la quale è stata determina, ai sensi dell’art. 32, comma 7, del d.lgs. n. 50 del 2016, l’aggiudicazione del “servizio di brokeraggio assicurativo ed attività accessorie” in favore della Marsh s.p.a. in A.T.I. con Marsh Risk Consulting Service s.r.l, con la precisazione che l'aggiudicazione sarebbe divenuta efficace una volta effettuata la verifica dei requisiti di legge. Di detta aggiudicazione è stata data comunicazione al ricorrente in data 11 giugno 2020.
La citata Adunanza plenaria ha chiarito che «[i]n considerazione dell’immutato testo dell’art. 120, comma 5, del c.p.c., degli articoli 29, comma 1, e 76 del ‘secondo codice’, nonché dell’art. 5 del d.P.R. n. 184 del 2006, ... per determinare il dies a quo per l’impugnazione va riaffermata la perdurante rilevanza della ‘data oggettivamente riscontrabile’, cui ancora si riferisce il citato comma 5. La sua individuazione, dunque, continua a dipendere dal rispetto delle disposizioni sulle formalità inerenti alla ‘informazione’ e alla ‘pubblicazione’ degli atti, nonché dalle iniziative dell’impresa che effettui l’accesso informale con una ‘richiesta scritta’, per la quale sussiste il termine di quindici giorni previsto dall’art. 76, comma 2, del ‘secondo codice’, applicabile per identità di ratio anche all’accesso informale. ... il termine di impugnazione degli atti di una procedura di una gara d’appalto non può che decorrere da una data ancorata all’effettuazione delle specifiche formalità informative di competenza della Amministrazione aggiudicatrice, dovendosi comunque tenere conto anche di quando l’impresa avrebbe potuto avere conoscenza degli atti, con una condotta ispirata alla ordinaria diligenza» (C.d.S., A.P., 2 luglio 2020, n. 12).
Nella fattispecie che occupa, la Società ricorrente non ha tenuto un comportamento ispirato all’ordinaria diligenza in quanto, a fronte dell’inerzia dell’Amministrazione, non si è attivata per sollecitare l’ostensione dell’offerta tecnica dell’aggiudicataria neanche decorso inutilmente il citato termine di quindici giorni.
RITO SUPERACCELERATO - EFFETTI ABROGAZIONE
L’abrogazione del rito superaccelerato appalti risulta immediatamente efficace anche per quanto riguarda i bandi adottati prima della sua entrata in vigore a condizione, tuttavia, che i relativi provvedimenti di ammissione non siano già stati adottati e soprattutto non abbiano già esaurito i propri effetti mediante il decorso del termine di trenta giorni dalla loro pubblicazione/conoscenza. Nell’ipotesi in cui tali provvedimenti di ammissione siano già stati adottati, e in particolare il termine di impugnazione di cui al previgente art. 120, c. 2-bis, sia ormai spirato, troverà ancora applicazione il regime delle preclusioni e delle decadenze processuali a suo tempo ivi specificamente previsto.
Nell'ambito delle gara da aggiudicarsi all'offerta economicamente più vantaggiosa, i criteri di valutazione devono essere pertinenti, oggettivi, idonei a valorizzare gli aspetti qualitativi, ambientali e sociali delle offerte e a favorire l'effettiva concorrenza dei partecipanti, ma possono legittimamente prevedere indifferentemente modalità discrezionali o vincolate di attribuzione dei relativi punteggi. Nel rispetto di questi limiti l'individuazione dei criteri di valutazione delle offerte rientra nell'ambito della discrezionalità dell'Amministrazione che, in termini generali, è suscettibile di sindacato giurisdizionale solo nei casi di manifesta irragionevolezza, illogicità o abnormità, ovvero della scelta di criteri non trasparenti od intellegibili. Ciò premesso, si osserva comunque che, per orientamento giurisprudenziale l'utilizzo dei criteri on/off deve ritenersi pienamente legittimo ed idoneo ad assicurare la valutazione del profilo qualitativo dell'offerta. E' stato infatti affermato che "non residuano dubbi sulla compatibilità di tale metodica con il tipo di gara qui in rilievo. Si è, infatti, evidenziato che<<i criteri a struttura binaria, incentrati sul principio “on/off”, consentono alla stazione appaltante di definire gli elementi tecnici valorizzabili per valutare il merito tecnico di ciascuna offerta e di prevedere, in relazione a ciascun elemento, l’assegnazione di un punteggio predeterminato, non graduabile discrezionalmente. Pertanto, ove l’offerente soddisfi l’elemento tecnico oggetto di valutazione, potrà procedersi all’attribuzione del punteggio (“on”); in caso contrario, nessun punteggio potrà essere riconosciuto (“off”). Tale tipologia di criteri non può, di per sé, ritenersi incompatibile con la disciplina vigente in materia di offerta economicamente più vantaggiosa>> (cfr. Cons. St., sez.VI, 13 agosto 2020 n. 5026; Cons. St., sez. V, 12 maggio 2020, n. 2967, 26 marzo 2020, n. 2094)” (ex multis: C. di St. n. 6380/2020).
RESPONSABILITÀ RISARCITORIA – QUANTIFICAZIONE - DEFERIMENTO QUESTIONI ALL’ADUNANZA PLENARIA DEL CONSIGLIO DI STATO
Il Consiglio di giustizia amministrativa della Regione Sicilia, in sede giurisdizionale, deferisce le seguenti questioni all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato:
“se si configuri o meno una interruzione del nesso di causalità della fattispecie risarcitoria ex art. 2043 cc di tipo omissivo se, successivamente all’inerzia dell’Amministrazione su istanza pretensiva del privato, di per sé foriera di ledere il solo bene tempo, si verifichi una sopravvenienza normativa che, impedendo al privato di realizzare il progetto al quale l’istanza era preordinata, determini la lesione dell’aspettativa sostanziale sottesa alla domanda presentata all’Amministrazione, che sarebbe stata comunque soddisfatta, nonostante l’intervenuta nuova disciplina, se l’Amministrazione avesse ottemperato per tempo”;
“se il paradigma normativo cui ancorare la responsabilità dell’Amministrazione da provvedimento (ovvero da inerzia e/o ritardo) sia costituito dalla responsabilità contrattuale piuttosto che da quella aquiliana”;
in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura contrattuale della responsabilità, “se la sopravvenienza normativa occorsa intervenga, all’interno della fattispecie risarcitoria, in punto di quantificazione del danno (1223 c.c.) o di prevedibilità del medesimo (1225 c.c.)”;
in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura contrattuale della responsabilità, “se deve o meno essere riconosciuta la responsabilità dell’Amministrazione per il danno da mancata vendita dell’energia nei termini, anche probatori, sopra illustrati”;
in via subordinata, in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura extracontrattuale della responsabilità, “se in ipotesi di responsabilità colposa da lesione dell’interesse legittimo pretensivo integrata nel paradigma normativo di cui all’art. 2043 c.c. la pubblica amministrazione sia tenuta o meno a rispondere anche dei danni derivanti dalla preclusione al soddisfacimento del detto interesse a cagione dell’ evento – per essa imprevedibile- rappresentato dalla sopravvenienza normativa primaria preclusiva e, in ipotesi di positiva risposta al detto quesito, se tale risposta non renda non manifestamente infondato un dubbio di compatibilità di tale ricostruzione con il precetto di cui all’art. 81 terzo comma Cost.”;
sempre in via subordinata, in caso di risposta al quesito 2) nel senso della natura extracontrattuale della responsabilità “se debba o meno essere riconosciuta la responsabilità della Regione per il danno da mancata vendita dell’energia nei termini, anche probatori, sopra illustrati”.
RITO SUPERACCELERATO - APPLICABILITA' PROCEDURE IN CORSO
Il principio di diritto è stato affermato dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato, con sentenza del 3 febbraio 2014, n. 8.
Per quanto di interesse nel presente giudizio, questa sentenza ha infatti statuito che la «collocazione al terzo posto in graduatoria non comporta di per sé - con carattere di automatismo - il difetto di legittimazione del concorrente terzo graduato ad introdurre contestazione sulle scelte operate dalla stazione appaltante in ordine all’opportunità di procedere o meno all’esame discrezionale di una supposta anomalia dell’offerta dei concorrenti collocati in posizione potiore», in linea con le caratteristiche della giurisdizione amministrativa di «giurisdizione che si caratterizza di diritto soggettivo e non oggettivo, e cioè di mera tutela della legalità dell’azione amministrativa» tali per cui l’utilità perseguita dal ricorrente «deve porsi in rapporto di prossimità, regolarità ed immediatezza causale rispetto alla domanda di annullamento proposta e non restare subordinata da eventi, solo potenziali ed incerti, dal cui verificarsi potrebbe scaturire il vantaggio cui mira il contenzioso introdotto».
I principi di diritto qui riportati, affermati in un giudizio di impugnazione in cui il terzo classificato aveva contestato l’anomalia dei primi due concorrenti (oltre a dedurre censure comportanti l’annullamento dell’intera procedura di gara) valgono ad escludere che quanto ottenibile immediatamente mediante tempestiva impugnazione nei confronti delle prime due classificate, possa essere chiesto dopo che la posizione di queste in graduatoria si sia consolidata, e nondimeno nei confronti di una di queste l’amministrazione abbia esercitato l’autotutela. L’esercizio dell’autotutela è volto infatti alla cura del solo interesse dell’amministrazione: perciò non ne sono configurabili effetti di rimessione in termini a vantaggio di concorrenti collocati in graduatoria in posizioni successive, i quali sin dall’inizio avrebbero potuto contestare la partecipazione delle imprese meglio classificate, eventualmente per le stesse ragioni per cui nei confronti di alcune di queste la stazione appaltante ha agito in autotutela. La modifica della graduatoria di gara conseguente all’esercizio del potere di autotutela, consistito nell’esclusione di un concorrente, non determina infatti per gli altri un effetto lesivo, ma casomai produce per loro effetti favorevoli, legati allo scorrimento delle rispettive posizioni rispetto a quella iniziale: dunque la circostanza che ad esso non segua l’aggiudicazione è conseguente all’originaria posizione in graduatoria, che andava pertanto contestata tempestivamente.
INTERESSE A RICORRERE - C.D. PROVA DI RESISTENZA - LESIONE CONCRETA ED ATTUALE
Per pacifico e consolidato principio di diritto (ex pluribus, Cons. Stato, VI, 15 giugno 2018, n. 3706; V, 14 aprile 2016, n. 1495), l’interesse a ricorrere – che deve persistere per tutto il corso del giudizio – è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che caratterizzano l’interesse ad agire di cui all’art. 100 Cod. proc. civ., vale a dire la prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e l’effettiva utilità che potrebbe derivare a quest’ultimo dall’eventuale annullamento dell’atto impugnato.
In conseguenza di ciò, il ricorso deve essere considerato inammissibile per carenza di interesse in tutte le ipotesi in cui l’annullamento giurisdizionale di un atto amministrativo non sia in grado di arrecare alcun vantaggio all’interesse sostanziale del ricorrente.
Nel caso di specie, come evidenziato nella sentenza appellata, il criterio di aggiudicazione scelto dalla stazione appaltante era quello del minor prezzo ex art. 95, comma 4 d.lgs. n. 50 del 2016, relativamente al quale la posizione in graduatoria delle offerte non segue ad una valutazione di carattere tecnico-discrezionale, bensì ad un mero riscontro automatico del prezzo ivi indicato.
Quest’ultimo, proprio in ragione della sua oggettività vincolata e dell’assenza di qualsiasi profilo valutativo discrezionale, ben può essere effettuato anche dal giudice amministrativo, il quale, nel caso di specie, ben avrebbe potuto verificare l’effettivo assolvimento, in concreto, della prova di resistenza da parte della società ricorrente, che aveva agito in giudizio sul presupposto di essere stata lesa nel proprio interesse all’aggiudicazione.
Invero, la prova di resistenza all’impugnazione di un provvedimento amministrativo, ossia l’interesse di un soggetto ad agire avverso quest’ultimo se reputato lesivo della sua sfera giuridica,
va verificata in relazione alla certezza dell’utilità giuridica che il ricorrente potrebbe ritrarne dall’annullamento (ex multis, Cons. Stato, V, 7 agosto 1996, n. 884).
A tal fine S. s.p.a. avrebbe quindi dovuto indicare il ribasso offerto, al fine di verificare se lo stesso fosse realmente maggiore di quello indicato dall’aggiudicataria R. s.r.l. (pari al 22%) e così dar atto che, in caso di annullamento della propria esclusione, si sarebbe vista aggiudicare con certezza (in modo automatico) la gara.
Va dunque condivisa la considerazione del primo giudice, secondo cui “la previsione nella gara che interessa del criterio del massimo ribasso, di carattere automatico e di immediata evidenza, rende agevole la dimostrazione della prova di resistenza, e non comporta la necessità di comparazione in senso stretto tra le offerte, tale da configurarsi come attività riservata in via esclusiva all’amministrazione. In tal senso la dimostrazione dell’interesse concreto ed attuale all’annullamento degli atti di gara discenderebbe in via immediata dalla applicazione di un criterio matematico, proprio di scienze esatte con risultati non opinabili, senza che venga coinvolta alcuna attività valutativa di carattere discrezionale, ancorché tecnico”.
INCERTEZZA GIURISPRUDENZIALE - DANNO DA LESIONE DI INTERESSI LEGITTIMI – ESCLUSA RESPONSABILITA’ PA
A prescindere dalla natura aquiliana o contrattuale della responsabilità della P.A. per lesione di interessi legittimi, la giurisprudenza amministrativa, sulla base di puntuali indici normativi, ne ha individuato gli elementi costitutivi, e, segnatamente, l’ingiustizia, la sussistenza del danno (che, in linea di principio, non si presume iuris tantum, in automatica ed esclusiva relazione all’illegittimità del provvedimento amministrativo), il nesso di causalità materiale e giuridica previsto dall’art. 1223 c.c. nonché la sussistenza del dolo o colpa del danneggiante (cfr. Cons Stato, Sez. III, 20 aprile 2020, n. 2528 Cons. Stato, Sez. IV, 15 gennaio 2019, n. 358).
La risarcibilità del danno da lesione di interessi presuppone una verifica della spettanza del bene della vita che implica «un giudizio prognostico in relazione al se, a seguito del corretto agire dell'amministrazione, il bene della vita sarebbe effettivamente o probabilmente (secondo il canone del “più probabile che non”) spettato al titolare dell’interesse» (Cons. Stato, Sez. IV, 27 febbraio 2020, n. 1437).
Nel caso che ci occupa, quindi, a fronte di un’attività ampiamente discrezionale della P.A., inficiata tuttalpiù dal vizio di difetto d’istruttoria o di motivazione, il giudizio di ragionevole certezza sulla spettanza del bene della vita rimane precluso (Cons. Stato, Sez. V, 23 marzo 2018, n. 1859; Cons. Stato, Sez. III, 2 marzo 2015, n. 1029).
Nella presente fattispecie, inoltre, l’amministrazione resistente ha denegato quanto richiesto dal ricorrente in ragione di un’oggettiva incertezza giurisprudenziale ‒ persistente alla data di adozione del provvedimento impugnato come evidenziato dalla stessa parte ricorrente e altresì emergente dalla lettura della motivazione dell’atto ‒ sulla possibilità di autorizzare l’impianto pubblicitario, anche temporaneo, in mancanza di piano degli impianti pubblicitari (cfr. per la soluzione più favorevole al privato vedi T.A.R., Sicilia, Palermo, Sez. II, 23 gennaio 2015, n. 237 contra T.A.R. Sicilia, Palermo, II 23 maggio 2014, n. 1340; Id., Sez. III, 20 dicembre 2013, n. 2527 e in epoca più risalente C.G.A.R.S., Sez. giur., 22 aprile 2005, n. 252).
Tale contrasto giurisprudenziale ‒ sussistente al momento dell’adozione dell’atto impugnato e ancora oggi non definitivamente superato ‒ esclude la sussistenza in capo alla pubblica amministrazione resistente della colpa necessaria per affermarne la responsabilità (Cons. Stato, Sez. IV, 1 luglio 2015, n. 3258).
CLAUSOLE NON ESCLUDENTI DEL BANDO – IMPUGNAZIONE CONTESTUALE AL PROVVEDIMENTO LESIVO
E’ noto il consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui le clausole non escludenti del bando vanno impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione (e cioè l’aggiudicazione a terzi), considerato altresì che la postergazione della tutela avverso le clausole non escludenti del bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di matrice europea, in quanto non lo oblitera, adattandolo piuttosto alla realtà dell’incedere del procedimento nella sua connessione con i tempi del processo (in termini Cons. Stato, Ad. plen., 26 aprile 2018, n. 4; Ad. plen., 29 gennaio 2003, n. 1).
Tale regola è derogata solamente allorché si contesti in radice l’indizione della gara, ovvero, all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto, nonché, ancora, allorché si impugnino, direttamente, le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.
Con riferimento a questo terza situazione, che è stata ipotizzata nella fattispecie controversa, va detto, traendo argomento dalla casistica giurisprudenziale, che clausole escludenti sono : a) quelle impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura di gara; b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa od addirittura impossibile; c) disposizioni abnormi od irragionevoli che precludano il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero ancora prevedano abbreviazione irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso ed obiettivamente non conveniente; e) clausole impositive di obblighi contra ius; f) bandi concernenti gravi carenze nell’indicazione dei dati essenziali per la formulazione dell’offerta o con formula matematiche errate; g) gli atti di gara mancanti dell’indicazione dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso”.
In alcuna di questa teoria di fattispecie rientra evidentemente la contestazione della previsione del disciplinare, inserita nella parte finale del paragrafo 17, concernente il contenuto dell’offerta economica, secondo cui «nel proprio PEF il concorrente dovrà tenere conto del flusso dei visitatori stimati al paragrafo 5 dell’Appendice 1 al Progetto-Capitolato Tecnico-Lotto 1 e al paragrafo 5 dell’Appendice 1 al Progetto-Capitolato Tecnico-Lotto 2, che non potranno essere modificati dal concorrente», e secondo cui «in caso di modifica dei suddetti dati, i valori contenuti nel PEF del Concorrente si intenderanno comunque riferiti a quelli contenuti nel paragrafo 5 all’Appendice 1 al Progetto-Capitolato Tecnico-Lotto 1 e il valore percentuale dell’Aggio offerto verrà automaticamente applicato a questi ultimi».
RITO SUPER ACCELERATO – ABROGAZIONE – FASE TRANSITORIA – APPLICABILITÀ
L’art. 1, comma 23, del d.l. 32/2019 – lungi dal voler ‘resuscitare’ un termine già definitivamente spirato – ha inteso consentire l’applicazione dello jus superveniens anche nei processi promossi dopo la sua entrata in vigore ma solo ove tale termine sia ancora pendente, sicché solo in tale ipotesi sarebbe possibile far valere i vizi degli atti di ammissione (non ancora “inoppugnati”) in occasione della contestazione dell’atto finale di aggiudicazione definitiva; nel senso della soluzione qui accolta depongono, su un piano più sistematico, oltre al principio di inoppugnabilità degli atti amministrativi, anche quello di inapplicabilità retroattiva dello jus superveniens (entrambi rinvenienti saldi addentellati costituzionali negli artt. 24, 97 e 113 Cost.) nonché l’art. 2 delle disposizioni transitorie del c.p.a. il quale, nel sancire che per i termini che sono in corso alla data di entrata in vigore del codice continuano a trovare applicazione le norme previgenti, sembra dettare un criterio di orientamento coerente con l’impostazione sin qui tracciata (e con quella giurisprudenza del Consiglio di Stato che reputa ragionevole che le scadenze dei termini processuali vengano calcolate con riferimento alla legge vigente alla data di inizio della relativa decorrenza, “perché solo in tal caso l’interessato è in condizione di averne responsabile consapevolezza, senza essere esposto ad un’imprevedibile modifica in itinere”: Cons. Stato, sez. VI, n. 6845/2011);
CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTI - IMMEDIATA IMPUGNABILITÀ
L’Alto Consesso ha ricordato le due pronunce della stessa Adunanza plenaria che erano intervenute sulla questione della immediata impugnabilità del bando di gara. Ci si riferisce all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 29 gennaio 2003, n. 1 e all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato 7 aprile 2011, n. 4, secondo cui:
a) la regola generale è quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnare l'esito della medesima, in quanto soltanto a quest’ultimo è riconoscibile una posizione differenziata; né quanto si afferma sulle regole di gara in via generale potrebbe essere in contrasto con l’assetto fondamentale della giustizia amministrativa;
b) i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato;
c) possono essere tuttavia enucleate alcune eccezioni a tale principio generale, individuandosi taluni casi in cui deve essere impugnato immediatamente il bando di gara, nonché particolari fattispecie in cui a tale impugnazione immediata deve ritenersi legittimato anche colui che non ha proposto la domanda di partecipazione.
Ha quindi ricordato come la giurisprudenza a più riprese abbia puntualizzato che vanno fatte rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” le fattispecie di:
a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (Cons. St., sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671); b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Cons. St., A.P., n. 3 del 2001); c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (Cons. St., sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980); d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (Cons. St., sez. V, 21 novembre 2011, n. 6135; id., sez. III, 23 gennaio 2015, n. 293); e) clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all'intero importo dell'appalto: Cons. St., sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222); f) bandi contenenti gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta (come ad esempio quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall'aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di "0" pt.); g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (Cons. St., sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421).
Le rimanenti clausole, in quanto non immediatamente lesive, devono essere impugnate insieme con l'atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva (Cons. St., sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5282), e postulano la preventiva partecipazione alla gara.
AGGIUDICAZIONE - TERMINE PER L'IMPUGNAZIONE – DECORRENZA
Sulla base delle considerazioni che precedono, l’Adunanza Plenaria ritiene di affermare i seguenti principi di diritto:
“a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione decorre dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri, consentono la proposizione non solo dei motivi aggiunti, ma anche di un ricorso principale;
c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara comporta la ‘dilazione temporale’ quando i motivi di ricorso conseguano alla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero delle giustificazioni rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
d) la pubblicazione degli atti di gara, con i relativi eventuali allegati, ex art. 29 del decreto legislativo n. 50 del 2016, è idonea a far decorrere il termine di impugnazione;
e) sono idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione dell’atto di aggiudicazione le forme di comunicazione e di pubblicità individuate nel bando di gara ed accettate dai partecipanti alla gara, purché gli atti siano comunicati o pubblicati unitamente ai relativi allegati’.
TERMINE IMPUGNAZIONE - 30 GIORNI DALLA COMUNICAZIONE - NON TASSATIVO
L’art. 120 c.p.a. deve essere interpretato nel senso che il termine di trenta giorni per l’impugnativa del provvedimento di aggiudicazione di gara pubblica non decorre sempre e comunque dal momento della comunicazione di cui all’art. 76, d.lgs. n. 50 del 2016, ma, ove emergano vizi riferibili ad atti diversi da quelli comunicati dalla stazione appaltante, dal giorno in cui l’interessato ha avuto piena ed effettiva conoscenza, proprio in esito all’accesso, degli atti e delle vicende fino ad allora rimasti non noti; ciò naturalmente purché la parte interessata si attivi per acquisire una compiuta conoscenza degli atti di gara, attraverso gli strumenti normativamente contemplati, ed in particolare l’accesso; può dunque ritenersi che il termine di trenta giorni per l’impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorra sempre dal momento della comunicazione, ma può essere incrementato da un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto che si ritenga leso dall’aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell’atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione; in ogni caso il termine di impugnazione comincia a decorrere solo a partire dal momento in cui l’interessato abbia avuto piena cognizione degli atti della procedura (Consiglio di Stato sez. V, 2 settembre 2019, n. 6064).
Nel caso che qui occupa il Collegio non vi sono stati né rifiuti né comportamenti dilatori da parte della Stazione appaltante. Il ricorrente ha ottenuto la documentazione con immediatezza e non vi è ragione per ritenere dovuta una dilazione del termine di 30 giorni per impugnare la determinazione di aggiudicazione.
Questa sarebbe l’interpretazione preferibile ad avviso di questo Collegio………….
Non sfugge però che, proprio recentemente, sono state rimesse all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato le seguenti questioni:
a) se il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa decorrere di norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016;
b) se le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76 del d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri consentano la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da considerare patologica – con le ovvie conseguenze anche ai soli fini di eventuali responsabilità erariale – della omessa o incompleta pubblicazione prevista dal già citato articolo 29;
c) se la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non sia giammai idonea a far slittare il termine per la impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, che decorre dalla pubblicazione ex art. 29 ovvero negli altri casi patologici dalla comunicazione ex art. 76, e legittima soltanto la eventuale proposizione dei motivi aggiunti, ovvero se essa comporti la dilazione temporale almeno con particolare riferimento al caso in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero dalle giustificazioni da questi rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
d) se dal punto di vista sistematico la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di gara, in particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex art. 78 del d.lgs. n. 50 del 2016) ovvero dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due modi (di conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità secondaria o subordinata e meramente complementare;
e) se in ogni caso, con riferimento a quanto considerato in precedenza sub d), la pubblicazione degli atti di gara ex art, 29 del d.lgs. n. 50 del 2016 debba considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza aliunde;
f) se idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione debbano considerare quelle forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla procedura di gara (Consiglio di Stato, sez. V, ordinanza 2 aprile 2020 n. 2215).
Viste le oscillazioni giurisprudenziali su una questione così delicata, ragioni di giustizia impongono comunque di esaminare il ricorso nel merito vista, comunque, l’infondatezza dello stesso.
QUANTIFICAZIONE DEL DANNO PER MANCATA AGGIUDICAZIONE
Deve, pertanto, essere accolta l’istanza di risarcimento per equivalente, sussistendone tutti gli elementi costitutivi ricavabili dall’art. 2043 c.c., senza che occorra interrogarsi anche sulla colpa della stazione appaltante.
Come noto, infatti, la condanna al risarcimento dei danni conseguenti all’illegittima aggiudicazione di appalti pubblici non richiede la prova dell’elemento soggettivo della colpa, giacché la relativa responsabilità è improntata – secondo le previsioni contenute nelle direttive europee – a un modello di tipo oggettivo (in termini Consiglio di Stato, IV, 15 aprile 2019, n. 2429 con ampi rinvii).
Per quanto concerne la quantificazione, va respinta la voce riferita al danno curriculare per mancato assolvimento del relativo onere probatorio.
La ricorrente non ha dimostrato (né dedotto) che la mancata integrale aggiudicazione ed esecuzione dell’appalto oggetto del presente giudizio le ha precluso di acquisire ulteriori aggiudicazioni (di pari o superiore rilievo), né ha specificato quali sarebbero state le negative ricadute che il mancato affidamento ha cagionato, in termini di minore capacità competitiva e reddituale, sulle sue credenziali tecniche e commerciali.
Da tali elementi dimostrativi non può prescindersi, essendosi la più condivisibile giurisprudenza dell’adunanza plenaria (vedi sentenza n. 2 del 12 maggio 2017) e del Consiglio di Stato (per tutte Consiglio di Stato, III, 15 aprile 2019, n. 2435) attestata nel ritenere necessaria la comprova specifica e circostanziata del profilo di danno c.d. curriculare.
L’unica voce di pregiudizio risarcibile risulta essere, pertanto, quella relativa alla perdita dell’utile, che è una lesione connessa, in via immediata e diretta, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., alla mancata integrale esecuzione del contratto di appalto e la cui entità si presume correlata all’offerta presentata in gara, ovvero al margine positivo in essa incorporato, quale differenza tra costi e ribasso sulla base d’asta.
Ne consegue che non può trovare ingresso la quantificazione rapportata alla misura percentuale del 10% dell’importo dell’offerta fatta dalla ricorrente, in quanto fondata su di un criterio forfettario e presuntivo, che deriva da quanto previsto in caso di recesso dell’amministrazione dal contratto di appalto dall’art. 134, comma 1, del previgente codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs.vo n. 163 del 2006, che la giurisprudenza amministrativa ha abbandonato (vedi la succitata sentenza n. 2435 del 2019) in considerazione del disposto dell’art. 124, comma 1, cod. proc. amm., a norma del quale il danno da mancata aggiudicazione deve essere “provato”.
L’oggetto di questa prova deve, appunto, avere riguardo al margine di utile effettivo, quale ritraibile dal ribasso offerto dall’impresa nel corso della gara.
Nella specie, in assenza di allegazioni ulteriori, che consentano la quantificazione di tale voce, non resta, per la liquidazione del mancato utile da attribuire alla ricorrente, a titolo risarcitorio, che fare ricorso alla tecnica, propria del danno da illegittimità provvedimentale, della c.d. condanna sui criteri prevista dall’art. 34, comma 4, c.p.a. (vedi Consiglio di Stato, III, 5 marzo 2020, n. 1607).
Per l’effetto va ordinato alla stazione appaltante di proporre alla ricorrente il pagamento di una somma, a titolo di risarcimento del danno da mancata aggiudicazione dell’appalto in questione nella percentuale di utile determinato sulla base del ribasso del prezzo offerto dall’impresa in gara.
Tale importo dovrà essere decurtato dell’eventuale aliunde perceptum conseguito dall’impresa nell’esecuzione di altri lavori durante il tempo di svolgimento del contratto di cui è causa; a tal fine, l’impresa fornirà alla stazione appaltante i dati relativi ai lavori assunti nel periodo di durata del contratto.
La somma così individuata dovrà essere maggiorata di rivalutazione monetaria secondo l’indice medio dei prezzi al consumo elaborato dall’Istat, che attualizza il danno al momento della sua liquidazione monetaria, e degli interessi fino alla data del soddisfo, nella misura del tasso legale.
All’amministrazione soccombente è assegnato il termine di 90 giorni dalla comunicazione in via amministrativa, o se anteriore, dalla notificazione della presente sentenza, per formulare alla ricorrente una proposta contenente la somma liquidata a titolo di risarcimento.
REVOCA AGGIUDICAZIONE DOPO DUE ANNI - RESPONSABILITA' PRECONTRATTUALE PA
La revoca dell’aggiudicazione provvisoria e degli atti prodromici, pur legittima, nel caso di specie, deve reputarsi scorretta in quanto tardiva: il provvedimento di revoca degli atti di gara per mancanza di fondi è legittimo, se non doveroso, ma costituisce l’epilogo di una condotta complessiva della P.A. connotata da superficialità e disattenzione. ……….
La scorrettezza va rinvenuta proprio nella contraddittorietà del comportamento della stazione appaltante che ha bandito una gara che non avrebbe mai dovuto aver inizio per mancanza dei relativi fondi o, comunque, ha mantenuto in piedi una gara senza verificare il permanere della necessaria copertura finanziaria.
La legittimità dell’atto di revoca degli atti di gara per carenza dei fondi necessari a realizzare l’opera non esclude la responsabilità precontrattuale dovendosi, sotto questo profilo, stabilire non se la P.A. si sia condotta da corretto amministratore, ma se si sia comportata da corretto contraente.
Come chiarito dal Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, sentenze 5 settembre 2005 n. 6 e 4 maggio 2018, n. 5, nello svolgimento della propria attività, l’Amministrazione è tenuta a rispettare oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illecite frutto dell’altrui scorrettezza.
Nelle gare di appalto, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento.
A fronte di comportamenti della stazione appaltante che integrino la violazione dei doveri di correttezza e di buona fede, il privato ha diritto, nonostante la legittimità dell’atto di revoca, al risarcimento del danno da lesione del c.d. interesse negativo – interesse a non essere coinvolto in trattative inutili – che include le spese sostenute per partecipare alla gara e, ove dimostrata, la perdita della c.d. chance contrattuale alternativa (ovvero la possibilità di partecipare ad altra gara pubblica e, quindi, di aggiudicarsi un diverso appalto).
Nel caso di specie l’ATI ricorrente non ha specificamente allegato e provato di aver perso la chance di aggiudicarsi altre gare d’appalto, sicchè il risarcimento va commisurato alle sole spese sostenute per partecipare alla gara, inclusi i costi di progettazione sostenuti per presentare l’offerta.
DECORRENZA TERMINI RICORSO – CONOSCENZA DEI VIZI – NECESSITÀ
La giurisprudenza della Corte di Giustzia UE, ha affermato, anche di recente, il principio secondo cui il termine di decadenza debba iniziare a decorrere solo dal momento in cui i vizi della procedura sono conosciuti o conoscibili dal concorrente (CG UE 14 febbraio 2019 C- 54/18)
Il Collegio, pur ritenendo in linea di massima condivisile l’orientamento più restrittivo espresso dalla giurisprudenza italiana, reputa indispensabile lo svolgimento di una precisazione che appare decisiva nel caso di specie.
La sostenibilità della posizione della giurisprudenza italiana dipende infatti dalla possibilità di esperire, nel singolo caso concreto, un ricorso non completamente al buio.
In altre parole dalla comunicazione del provvedimento finale deve derivare la possibilità di dedurre una impugnazione sulla base di motivi che abbiano una loro plausibile fondatezza alla luce degli atti fino a quel momento conosciuti.
A queste condizioni deve essere accolto l’orientamento secondo il quale la successiva conoscenza degli atti non legittima la proposizione di un ricorso autonomo, che sarebbe tardivo, ma solo la proposizione di motivi aggiunti.
La prassi del ricorso al buio, infatti, pur se largamente ammessa in passato, non appare più ammissibile alla luce dei principi nazionali e comunitari.
La parte, infatti, non può essere costretta ad impugnare un provvedimento con un ricorso che fin dall’inizio sa essere infondato, solo al fine di non decadere dalla possibilità di impugnare con motivi aggiunti lo stesso provvedimento, quando gli eventuali vizi saranno effettivamente conosciuti.
In materia di gare pubbliche simile conclusione è in contrasto con il principio di parità delle parti e di effettività della tutela e con la disciplina prevista dalla normativa in materia di contributo unificato.
Come è noto, in materia di appalti il contributo unificato ammonta a valori elevati (art. 13 d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115).
Richiedere il pagamento del contributo unificato a fronte di un ricorso all’inizio sicuramente infondato, come quello “al buio”, significherebbe rendere eccessivamente difficile l’accesso alla tutela giurisdizionale e introdurre una imposta sul diritto di accesso che è contraria a tutta la disciplina di materia. L’art. 25, comma 1, l. 241/90, infatti, stabilisce che: “L’esame dei documenti è gratuito. Il rilascio di copia è subordinato soltanto al rimborso del costo di riproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia di bollo, nonché i diritti di ricerca e di visura”
In conclusione qualora dal provvedimento comunicato, secondo una valutazione oggettiva che deve essere riservata al giudice al fine di evitare strumentalizzazioni della parte, non siano evincibili vizi il termine dovrà essere differito, diversamente il termine decorrerà dalla comunicazione del provvedimento.
Applicando tali principi alla fattispecie, il Collegio rileva come il provvedimento di aggiudicazione, essendo intervenuto a seguito di una pronuncia di annullamento del giudice amministrativo, si fondi esclusivamente sulla verifica di anomalia dell’offerta i cui esiti, trasfusi nei verbali di seduta riservata nn. 1 – 10, sono stati espressamente richiamati per relationem.
Ne consegue che tali verbali erano essenziali per comprendere la sussistenza di eventuali profili di illegittimità.
RITO SUPERACCELERATO - NORMA ECCEZIONALE
L’art. 120, comma 2-bis, d.lgs. n. 104 del 2010, disposizione vigente ratione temporis, è norma eccezionale e, come tale, necessariamente di stretta interpretazione (cfr. art. 14 preleggi). Ne consegue che: – il termine decadenziale per l’impugnazione introdotto da tale norma non può “scattare” nei casi in cui la violazione delle norme di azione insita nell’ammissione alla gara di un concorrente non emerga per tabulas dagli atti pubblicati dalla stazione appaltante nelle forme di legge, ma richieda all’interessato un comportamento attivo (in primis, la formulazione di un’istanza di accesso) teso ad acquisire ulteriori e più specifiche informazioni (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 27 dicembre 2019, n. 8869; Sez. V, 18 marzo 2019 n. 1753); – l’eventuale conoscenza aliunde delle ragioni che avrebbero dovuto condurre all’esclusione del concorrente non vale a far decorrere il cennato termine per l’impugnazione, e ciò sia perché la norma (in ossequio, peraltro, a ragioni di certezza del diritto) non dà rilievo alla conoscenza fattuale – come tale casuale, episodica ed occasionale – ma solo a quella riveniente dalla pubblicazione degli atti nelle forme di legge, sia, soprattutto, perché ciò che caratterizza e giustifica il decorso immediato del termine è l’evidenza della violazione delle norme di azione da parte dell’Amministrazione, che, a sua volta, richiede l’evidenza documentale, nelle forme di legge, delle concrete e specifiche valutazioni sottese all’ammissione del concorrente (cfr. la citata ordinanza della Corte di Giustizia UE del 14 febbraio 2019).
OMESSA CONTESTAZIONE ESITO GARA – ACCESSO ATTI – LIMITI (53.5.A - 53.6)
Soltanto la contestazione in sede giurisdizionale dell’esito della specifica gara può legittimare l’accesso del partecipante alle informazioni di cui al co. 5 lett. a) dell’art. 53 d.lgs. n. 50/2016, gravando peraltro anche in tal caso sulla stazione appaltante (ed eventualmente, azionata la tutela ex art. 116 c.p.a., sul giudice) l’onere dell’effettuazione di un controllo in ordine all’effettiva pertinenza ed utilità della documentazione richiesta per la difesa in sede processuale. Ove la tutela giurisdizionale contro la gara non venga invece esperita, l’accesso perderebbe la cogente connotazione ‘difensiva’, potendo quindi accordarsi all’istante unicamente a seguito dell’apprezzamento negativo, da parte della stazione appaltante, sulla ‘dichiarazione’ resa dall’offerente controinteressato circa la sussistenza del segreto.
Su queste premesse risulta allora di dirimente valenza la circostanza della mancata impugnazione in sede giurisdizionale dell’aggiudicazione della gara da parte della ricorrente, puntualmente evidenziata a supporto del diniego sull’istanza di accesso dalla stazione appaltante in sede di interlocuzione con la ricorrente ai sensi dell’art. 53 d.lgs. 50/2016; poi efficacemente valorizzata dalla resistente Amministrazione nelle proprie controdeduzioni per stigmatizzare l’insussistenza dello specifico interesse prescritto dal citato ultimo comma dell’anzidetta disposizione. L’omessa attivazione del rimedio giurisdizionale ex art. 120 c.p.a. impedisce quindi di accordare carattere ‘difensivo’ alla domanda di accesso formulata dalla ricorrente, ostando per ciò solo all’operatività della deroga (alla regola generale di cui al co. 5 lett. a) di cui al più volte citato co. 6 dell’art. 53. Né, poi, può a ben vedere convenirsi con l’opinione della ricorrente circa la mancata decorrenza del termine per impugnare la gara proprio in conseguenza del contegno dilatorio dell’Amministrazione sull’istanza ostensiva.
PROCEDURA DI GARA- ESCLUSIONE- ONERE DI IMPUGNAZIONE AGGIUDICAZIONE
E’ principio assolutamente consolidato nella giurisprudenza amministrativa che il concorrente che abbia impugnato gli atti della procedura di gara precedenti l’aggiudicazione (il provvedimento che abbia disposto la sua esclusione dalla gara o l’ammissione altrui) sia tenuto ad impugnare anche il provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto nel corso del giudizio, a pena di improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse (ex multis, Cons. Stato, sez. V, 2 settembre 2019, n. 6066; V, 31 luglio 2019, n. 5420; V, 22 luglio 2019, n. 5170; V, 16 luglio 2018, n. 4304; III, 18 aprile 2019, n. 2534; V, 4 febbraio 2019, n. 830).
L’utilità finale che l’operatore economico intende conseguire attraverso il giudizio avverso gli atti della procedura di aggiudicazione è l’affidamento dell’appalto, quale che sia il provvedimento impugnato e, nel caso di atto diverso dall’aggiudicazione, indipendentemente dall’utilità strumentale immediatamente perseguita, così che l’eliminazione dell’aggiudicazione della gara in favore di altro concorrente è indispensabile. D’altra parte l’autonomia funzionale del provvedimento di aggiudicazione rispetto agli altri atti della procedura di gara e la sua peculiare natura giuridica di atto di non mero riscontro della legittimità formale del procedimento, ma approvativo dello stesso, non consente di ipotizzare che le eventuali illegittimità riscontrate in uno qualsiasi degli atti della predetta procedura di gara abbia un effetto automaticamente caducante, che ne renda inutile la relativa impugnazione.
ATTI DI AUTOTUTELA – INCIDENTI SUL CONTRATTO O SULLA AGGIUDICAZIONE – DIFFERENTE GIURISDIZIONE
In applicazione di consolidati principi sul riparto di giurisdizione, si ritiene che alla giurisdizione del giudice amministrativo appartengono, oltre le controversie sulla procedura, pubblicistica, di affidamento dell’appalto, ricadenti nella giurisdizione esclusiva, anche le controversie che, pur relative a momenti successivi alla stipula del contratto, interessino l’esercizio da parte della pubblica amministrazione di poteri autoritativi incidenti solo indirettamente sul rapporto contrattuale, avendo ad oggetto il riesame del provvedimento di aggiudicazione. In particolare, gli atti di ritiro dell’aggiudicazione (annullamento, decadenza, revoca) si manifestano come esercizio di un potere autotutela esterna al contratto di appalto, che incide piuttosto sul provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica.
Ne deriva che, mentre gli atti di autotutela che incidono direttamente sul contratto (recesso, risoluzione, c.d. atti di autotutela interna) si presentano come atti privatistici, ricadenti nella giurisdizione ordinaria, gli atti di autotutela che incidono direttamente sull’aggiudicazione e solo di riflesso sul contratto, per la natura pubblicistica che è propria di essi, rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo.
In tal senso è costantemente orientata la giurisprudenza (cfr. Cass. sez. un. 23.12.2003, n. 19787; Cons. St., V sez. 6.12.2010, n. 8554).
APPELLO DICHIARATO INAMMISSIBILE O IMPROCEDIBILE - NO IMPUGNAZIONE NUOVA AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA - ILLEGITTIMO
Consolidata giurisprudenza afferma (…) che non può essere dichiarato inammissibile o improcedibile un appello per non essere stata impugnata la nuova aggiudicazione definitiva pronunciata in esecuzione della sentenza di primo grado (cfr. in termini Cons. Stato, Ad. Plen. 12 maggio 2017, n. 2; Cons. di Stato, V, 10 giugno 2019, n. 3881; Sez. V, 25 febbraio 2019, n. 1246; V, 18 giugno 2018, n. 3734; Sez. VI, 17 marzo 2017, n. 1218; Sez. V, 5 giugno 2017, n. 2675; V, 11 ottobre 2016, n. 4182; Sez. III, 14 gennaio 2015, n. 57). Tale soluzione consegue all’applicazione del principio dell’effetto espansivo esterno della riforma della sentenza appellata posto in tema di impugnazioni dall’art. 336, comma 2, Cod. proc. civ. (a norma del quale “la riforma e la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata”), che è un principio generale del processo e, come tale, è applicabile al processo amministrativo in virtù del rinvio esterno di cui all’art. 39 Cod. proc. amm.: pertanto, esso implica, nel caso di accoglimento dell’appello, l’automatica caducazione dell’aggiudicazione medio tempore disposta in esecuzione della sentenza esecutiva del Tribunale amministrativo regionale.
PROPOSIZIONE DEL RICORSO INCIDENTALE - TERMINE
Il dies a quo per proporre il ricorso incidentale avverso l’ammissione alla gara del ricorrente principale decorre dalla conoscenza del provvedimento di ammissione pubblicato sul profilo del committente e non, in applicazione del principio dettato dall’art. 42, comma 1, c.p.a., dalla notifica del ricorso principale.
Il principio di invarianza, di cui all’art. 95, comma 15, d.lgs. n. 50 del 2016, trova applicazione nel caso in cui il criterio di valutazione delle offerte, quale individuato dal disciplinare di gara, faccia capo al “metodo aggregativo–compensatore di cui alle linee guida Anac approvate con Delibera del consiglio n. 1005 del 21 settembre 2016”, in base ad una predeterminata formula; ed invero, pur trattandosi di criterio non automatico, in quanto orientato alla individuazione tecnico-discrezionale dell’offerta economicamente più vantaggiosa secondo il miglior rapporto qualità/prezzo, lo stesso è destinato ad operare (in virtù del richiamo al metodo aggregativo-compensatore e alla interpolazione lineare) attraverso la quantificazione di medie, condizionate dal numero dei concorrenti e dalle modalità di formulazione dell’offerta; si tratta, perciò, di fattispecie in cui è destinata ad operare, in base alle riassunte premesse, la regola della “cristallizzazione delle medie”, non solo ai (meri) fini della determinazione della soglia di anomalia (art. 97 del Codice), ma anche ai (più comprensivi) fini del divieto di regressione procedimentale, che implica l’immodificabilità della graduatoria anche all’esito della estromissione di uno dei concorrenti la cui offerta aveva concorso alla elaborazione dei punteggi.
DECORRENZA DEL TERMINE PER L'IMPUGNAZIONE DELL'AGGIUDICAZIONE - RIMESSIONE ALL’ADUNANZA PLENARIA
Sono rimesse all’Adunanza plenaria le questioni se:
a) il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione possa decorrere di norma dalla pubblicazione generalizzata degli atti di gara, tra cui devono comprendersi anche i verbali di gara, ivi comprese le operazioni tutte e le valutazioni operate dalle commissioni di gara delle offerte presentate, in coerenza con la previsione contenuta nell’art. 29, d.lgs. n. 50 del 2016;
b) le informazioni previste, d’ufficio o a richiesta, dall’art. 76, d.lgs. n. 50 del 2016, nella parte in cui consentono di avere ulteriori elementi per apprezzare i vizi già individuati ovvero per accertarne altri consentano la sola proposizione dei motivi aggiunti, eccettuata l’ipotesi da considerare patologica – con le ovvie conseguenze anche ai soli fini di eventuali responsabilità erariale – della omessa o incompleta pubblicazione prevista dal già citato art. 29;
c) la proposizione dell’istanza di accesso agli atti di gara non sia giammai idonea a far slittare il termine per la impugnazione del provvedimento di aggiudicazione, che decorre dalla pubblicazione ex art. 29 ovvero negli altri casi patologici dalla comunicazione ex art. 76, e legittima soltanto la eventuale proposizione dei motivi aggiunti, ovvero se essa comporti la dilazione temporale almeno con particolare riferimento al caso in cui le ragioni di doglianza siano tratte dalla conoscenza dei documenti che completano l’offerta dell’aggiudicatario ovvero dalle giustificazioni da questi rese nell’ambito del procedimento di verifica dell’anomalia dell’offerta;
d) dal punto di vista sistematico la previsione dell’art. 120, comma 5, c.p.a. che fa decorrere il termine per l’impugnazione degli atti di gara, in particolare dell’aggiudicazione dalla comunicazione individuale (ex art. 78, d.lgs. n. 50 del 2018) ovvero dalla conoscenza comunque acquisita del provvedimento, debba intendersi nel senso che essa indica due modi (di conoscenza) e due momenti (di decorrenza) del tutto equivalenti ed equipollenti tra di loro, senza che la comunicazione individuale possa ritenersi modalità principale e prevalente e la conoscenza aliunde modalità secondaria o subordinata e meramente complementare;
e) in ogni caso, con riferimento a quanto considerato in precedenza sub d), la pubblicazione degli atti di gara ex art. 29 d.lgs. n. 50 del 2016 debba considerarsi rientrante in quelle modalità di conoscenza aliunde; f) idonee a far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione debbano considerare quelle forme di comunicazione e pubblicità individuate nella lex specialis di gara e accettate dagli operatori economici ai fini della stessa partecipazione alla procedura di gara.
ACCESSO ATTI - DECORSO TERMINI IMPUGNAZIONE - NON INTERRUZIONE (53)
La richiesta di accesso agli atti non interrompe, di norma, il decorso dei termini per l’impugnativa, salvo fattispecie particolari che però non ricorrono nel caso in discussione (v. in tal senso Cons. Stato, sez. V, 3 aprile 2019, n. 2190 laddove, in applicazione del principio di effettività della tutela, ha ritenuto di allungare i termini per l’impugnazione dell’aggiudicazione in quanto l’impresa non era riuscita ad acquisire i documenti di controparte a causa delle condotte dilatorie dell’Amministrazione).
OGGETTO: Istanza di parere per la soluzione delle controversie ex articolo 211, comma 1 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 presentata dalla società _______OMISSIS______Servizio di raccolta e trasporto dei rifiuti solidi urbani e rifiuti assimilabili da avviare a recupero/smaltimento e raccolta differenziata – Criterio di aggiudicazione: offerta economicamente più vantaggiosa – Importo a base di gara: euro 18.897.929,99 – S.A.: Provveditorato Interregionale per le OO.PP. Campania-Molise-Puglia-Basilicata.
ILLEGITTIMITÀ DELLA LEX SPECIALIS PER IMPOSSIBILITÀ DI FORMULAZIONE DELL'OFFERTA
Secondo principi consolidati nella giurisprudenza amministrativa, la cui validità è stata di recente confermata dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza n. 4 del 26 aprile 2018, vanno fatte rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” (con conseguente onere di immediata impugnazione) “le fattispecie di:
a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (si veda Cons. Stato sez. IV, 7novembre 2012, n. 5671);
b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così l’Adunanza plenaria n. 3 del 2001);
c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (cfr. Cons. Stato sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980);
d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2011 n. 6135; Cons. Stato, sez. III, 23 gennaio 2015 n. 293);
e) clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all'intero importo dell'appalto: Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222);
f) bandi contenenti gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta (come ad esempio quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall'aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di "0" pt.);
g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011 n. 5421)”.
Orbene, a fronte della molteplici carenze della lex specialis, denunciate dalla parte ricorrente, la proposta impugnativa deve essere considerata ammissibile, dovendo ritenersi (per le ragioni meglio indicate di seguito) che la disciplina di gara non abbia consentito alla ricorrente di formulare un’offerta completa e ponderata.
Orbene, come correttamente evidenziato dalla parte ricorrente, la lex specialis presenta molteplici profili di indeterminatezza e di manifesta irragionevolezza:
a) non emerge con chiarezza dagli atti di gara se le basi messe a disposizione dalla stazione appaltante saranno già dotate delle attrezzature funzionali alla loro piena operatività o se le dotazioni strumentali delle predette basi dovranno essere fornite dall’aggiudicatario; trattasi all’evidenza di elemento di non trascurabile rilevanza, in quanto ragionevolmente incide sulla offerta economica complessiva; la censura dedotta a riguardo dalla parte ricorrente è tanto più fondata, in quanto non è stato consentito alla ricorrente di poter effettuare un sopralluogo nelle sedi potenzialmente destinate ad essere utilizzate come basi operative degli elicotteri destinati al servizio di eliambulanza.
CLAUSOLE EFFETTO IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTE - IMMEDIATA IMPUGNAZIONE - ONERE INTERESSATO
In linea generale, l’accertamento dell’ambiguità di una prescrizione di valenza normativa richiede, per definizione, la sua suscettibilità a dare luogo, quanto meno, a due diverse interpretazioni. Il relativo accertamento deve essere condotto con criteri obiettivi: la regola della cui applicazione si tratta deve apparire in sé concettualmente difficoltosa a causa della presenza di elementi positivi di confusione che determinano l’equivocità del suo contenuto complessivo, anche per dissonanza tra le sue singole prescrizioni. É stato in particolare affermato che “le preminenti esigenze di certezza connesse allo svolgimento delle procedure concorsuali di selezione dei partecipanti impongono di ritenere di stretta interpretazione le clausole del bando di gara: ne va perciò preclusa qualsiasi lettura che non sia in sé giustificata da un’obiettiva incertezza del loro significato letterale”; per cui “secondo la stessa logica, sono comunque preferibili, a garanzia dell’affidamento dei destinatari, le espressioni letterali delle varie previsioni, affinché la via del procedimento ermeneutico non conduca a un effetto, indebito, di integrazione delle regole di gara aggiungendo significati del bando in realtà non chiaramente e sicuramente rintracciabili nella sua espressione testuale” (Cons. Stato, V, 29 novembre 2019, n. 8167; 12 settembre 2017, n. 4307). Diversamente, la tendenziale certezza e stabilità della norma, che rappresentano valori primari di ogni ordinamento giuridico, potrebbe essere compromessa da letture di carattere personale, delle quali non si può escludere aprioristicamente l’intento di perseguire interessi non coincidenti con quelli che la regola intende tutelare, che nella fattispecie, vertendosi in materia di gare pubbliche e di una previsione di lex specialis relativa all’offerta tecnica, sono: quello della stazione appaltante a che la scelta dell’aggiudicatario avvenga all’esito della comparazione di offerte che, sotto il profilo tecnico, si attestino almeno al livello del comune denominatore minimo ragguagliato alle specifiche prescrizioni dettate dal disciplinare a pena di esclusione; quello dei concorrenti a che la procedura sia rigorosamente soggetta al principio della par condicio.
CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTI - ONERE DI IMMEDIATA IMPUGNAZIONE - VALUTAZIONI ESPRESSE DALLA COMMISSIONE DI GARA - ESTRANEE ALL'AMBITO OGGETTIVO DEL SINDACATO DI LEGITTIMITÀ
Come chiarito anche dall’Adunanza Plenaria n. 4 del 2018 solo in presenza di clausole immediatamente escludenti sussiste un onere di immediata impugnazione delle stesse, in deroga alla regola generale secondo cui gli atti della lex specialis devono essere gravati unitamente all’aggiudicazione.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza, da cui non si ravvisano ragioni per discostarsi, nelle gare pubbliche le valutazioni espresse dalla commissione di gara devono intendersi estranee all'ambito oggettivo del sindacato di legittimità delle relative determinazioni, che non può estendersi fino a scrutinare il merito dei pertinenti giudizi tecnici, se non nelle limitate ipotesi in cui gli stessi risultino assunti sulla base di una fallace rappresentazione della realtà fattuale o in esito ad una delibazione del tutto illogica o arbitraria della qualità dell'offerta tecnica (cfr. in termini, Cons. St., III, 24.10.2017 n. 4901).
In particolare, per ottenere una pronuncia del giudice amministrativo sulla illegittima applicazione dei criteri di valutazione ad opera della commissione di gara occorre evidenziarne la manifesta incongruità, altrimenti si solleciterebbe il giudice amministrativo ad esercitare un sindacato sostitutorio, al di fuori dei tassativi casi sanciti dall’art.134 c.p.a., fatto salvo il limite della abnormità della scelta tecnica (cfr. Cons. St., V, 17.1.2019, n. 433).
RISARCIMENTO DANNI ANNULLAMENTO AGGIUDICAZIONE – NECESSARIO ONERE PROBATORIO
Delle due voci di danno dedotte, la richiesta di risarcimento del danno curriculare va respinta per mancato assolvimento del relativo onere probatorio.
L’appellante non ha infatti dimostrato che la mancata aggiudicazione ed esecuzione del servizio oggetto del presente giudizio le hanno precluso di acquisire ulteriori commesse pubbliche (di pari o superiore rilievo), né ha specificato quali sarebbero state le negative ricadute che la mancata acquisizione della commessa ha cagionato, in termini di minore capacità competitiva e reddituale, sulle sue credenziali tecniche e commerciali.
Da tali elementi dimostrativi non può qui prescindersi, essendosi la più condivisibile giurisprudenza di questo Consiglio e della sua Adunanza Plenaria (v sent. n. 2/2017) oramai attestata nel ritenere necessaria la comprova specifica e circostanziata del profilo di danno cd. “curriculare” (v. Cons. Stato, III, n. 2435/2019; Cons. Stato, V, n. 5283/2019; 14/2019; n. 2527/2018; n. 5322/2016).
L’unica voce di pregiudizio risarcibile risulta essere, pertanto, quella relativa alla perdita dell’utile. Si tratta di una lesione connessa, in via immediata e diretta, ai sensi dell’art. 1223 cod. civ., alla mancata esecuzione del contratto di appalto e la cui entità si presume correlata all’offerta presentata in gara, ovvero al margine positivo in essa incorporato, quale differenza tra costi e ribasso sulla base d’asta.
Se tali sono i parametri di riferimento utili alla quantificazione del danno, non può trovare ingresso la diversa ponderazione rapportata alla misura percentuale del 10% dell’importo dell’offerta, in quanto fondata su di un criterio forfettario e presuntivo, frutto della trasposizione di quanto in allora previsto in caso di recesso dell’amministrazione dal contratto di appalto (art. 134, comma 1, del previgente Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 2006), che la giurisprudenza amministrativa ha tuttavia ormai abbandonato (ex plurimis: Cons. Stato, III, n. 2435/2019), a ciò indotta dalla prescrizione di legge secondo la quale il danno da mancata aggiudicazione deve essere “provato” (art. 124, comma 1, Cod. proc. amm.). L’oggetto di questa prova, appunto, deve avere riguardo al margine di utile effettivo, quale ritraibile dal ribasso offerto dall’impresa nel corso della gara.
In difetto di allegazioni ulteriori che consentano allo stato una immediata stima del presumibile ristoro, non resta, per la liquidazione del mancato utile da attribuire alla XXX a titolo risarcitorio, che fare ricorso alla tecnica, propria del danno da illegittimità provvedimentale, della c.d. condanna sui criteri prevista dall’art. 34, comma 4, c.p.a..
MOTIVI AGGIUNTI E TERMINI D’IMPUGNAZIONE: DECISIONE ALL CORTE COSTITUZIONALE
Nonostante gli sforzi profusi dalla giurisprudenza amministrativa per interpretare l’art. 120, comma 5, c.p.a., in parte qua, conformemente alla Costituzione (art. 24), ed anzi (anche) in virtù dei sopra riportati tentativi interpretativi della giurisprudenza, ad avviso meditato del Collegio, la norma in questione (nella parte in cui disciplina il termine di decorrenza per la proposizione dei motivi aggiunti), a causa del proprio univoco tenore letterale (che non ammette eccezioni) e dei correlati e definitivi effetti preclusivi/decadenziali, non sfugge ai prospettati forti dubbi di incostituzionalità per violazione del diritto di difesa e del principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 della Costituzione (e ciò anche ove la si interpretasse secondo la giurisprudenza del Consiglio di Stato sopra richiamata, che tenta di mitigare la rigidità della disposizione di cui trattasi).
Del resto, se è vero che il giudice deve interpretare le leggi in conformità ai principi costituzionali, applicando direttamente la Costituzione, quando ciò sia tecnicamente possibile - e, quindi, potendo (o meglio dovendo) trovare un significato meno prossimo alla “lettera” della legge ove questo assicuri maggiore conformità alla “lettera” e allo “spirito” della Costituzione e rimettendo la decisione alla Corte costituzionale ove non sia possibile un’interpretazione “adeguatrice” - ciò non significa, però, che la cosiddetta “lettera” possa essere travalicata attraverso l’interpretazione, al punto di pervenire ad una vera e propria “disapplicazione” del testo normativo. Come noto, la Corte Costituzionale stessa ha più volte affermato che «l’univoco tenore della norma segna il confine in presenza del quale il tentativo interpretativo deve cedere il passo al sindacato di legittimità costituzionale» (ex plurimis, sentenza n. 26 del 2010, n. 78 del 2012 e n. 91 del 2013).
Né può ritenersi - per le medesime ragioni sopra evidenziate - che i suddetti dubbi di costituzionalità possano essere superati da questo Tribunale per altra via interpretativa, ritenendo, cioè, che il riferimento contenuto nell’art. 120, comma 5, c.p.a. alla “ricezione della comunicazione di cui all’art. 79 del D. Lgs. 163/2006” debba essere inteso sic et simpliciter quale rinvio mobile al comma 2 dell'art. 76 D. Lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm., che prevede la comunicazione delle ragioni dell'aggiudicazione su istanza dell'interessato (“Su richiesta scritta dell'offerente e del candidato interessato, l'amministrazione aggiudicatrice comunica immediatamente e comunque entro quindici giorni dalla ricezione della richiesta: (…) b) ad ogni offerente che abbia presentato un'offerta ammessa in gara e valutata, le caratteristiche e i vantaggi dell'offerta selezionata e il nome dell'offerente cui é stato aggiudicato l'appalto o delle parti dell'accordo quadro”); e ciò non solo perché il tenore letterale della disposizione di che trattasi è chiaro nel richiamare l’art. 79 del D. Lgs. n. 163/2006 (e non l’art. 76, comma 2, D. Lgs. n. 50 del 2016), ma anche e soprattutto in quanto un’interpretazione di tal fatta della norma, facendo decorrere il termine di proposizione (anche) del ricorso (oltreché dei motivi aggiunti) solo a partire dal momento in cui l'interessato abbia avuto cognizione degli atti della procedura a seguito di una sua (peraltro, eventuale) istanza di accesso ex art. 76, comma 2, del Decreto Lgs. n. 50/2016, anziché dalla comunicazione d’ufficio dell’aggiudicazione prescritta dall’art. 79, comma 5, del Decreto Lgs. n. 163/2006 (ora: art. 76, comma 5, del D. Lgs. n. 50/2016), oltre a rendere del tutto superfluo lo stesso strumento dei motivi aggiunti, si porrebbe in radicale contrasto con la previsione del rito speciale accelerato in materia di appalti pubblici.
Né può operare, nel caso di specie, il potere del giudice a quo di disapplicare le norme interne in contrasto con il diritto comunitario (ora euro-unitario) direttamente applicabile.
Infatti, benché l’art. 120, comma 5, c.p.a., in parte qua, sembra porsi in evidente contrasto, per quanto sopra detto, (anche) con i principi di effettività del ricorso giurisdizionale nella materia degli appalti pubblici delineati dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea - la quale, in particolare, ha affermato che il termine per la proposizione di “ricorsi efficaci” contro le violazioni delle disposizioni applicabili in materia di aggiudicazione di appalti pubblici può decorrere solo dalla data in cui il ricorrente è venuto a conoscenza o avrebbe dovuto essere a conoscenza della pretesa violazione di dette disposizioni (cfr., la sentenza 8 maggio 2014, in C-161/13) - manca, però, sul punto una norma (processuale) euro-unitaria self executing che possa trovare applicazione in luogo della norma interna da disapplicare.
Del resto, come più volte evidenziato dalla stessa giurisprudenza della Corte U.E., le direttive ricorsi non hanno formalmente individuato un preciso momento a partire dal quale gli ordinamenti nazionali devono garantire la possibilità di proporre un ricorso contro le decisioni adottate dalle stazioni appaltanti; pertanto, gli Stati membri possono liberamente stabilire le modalità processuali per la contestazione delle decisioni adottate durante la procedura di gara, anche mediante la fissazione di termini decadenziali molto brevi, fermo restando che dette regole non devono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi previsti dall'ordinamento interno (“principio di equivalenza”), né devono rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico dell'Unione (“principio di effettività”).
Il Collegio, in conclusione, ritiene che - per le ragioni innanzi illustrate - la questione di legittimità costituzionale dell’art.120, comma 5, c.p.a, per contrasto, in parte qua, con il diritto di difesa ed il principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 della Costituzione, sia rilevante nella controversia de qua (sussistendo, appunto, il nesso di assoluta pregiudizialità tra la soluzione della prospettata questione di legittimità costituzionale e la decisione del presente giudizio) e non manifestamente infondata, e debba, conseguentemente, essere rimessa d’ufficio all’esame della Corte Costituzionale, mentre il giudizio in corso deve essere sospeso fino alla decisione della Consulta.
CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTI – CASISTICA – NON RIENTRA FORMULA SUBPUNTEGGI
Con riguardo all’ammissibilità o meno dell’immediata impugnabilità delle clausole del bando e del disciplinare di gara, la giurisprudenza ha più volte evidenziato che vanno fatte rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” le seguenti fattispecie: a) le clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 5671/2012); b) le regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, n. 3/2011); c) le disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 980/2003); d) le condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e oggettivamente non conveniente (Consiglio di Stato, Sez. V, n. 6135/2011; Sez. III, n. 293/2015); e) le clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: Consiglio di Stato, Sez, II, n. 2222/2013); f) i bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come ad esempio quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate; g) gli atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (Consiglio di Stato, Sez, III, n. 5421/2011).
Ebbene, i profili di illegittimità articolati dalla ricorrente - con l’unica eccezione di quello che attiene alla indicazione erronea dei profili del personale di cui è previsto l’assorbimento, di cui dirà in seguito - non rientrano in alcuna delle categorie esaminate; dette censure non hanno ad oggetto “clausole immediatamente escludenti” ma aspetti della lex specialis che, non essendo autonomamente lesivi, non possono essere autonomamente impugnati.
CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTI - NATURA
In base alla giurisprudenza (Cons. Stato, V, 20 novembre 2018, n. 6552), le c.d. clausole immediatamente escludenti sono state individuate (da ultimo Ad. Plen., 26 aprile 2018, n. 4) nelle: a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (Cons. Stato, IV, 7 novembre 2012 n. 5671); b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Adunanza plenaria n. 3 del 2001); c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (Cons. Stato, V, 24 febbraio 2003 n. 980); d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (Cons. Stato, V, 21 novembre 2011 n. 6135; III, 23 gennaio 2015 n. 293); e) clausole impositive di obblighi contra ius (Cons. Stato, II, 19 febbraio 2003 n. 2222); f) bandi contenenti gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate; g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (Cons. Stato, III, 3 ottobre 2011, n. 5421).
PROCESSO AMMINISTRATIVO – LEGITTIMAZIONE ATTIVA - ASSOCIAZIONI RAPPRESENTATIVE DI UTENTI O CONSUMATORI
L’art. 32-bis, d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico della finanza) prevede testualmente che “Le associazioni dei consumatori inserite nell'elenco di cui all'articolo 137 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono legittimate ad agire per la tutela degli interessi collettivi degli investitori, connessi alla prestazione di servizi e attività di investimento e di servizi accessori e di gestione collettiva del risparmio, nelle forme previste dagli articoli 139 e 140 del predetto decreto legislativo”.
Dallo specifico riferimento alle “forme previste dagli articoli 139 e 140” deriverebbe – secondo la ricostruzione giurisprudenziale citata - che le uniche azioni possibili sono quelle proponibili dinanzi al giudice ordinario, tese a: a) inibire gli atti e i comportamenti lesivi degli interessi dei consumatori e degli utenti; b) adottare le misure idonee a correggere o eliminare gli effetti dannosi delle violazioni accertate; c) ordinare la pubblicazione del provvedimento su uno o più quotidiani a diffusione nazionale oppure locale nei casi in cui la pubblicità del provvedimento può contribuire a correggere o eliminare gli effetti delle violazioni accertate” (così l’art. 140 cit.)
Dunque mancherebbe, nell’attuale ordinamento, nella materia de qua, una norma che abiliti le associazioni ad agire dinanzi al giudice amministrativo a mezzo dell’azione di annullamento.
Ritiene questa Adunanza plenaria che nemmeno questo argomento, specificatamente riferito alla tutela consumeristica, sia in grado di incidere sull’attualità e validità della lunga elaborazione giurisprudenziale assolutamente prevalente, e in effetti consolidata.
Le disposizioni citate, a ben vedere, riguardano il diritto civile e il relativo processo.
La circostanza che il legislatore sia intervenuto espressamente a disciplinare, in ambito processual-civilistico, un caso di legittimazione straordinaria per la tutela di interessi collettivi non può certamente leggersi come l’epilogo di un generale percorso di delimitazione soggettiva della legittimazione degli enti associativi e di tipizzazione delle azioni esperibili in ogni e qualsiasi altro ambito processuale, come, nello specifico, quello amministrativo. Piuttosto essa rappresenta il definitivo riconoscimento della rilevanza giuridica degli interessi nella loro dimensione collettiva, persino in un ambito, quello civilistico, in cui non viene in rilievo l’esercizio di un potere suscettibile di concretizzarsi in atti autoritativi generali lesivi, impugnabili a mezzo dell’azione demolitoria secondo la traiettoria già tracciata dalla giurisprudenza amministrativa, ma in cui piuttosto assumono importanza anche i temi della disparità di forza contrattuale, dell’asimmetria informativa, dell’abuso di posizione dominante. Temi, questi ultimi, connotati da una dimensione eccedente la sfera giuridica del singolo e da situazioni giuridiche omogenee e seriali di una vasta platea di consumatori, espressamente qualificate come “diritti fondamentali” dalla legge, anche nella loro dimensione collettiva (art. 2 codice dei consumatori).
Questo processo di espansione delle posizioni giuridiche verso una dimensione collettiva in ambito civilistico consente di spostare avanti la soglia di tutela, affrancandola dal vincolo contrattuale individuale, e di conferire alla stessa una caratteristica inibitoria idonea a paralizzare, ad un livello generale, gli atti e i comportamenti del soggetto privato “forte” suscettibili di ripercuotersi pregiudizievolemente sui diritti collettivi fondamentali dei consumatori.
Interessando posizioni giuridiche paritarie, seppur asimmetriche, è chiaro che tale processo non avrebbe potuto inverarsi senza l’emersione positiva di situazioni giuridiche collettive e la tipizzazione delle azioni giuridiche esperibili da parte di un soggetto – quello a base associativa e con funzioni rappresentative, come anche il Codancos incluso nell’elenco citato – che non sia parte dei rapporti giuridici instaurandi e instauratisi tra il soggetto “forte” e i singoli consumatori.
Non è così nei rapporti di diritto pubblico, in cui le posizioni non sono connesse a negozi giuridici, e trovano piuttosto genesi nell’esercizio non corretto del potere amministrativo, tutte le volte che esso impatti su interessi sostanziali (cd. “beni della vita”) meritevoli di protezione secondo l’apprezzamento che ne fa il giudice amministrativo sulla base dell’ordinamento positivo.
La cura dell’interesse pubblico, cui l’attribuzione del potere è strumentale, non solo caratterizza, qualifica e giustifica, nel diritto amministrativo, la dimensione unilaterale e autoritativa del potere rispetto agli atti e ai comportamenti dell’imprenditore o del professionista -nel diritto civile invece subordinati al principio consensualistico - ma vale anche a dare rilievo, a prescindere da espliciti riconoscimenti normativi, a posizioni giuridiche che eccedono la sfera del singolo e attengono invece a beni della vita a fruizione collettiva della cui tutela un’associazione si faccia promotrice sulla base dei criteri giurisprudenziali della rappresentatività, del collegamento territoriale e della non occasionalità.
In conclusione, la tenuta del diritto vivente sulla tutela degli interessi diffusi non è messa in dubbio nemmeno dagli artt. 139 e 140 del codice del consumo (oggi trasposti nel nuovo titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile, in materia di azione di classe dalla l. 12 aprile 2019, n. 31), che riguardano altro ambito processuale, e che di certo non possono essere letti nell’ottica di un ridimensionamento della tutela degli interessi collettivi nel giudizio amministrativo, nei termini sin qui chiariti dalla giurisprudenza amministrativa.
Deve quindi ritenersi che un’associazione di utenti o consumatori, iscritta nello speciale elenco previsto dal codice del consumo oppure che sia munita dei requisiti individuati dalla giurisprudenza per riconoscere la legittimazione delle associazioni non iscritte, sia abilitata a ricorrere dinanzi al giudice amministrativo in sede di giurisdizione di legittimità.
La legittimazione, in altri termini, si ricava o dal riconoscimento del legislatore quale deriva dall’iscrizione negli speciali elenchi o dal possesso dei requisiti a tal fine individuati dalla giurisprudenza. Una volta “legittimata”, l’associazione è abilitata a esperire tutte le azioni eventualmente indicate nel disposto legislativo e comunque l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità.
Alla luce di quanto sino ad ora argomentato può pertanto formularsi il seguente principio di diritto, in relazione al quesito prospettato:“Gli enti associativi esponenziali, iscritti nello speciale elenco delle associazioni rappresentative di utenti o consumatori oppure in possesso dei requisiti individuati dalla giurisprudenza, sono legittimati ad esperire azioni a tutela degli interessi legittimi collettivi di determinate comunità o categorie, e in particolare l’azione generale di annullamento in sede di giurisdizione amministrativa di legittimità, indipendentemente da un’espressa previsione di legge in tal senso”.
AFFIDAMENTO IN HOUSE - ACQUE REFLUE - NORMATIVA APPLICABILE
Con la sentenza n. 16/11 l’Adunanza Plenaria, riferendosi all’analoga disciplina di cui al d. lgs. n. 163/06, ha stabilito che: - l'assoggettabilità dell'affidamento di un servizio alla disciplina dettata per i settori speciali non può essere desunta sulla base di un criterio solo soggettivo, relativo cioè al fatto che ad affidare l'appalto sia un ente operante nei settori speciali, ma presuppone anche un parametro di tipo oggettivo che tenga conto della riferibilità e, più precisamente, della strumentalità del servizio rispetto all'attività speciale; - il concetto di strumentalità va riferito al “core business” ovvero all’attività propriamente oggetto del settore speciale e deve essere interpretato in senso restrittivo; - gli appalti affidati dalle imprese pubbliche al di fuori dei settori speciali sono “estranei” all’ambito del diritto comunitario e delle procedure ad evidenza pubblica e sono regolati dal diritto privato con conseguente giurisdizione del giudice ordinario in riferimento alle relative controversie. Tali principi sono stati confermati dalla giurisprudenza anche dopo l’entrata in vigore del d. lgs. n. 50/16 che, sul punto, ha riprodotto le disposizioni già facenti parte dell’abrogato d. lgs. n. 163/06 (Cons. Stato n. 8905/19; Cons. Stato n. 6534/18; TAR Veneto n. 632/18), come, del resto, dedotto espressamente anche da parte ricorrente (pag. 6 dell’atto introduttivo). Nella fattispecie non sussistono i presupporti richiesti dagli artt. 14, 114 e 117 d. lgs. n. 50/16 per l’assoggettabilità dell’appalto alle procedure ad evidenza pubblica prescritte dal codice degli appalti e dalla normativa comunitaria.
Nel caso in esame l’appalto ha ad oggetto attività di campionamento ed analisi finalizzate a dimostrare che l’impianto di compostaggio situato in Aprilia rispetta la normativa ambientale vigente. Tale attività non rientra in quelle che l’art. 117 comma 1 d. lgs. n. 50/16 configura come afferenti al settore speciale dell’acqua (e, come tali, assoggettate alle procedure ad evidenza pubblica) ovvero “la messa a disposizione o la gestione di reti fisse destinate alla fornitura di un servizio al pubblico in connessione con la produzione, il trasporto o la distribuzione di acqua potabile” e “l'alimentazione di tali reti con acqua potabile”. Né, al fine invocato dalla ricorrente, assume significativa rilevanza il disposto del comma 2 dell’art. 117 d. lgs. n. 50/16, secondo cui la disciplina del codice si applica anche “agli appalti o ai concorsi di progettazione attribuiti od organizzati dagli enti aggiudicatori che esercitano un'attività di cui al comma 1 e che riguardino una delle seguenti attività: … b) smaltimento o trattamento delle acque reflue”.
RITO SUPERACCELERATO - EQUILIBRIO TRA CELERITÀ E DIRITTO DI DIFESA
Il punto di equilibrio fra esigenze di celerità e tutela comunque del diritto di difesa è stato infatti individuato dalla Corte di Giustizia nella necessità che l’effettività di tale diritto venga garantita almeno da una adeguata e tempestiva conoscenza di tali elementi: di talché la dequotazione dell’accesso non è irragionevole, ma funzionale a garantire il complesso assetto su cui si fonda la compatibilità del rito con le garanzie rimediali imposte dal diritto dell’U.E. In mancanza di una prova rigorosa circa l’effettiva conoscenza di tali elementi documentali, il termine per la proposizione del ricorso non inizia a decorrere, a nulla rilevando la circostanza che l’interessato, ricevuta la notizia dell’intervenuta pubblicazione del provvedimento recante le ammissioni, avrebbe potuto esercitare il diritto di accesso ai documenti della procedura.
Nel caso in esame l’applicazione al caso di specie di tali princìpi conduce, come detto, alla conferma della censurata statuizione della sentenza di primo grado.
CLAUSOLE ESCLUDENTI - MANCATA DI PARTECIPAZIONE ALLA GARA – INAMMISSIBILITÀ RICORSO
La Sezione è dell’avviso che nel caso di specie non ricorra l’ipotesi dell’eccezionale ammissibilità dell’impugnazione immediata del bando e degli altri atti di gara in assenza della presentazione della domanda di partecipazione (da ultimo, tra le tante, Cons. Stato, sez. III, 4 maggio 2018, n. 2663).
A tal fine, infatti, la lesione lamentata deve conseguire in via immediata e diretta, e non soltanto potenziale e meramente eventuale, alle determinazioni dell’amministrazione e all’assetto di interessi delineato dagli atti di gara, in relazione a profili del tutto indipendenti dalle vicende successive della procedura e dai correlati adempimenti; inoltre, i motivi immediatamente escludenti devono avere natura oggettiva e non inerire meramente a pretese situazioni soggettive, ascrivibili ad un giudizio meramente individuale di non convenienza della commessa.
D’altra parte neppure ricorre l’ipotesi che le condizioni dell’affidamento imposte dal bando, per l’immanente irragionevolezza e illogicità, siano strutturate in modo tale da integrare una palese Violazione dei principi fondamentali che sottendono alla predisposizione della lex specialis di gara.
In realtà correttamente il primo giudice, con motivazione sintetica ma puntuale ed esaustiva, ha escluso che le clausole del bando e gli atti di gara impugnati fossero inficiati da profili di abnormità, illogicità, arbitrarietà e irragionevolezza sì da rendere impossibile al Consorzio ricorrente il calcolo di convenienza economica della commessa e la formulazione di un offerta seria ed attendibile: la disciplina dell’offerta e il prezzo a base d’asta sono chiari riguardo alla formazione della stessa e alla economicità e convenienza dell’appalto per le ragioni di seguito evidenziate.
Non è del resto dimostrata, neppure a livello indiziario, l’asserita antieconomicità delle condizioni di erogazione del servizio predisposte nei documenti di gara quanto al corrispettivo da riconoscere al gestore, che risultano peraltro migliorative rispetto a quelle praticate nei confronti del concessionario uscente (comunque remunerative per l’attuale appaltatore, come emerge dagli scritti difensivi di primo grado delle amministrazioni resistenti in merito ai contributi e ai corrispettivi attualmente riconosciuti dalla Regione e dal Comune per i servizi minimi e i servizi aggiuntivi). Attualmente la Regione Lazio, infatti, riconosce per i servizi minimi il costo unitario di € 1,8925/Km, costo che coincide con il prezzo a base d’asta per il TPL (servizi minimi e servizi aggiuntivi), ad eccezione di quelli integrativi a chiamata per i quali il costo unitario stimato è pari a 2,20/km.
Né vale a smentire tali argomentazioni il mero raffronto con i dati e le emergenze di altre e diverse gare, pur aventi analogo oggetto, bandite da differenti amministrazioni e in contesti territoriali connotati da altre peculiarità, trattandosi di un confronto tra situazioni non comparabili per le rispettive specificità.
REVOCA PROPOSTA DI AGGIUDICAZIONE – IMPEGNAZIONE NEL TERMINE 30 GIORNI
L’art. 120, comma 5, Cod. proc. amm. prevede che l’impugnazione degli “atti di cui al presente articolo”, ossia gli atti relativi ad una procedura di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture (così il primo comma) avviene nel termine di trenta giorni decorre “dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163…ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”; per “conoscenza dell’atto” si intende, secondo orientamento assolutamente costante della giurisprudenza amministrativa, l’acquisita cognizione dell’esistenza di un atto lesivo della propria sfera giuridica, pur in assenza di completa conoscenza del contenuto dello stesso, che potrà avvenire con i mezzi ordinari posti a disposizione del privato, e, dunque, in primo luogo, mediante istanza di accesso ai documenti (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. III, 25 giugno 2019, n. 4365; V, 12 dicembre 2018, n. 7026; VI, 12 luglio 2018, n. 4274; IV, 22 giugno 2018, n. 3843; IV, 23 maggio 2018, n. 3075).
Nel caso di specie pertanto, il ricorrente ha avuto conoscenza dell’atto di revoca dell’aggiudicazione provvisoria disposta in suo favore il 3 ottobre 2018, n. 348, che costituiva pertanto il dies a quo per la proposizione del ricorso giurisdizionale.
L’impugnazione immediata (nel termine di trenta giorni) della determinazione dirigenziale 3 ottobre 2018, n. 348, inoltre, era dovuta per essere tale atto immediatamente lesivo della sua sfera giuridica.
In assenza di tempestiva impugnazione il provvedimento espulsivo dalla procedura di gara è divenuto definitivo; va fatta, pertanto, applicazione dell’orientamento giurisprudenziale per il quale il concorrente che sia escluso dalla procedura di gara con provvedimento definitivo è privo di legittimazione a ricorrere avverso gli ulteriori atti della procedura, ivi compresa l’aggiudicazione definitiva ad altro concorrente (cfr. Corte di Giustizia dell’Unione europea, sentenza 21 dicembre 2016 C-355/15 Bietregemeinschaft Technische Gebaudedetreuung Gesmbh un Caverion Osterreich; Cons Stato, sez. V, 12 settembre 2019, n. 6159; V, 25 giugno 2018 n. 3923; V, 23 marzo 2018, n. 1849; V, 8 novembre 2017, n. 5161).
DITTA LEGITTIMAMENTE ESCLUSA – NESSUN INTERESSE AL RICORSO AVVERSO L’AGGIUDICAZIONE
La società ricorrente non ha alcun interesse giuridicamente tutelabile a censurare l’aggiudicazione a favore della controinteressata, neppure al limitato fine di ottenere la riedizione della gara, non potendo ritrarre alcuna utilità pratica dall’accoglimento dell’impugnativa, essendo la sua posizione già definitivamente compromessa dal giudicato formatosi sulla legittimità dell’esclusione che, per l’appunto, non consente di ravvisare l’interesse al ricorso (cfr. Cons. St., Sez. V, 23 luglio 2018, n. 1348). Deve, infatti, equipararsi la definitiva e inoppugnabile esclusione di un concorrente alla mancata partecipazione ai fini della valutazione in ordine alla (in)sussistenza della legittimazione ad agire (Corte di Giustizia, Sezione VIII, 21.12.2016 resa nella causa C-355/15; TAR Lazio, sez. II ter, 8 aprile 2019, n. 4517).
DECADENZA AGGIUDICAZIONE - COMPETENZA DEL GIUDICE ORDINARIO
In materia di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, nella vigenza del codice del processo amministrativo, ed in relazione a vicende riconducibili alla disciplina dell'art. 11 del d.lgs. n. 163 del 2006, il riparto di giurisdizione deve ritenersi articolato nel modo seguente:
a) sussiste la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, ai sensi dell'art. 133, comma 1, lett. e), n. 1 del cod. proc. amm., sulle controversie relative alla sola fase procedimentale, cioè dall'inizio della procedura sino all'aggiudicazione definitiva estendendosi detta giurisdizione a qualsiasi provvedimento, atto, accordo e comportamento tenuto entro quel lasso temporale, nonché in ogni caso ad eventuali provvedimenti dell'amministrazione di annullamento d'ufficio della stessa aggiudicazione definitiva ai sensi dell'art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 o comunque previsti da norme di legge, in quanto direttamente incidenti sulla stessa genesi dell'aggiudicazione all'atto della sua effettuazione e, dunque, riconducibili alla relativa procedura;
b) quanto, invece, alla situazione successiva all'efficacia dell'aggiudicazione definitiva, e prima del sopravvenire dell'efficacia della conclusione del contratto (ivi compresa la sua anticipata esecuzione), vige il normale criterio di riparto imperniato sulla distinzione fra interesse legittimo e diritto soggettivo, di modo che si configurava la giurisdizione del giudice amministrativo solo in presenza di una controversia inerente all'esercizio da parte dell'amministrazione di un potere astratto previsto dalla legge, mentre, al di fuori di tal caso (e, dunque, in assenza di riconducibilità dell'agire dell'Amministrazione ad un potere di quel genere), la situazione è di diritto comune e, dunque, si configura la giurisdizione del giudice ordinario;.
Nel caso di specie, il Collegio non ritiene in alcun modo di doversi discostare da tale nitida e lineare pronuncia della Sezione Unite, evidenziando in particolare come in forza della natura oggettivamente privatistica delle vicende negoziali fatte oggetto di contestazione nel presente giudizio, la giurisdizione sulle medesime debba essere riferita esclusivamente al Giudice Ordinario.
A tanto si giunge mettendo in particolare evidenza come il tema del contendere sia stato e sia tuttora del tutto inerente a situazioni di inadempimento negoziale tutti da accertare in punto di fatto e nella più evidente assenza dell’esercizio di un potere pubblicistico di stampo autoritativo.
Poiché, di conseguenza, l’accertamento di tali forme di inadempimento - anche sul piano più strettamente istruttorio - rientra pienamente nello spazio delle posizioni giuridiche di diritto soggettivo (piuttosto che di interesse legittimo), la conclusione per la sussistenza della giurisdizione dell’A.G.O. appare necessitata.
PROVVEDIMENTO DI AMMISSIONE - RITO “SUPERACCELERATO” – NON AMMESSO
La ricorrente sostiene che il cosiddetto rito “superaccelerato” sulle ammissioni ed esclusioni dalle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici, disciplinato dal citato comma 2-bis, è stato abrogato dall’art. 1, comma 22, del d.l. 18 aprile 2019, n. 32, convertito con modificazioni dalla legge 14 giugno 2019, n. 55.
Giusta il successivo comma 23, tale disposizione abrogativa si applica ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto (18 giugno 2019).
Ne deriverebbe, ad avviso della ricorrente, la sanatoria delle preclusioni verificatesi, a seguito della mancata impugnazione dei provvedimenti di ammissione, nel vigore della precedente disciplina.
Nonostante tali precisazioni, l’eccezione di irricevibilità deve ritenersi fondata in quanto, come correttamente osservato dalle eccepienti, la previsione di cui al citato comma 23 non ha efficacia retroattiva e, in conseguenza, non può comportare alcuna sanatoria delle decadenze già verificatesi.
La disposizione di cui al comma 22 dell’art. 1 del d.l. n. 32/2018, che ha abrogato l’art. 120, comma 2-bis, c.p.a., pertanto, trova applicazione nei processi avviati dopo il 18 giugno 2019, ma non fa venir meno le preclusioni medio tempore intervenute.
Ciò comporta la tardività della domanda di annullamento del provvedimento di ammissione della controinteressata, proposta ben oltre il termine decadenziale di trenta giorni decorrente dal 19 dicembre 2018, e la conseguente impossibilità di far valere l’illegittimità derivata dei successi atti della procedura di affidamento.
Obietta ulteriormente la ricorrente che i denunciati vizi di legittimità sarebbero estranei alla fase delle ammissioni, essendo emersi solo in un momento successivo, ossia nel corso delle verifiche relative al possesso dei requisiti di ordine generale e speciale sfociata nell’impugnato provvedimento di aggiudicazione.
Inoltre, non sarebbe stata dimostrata la data di effettiva pubblicazione del provvedimento di ammissione che, in ogni caso, non era idoneo a far decorrere il termine per l’impugnazione in quanto, non essendo corredato da motivazione, risultava privo dei requisiti previsti dall’art. 29 del d.lgs. n. 50 del 2016.
Infine, sarebbe stata proprio la stazione appaltante, attraverso il differimento dell’accesso documentale ad un momento successivo all’aggiudicazione, ad impedire il verificarsi di eventuali decadenze.
Nessuno di questi rilievi coglie nel segno.
Occorre premettere che, come precisato dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza 26 aprile 2018, n. 4, il cosiddetto rito “superaccelerato” era volto, nella sua ratio legis, a consentire la pronta definizione del giudizio prima che si giungesse al provvedimento di aggiudicazione e, quindi, a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente l’esame delle offerte.
Il legislatore aveva inteso impedire, cioè, che potessero essere fatti valere con l’impugnazione dell’aggiudicazione vizi inerenti alla fase della verifica dei requisiti di partecipazione alla gara, onde evitare gli inconvenienti connessi alla regressione del procedimento, nel caso di accoglimento del gravame, alla fase delle ammissioni.
Nel caso in esame, le illegittimità dedotte attenevano alla fase dell’ammissione del raggruppamento aggiudicatario ed erano rilevabili già alla data di pubblicazione dell’elenco delle imprese ammesse in gara, in particolare ove si consideri la risalente presenza nel casellario informatico dell’annotazione a carico della xxxx S.p.a.
Come comprova la documentazione versata in atti (….), il provvedimento di ammissione è stato regolarmente pubblicato sul sito del committente in data 19 dicembre 2018: esso non richiedeva alcuna motivazione in quanto la determinazione di ammissione rende conto di per sé della sussistenza dei requisiti di partecipazione.
Infine, l’istanza di accesso documentale è stata proposta allorché era già interamente decorso il termine per l’impugnazione e, comunque, non era di per sé idonea a incidere sulla decorrenza dello stesso.
IMMEDIATA IMPUGNAZIONE BANDO DI GARA – ECCEZIONE ALLA REGOLA
Costituisce ius receptum l’insegnamento secondo cui la possibilità di impugnare immediatamente un bando di gara, senza la preventiva presentazione della domanda di partecipazione alla procedura, va configurata quale eccezione alla regola, la cui validità va ribadita, in base alla quale i bandi di gara possono essere impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, in quanto solo in tale momento diventa attuale e concreta la lesione della situazione giuridica soggettiva dell'interessato (cfr. ex plurimis C.d.S., A.P., 26 aprile 2018, n. 4).
Infatti, «[l]a regola generale rimane quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnare l’esito della medesima (cfr. sent. A.P. n. 4/11), essendo soltanto a quest’ultimo riconoscibile una posizione differenziata rispetto alla moltitudine degli operatori economici potenzialmente interessati all’affidamento della commessa. Vero anche che i bandi di gara e di concorso, al pari delle lettere di invito, vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell’interessato. A tale regola generale può derogarsi, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi: a) quando si contesti in radice l'indizione della gara; b) qualora, all'inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l'amministrazione disposto l'affidamento in via diretta del contratto; c) quando si impugnino direttamente le clausole del bando, assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti. Nella categoria delle “clausole immediatamente escludenti” la giurisprudenza amministrativa (da ultimo consolidatasi con la sentenza dell’Adunanza Plenaria 26 aprile 2018 n. 4), ha annoverato: a) le ipotesi di regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (C.d.S., A.P., n. 3 del 2001); b) le disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero c) che prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (C.d.S., sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980); d) le condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (C.d.S., sez. V, 21 novembre 2011, n. 6135; Id., sez. III, 23 gennaio 2015, n. 293). Le rimanenti clausole, in quanto non immediatamente lesive, devono essere impugnate insieme con l’atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva e postulano la preventiva partecipazione alla gara (C.d.S, sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5282).
In merito alla immediata impugnabilità di clausole integranti “condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso ed obiettivamente non conveniente”, la successiva giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che «avendo la nozione in esame natura strettamente oggettiva, per potersi definire “immediatamente escludente”, la previsione della lex specialis deve porre con immediata ed oggettiva evidenza, nei confronti di tutti indistintamente gli operatorii economici, l’astratta impossibilità per un qualsiasi operatore medio di formulare un’offerta economicamente sostenibile(ossia astrattamente idonea a produrre – pur nella normale alea contrattuale - un utile derivante dall’esecuzione del contratto). Una tale eccezionale ipotesi non è ravvisabile laddove la doglianza dell’operatore economico si rifaccia una redditività minore rispetto alle condizioni d’appalto di altro precedente o diverso contratto; e soprattutto non è ravvisabile quando vi siano altre offerte, quand’anche in numero esiguo: l’ordinamento è orientato, con i contratti pubblici, non al supporto economico delle imprese in difficoltà economiche ma all’acquisizione, in regime di concorrenza, dell’offerta più conveniente per l’amministrazione. Nel che è insito, naturalmente, un calcolo dei costi e dei ricavi che tende a contenere il margine di utile in termini competitivi. Che da questo, per un’impresa, possa derivare una minor “appetibilità” economica dell’appalto, è nella normalità delle cose e non rappresenta una generalizzata e oggettiva “barriera all’ingresso” del micro-mercato costituito dalla singola gara. per il resto, si tratta di scelte amministrative che rientrano nella discrezionalità della amministrazione che con la lex specialis si autodetermina in relazione al proprio fabbisogno di approvvigionarsi, a un prezzo che stima ragionevole, di beni o servizi. Resta dunque estraneo alla fattispecie eccezionale di clausola immediatamente escludente il caso di questioni attinenti la soggettiva opportunità economica di presentare un’offerta, in ragione del calcolo individuale di convenienza del singolo operatore economico legate alle sue strategie di impresa» (C.d.S., sez. V, 18 marzo 2019, n. 1736).
Nel caso in esame, le prospettazioni di parte ricorrente, volgenti alla contestazione di aspetti connessi alla valutazione della convenienza economica dell’offerta da parte dell’appaltatore, non superano lo stretto vaglio sopra delineato. Milita in tal senso, da un lato, la considerazione che il prezzo posto a base d’asta dall’Amministrazione si allinea pacificamente al prezzo medio per quella tipologia di affidamento indicato dal DM 21 novembre 2018 che, anche ove volesse essere ritenuto non vincolante, non può essere ritenuto macroscopicamente incongruo e oggettivamente fuori mercato, tale da impedire la partecipazione della ricorrente (cfr. TAR Lazio, Roma, sez. I ter, 6 giugno 2019, n. 7321).
D’altro canto, la tesi di parte ricorrente circa l’insostenibilità economica dell’offerta per qualsiasi operatore economico è smentita, nei fatti, dalla circostanze che alla gara in oggetto hanno preso parte diversi operatori. Come chiarito dalla giurisprudenza, infatti, «le clausole immediatamente lesive sono quelle che certamente, senza alcun margine di opinabilità, conducono all’esclusione del concorrente che versi in una situazione incompatibile con quella prevista, a pena di esclusione, dalla lex specialis» - ipotesi che non ricorre nel caso in esame - ovvero quelle che «impediscano, indistintamente a tutti i concorrenti, una corretta e consapevole elaborazione dell’offerta» (Tar Calabria, Catanzaro, 21 febbraio 2017, n. 291).
SUDDIVISIONE IN LOTTI- UNITARIETÀ DELLA GARA - É DIMOSTRATA DALLA NOMINA DI UN’UNICA COMMISSIONE GIUDICATRICE E DI UN UNICO RESPONSABILE DEL PROCEDIMENTO - EFFETTI SULLA COMPETENZA
Si richiama l’orientamento della Sezione, espresso nell’ordinanza n. 83 dell’11 gennaio 2019 e fatto proprio dalla sentenza appellata, per il quale: “come si evince dal bando di gara, la stazione appaltante ha dato luogo ad un’unica procedura di gara, ancorché divisa in lotti diversi, e non, invece, a diverse procedure di gara per quanti sono i lotti indicati dal bando … l’unitarietà della gara è dimostrata tra l’altro dalla nomina di un’unica commissione giudicatrice e di un unico responsabile del procedimento, deputati ad adottare provvedimenti di gara riguardanti tutti i lotti, nonché dalla circostanza che non tutti i lotti coincidevano con un unico territorio regionale, comprendendo, in diversi casi, più regioni … in tali situazioni, tutti gli atti della procedura di gara, fino alla stipulazione del contratto, producono effetti non limitati ad un ambito territoriale circoscritto e coincidente con il territorio regionale come sostenuto dall’odierno appellante, ma riferibili all’intero territorio nel quale si esplica la competenza della stazione appaltante, ovvero, nel caso di specie, il territorio nazionale per essere stazione appaltante il Ministero della difesa; … pertanto, in questi casi deve trovare applicazione l’art. 13, comma 1, Cod. proc. amm., che pone, quale criterio ordinario di riparto della competenza, quello della sede dell’autorità amministrativa cui fa capo l’esercizio del potere, e non il diverso criterio degli effetti dell’atto, non potendosi individuare un ambito diverso da quello della sede della autorità amministrativa nel quale sono destinati ad operare gli effetti diretti del potere (sul punto cfr. Cons. Stato, ad. plen., 12 dicembre 2012, n. 38; ad. plen. 29 settembre 2012, n. 33)”.
A conferma del fatto che si trattasse di una procedura di gara unica, soggetta, quindi, ad un unico regime di impugnazione innanzi allo stesso Tribunale, rileva, dunque, che il bando era unico, anche se riguardante più lottì, e che vi era identità di prestazione del servizio in tutti i lotti posti in gara, oltre che identità di requisiti e condizioni, senza alcuna distinzione a seconda dei lotti e/o delle Regioni.
IMMEDIATA IMPUGNAZIONE DEL BANDO – IPOTESI SPECIFICHE- - PREVISIONE DI UN IMPORTO A BASE D’ASTA INSUFFICIENTE ALLA COPERTURA DEI COSTI
Secondo un ormai consolidato indirizzo giurisprudenziale (Cons. Stato, Ad.Plen. 26 aprile 2018, n. 4; sez. V, 23 agosto 2019, n. 5789; 18 luglio 2019, n. 5057; 8 marzo 2019, n. 1736), se è vero che l'esito di una procedura di gara è impugnabile solamente da colui che vi ha partecipato (la domanda di partecipazione atteggiandosi a strumento per la sussistenza della posizione qualificata e differenziata che legittima l’impugnazione, laddove altrimenti l'operatore del settore sarebbe portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione dell'intera selezione per partecipare ad una riedizione di questa), è pur vero che a tale regola generale si deroga allorché l’operatore contesti in radice l'indizione della gara ovvero all'inverso contesti che una gara sia mancata, avendo l'amministrazione disposto l'affidamento in via diretta del contratto, ovvero ancora impugni direttamente le clausole del bando assumendone l’immediato carattere escludente: in tali ipotesi infatti la presentazione della domanda di partecipazione costituirebbe un inutile adempimento formale, privo della benché minima utilità in funzione giustiziale.
Il carattere immediatamente escludente ai fini della immediata impugnazione è stato ragionevolmente individuato: a) nelle clausole impositive di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati ai fini della partecipazione; b) nelle regole procedurali che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Cons. Stato, Ad. plen. 7 aprile 2011, n. 3); c) nelle disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara oppure prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980); d) nelle condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e non conveniente (Cons. Stato, sez. III, 23 gennaio 2015, n. 293); e) nelle clausole impositive di obblighi contra ius; f) nei bandi contenenti gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta oppure che presentino formule matematiche del tutto errate; g) negli atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421); ipotesi tutte accomunate dal fatto di impedire in modo macroscopico ovvero di rendere estremamente ed inutilmente difficoltoso ad un operatore economico di formulare un'offerta corretta, adeguata e consapevole, configurandosi pertanto come una concreta ed effettiva lesione dell'interesse legittimo dell'impresa a concorrere con gli altri operatori per l’aggiudicazione di una commessa pubblica.
É stato precisato (Cons. Stato, sez. III, 26 febbraio 2019, n. 1331; C.G.A.R.S. 20 dicembre 2016, n. 474) che tra le clausole da considerare immediatamente escludenti rientrano anche quelle che prevedono un importo a base d’asta insufficiente alla copertura dei costi, inidoneo cioè ad assicurare ad un’impresa un sia pur minimo margine di utilità o addirittura tale da imporre l'esecuzione della stessa in perdita (ciò in quanto l'amministrazione, nel perseguimento del suo interesse all'ottenimento della prestazione alle condizioni più favorevoli, deve contemperare tale interesse con l'esigenza di garantire l'utilità effettiva del confronto concorrenziale (Cons. Stato, sez. III, 21 febbraio 2019, n. 513), aggiungendosi al riguardo che il carattere escludente di una siffatta clausola deve essere verificato e apprezzato in concreto, cioè anche in relazione allo specifico punto di vista dell'impresa e della sua specifica organizzazione imprenditoriale (ancora Cons. Stato, sez. III, 21 febbraio 2019, n. 513).
IMMEDIATA IMPUGNABILITÀ DI UN BANDO DI GARA –CLAUSOLE CHE NON CONSENTONO LA FORMULAZIONE DI UNA SERIA E PONDERATA OFFERTA
Come noto, il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana (cfr. C.G.A., 20.12.2016 n. 474, che richiama anche Id., 08.08.2016 n. 258, e 23.08.2016 n. 275) ha affermato che «l'ambito d'immediata impugnabilità di un bando di gara non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti, ma ricomprende anche altre evenienze particolari, tra le quali quella che la lex specialis del caso concreto non sia tale da consentire la formulazione di una seria e ponderata offerta. Secondo l'impostazione corrente in giurisprudenza, infatti, nelle gare pubbliche è necessario procedere alla pronta impugnazione dei relativi atti d'indizione quando si lamenti che le loro clausole impediscano, indistintamente per tutti i concorrenti, una corretta e consapevole elaborazione delle proposte individuali, pregiudicando così il corretto esplicarsi della gara. Più in dettaglio, una situazione siffatta...è ammessa altresì in presenza di disposizioni abnormi o illogiche che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, o davanti a condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente, o infine al cospetto di gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta (C.d.S., III, 23 gennaio 2015, n. 293; in termini, V, 18 giugno 2015, n. 3104; analogamente, nel senso dell'immediata impugnabilità dell'atto indittivo la cui genericità impedisca la formulazione delle offerte e l'individuazione dei parametri del giudizio della Commissione, v. sez. III, 19 febbraio 2016, n. 697...)».
LEGITTIMAZIONE AL RICORSO - NON PRESUPPONE IN OGNI CASO LA PRESENTAZIONE DELLA DOMANDA DI PARTECIPAZIONE
Non può logicamente ammettersi che il concorrente sia tenuto a presentare in ogni caso la domanda di partecipazione ad una procedura di gara, pur in presenza di una clausola che non gli consente di presentare un’offerta congrua, idonea e competitiva al solo fine di precostituire in modo sterile e puramente formale la propria situazione di legittimazione e di interesse ad agire, pur essendo ragionevolmente certo e del tutto consapevole che la sua domanda non potrà essere favorevolmente apprezzata ai fini dell’aggiudicazione della commessa (che è l’unico bene cui aspira); tanto meno può ammettersi che il concorrente, in difformità dalle previsioni della lex specialis, proprio ed esclusivamente al fine di creare artificiosamente la propria legittimazione ad agire debba formulare un’offerta in rialzo o un’offerta in perdita (essendo ugualmente consolidato indirizzo giurisprudenziale quello che esclude l’ammissibilità e la congruità di un’offerta che non presenti alcun margine di utilità, c.d. utile zero, tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 29 aprile 2016, n. 1652).
PROCESSO AMMINISTRATIVO – GIURISDIZIONE
Principio fondamentale dell’istituto è l’alternatività, in ossequio al quale il ricorso straordinario e il ricorso al giudice amministrativo non possono essere proposti contro il medesimo atto. L’art. 8, secondo comma, del D.P.R. n. 1199 del 1971 dispone infatti che non è ammesso il ricorso straordinario “da parte dello stesso interessato” se “l’atto sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale”. Ciò significa che non può essere proposta impugnazione nelle diverse sedi, straordinaria e giurisdizionale, avverso lo stesso provvedimento e, una volta esperito il primo rimedio, non è più consentito accedere al secondo (electa una via non datur recursus ad alteram). La ratio di questo principio va ravvisata nell’esigenza di evitare l’insorgere di contrasti tra le decisioni del Consiglio di Stato in sede consultiva e le sentenze del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, con conseguente sovrapposizione della decisione giurisdizionale alla decisione del ricorso straordinario.
Il principio di alternatività, operando rispetto ad un medesimo atto, in teoria andrebbe escluso nel caso in cui due atti, uno presupposto e uno ad esso connesso, siano l’uno impugnato in sede giurisdizionale e l’altro con ricorso straordinario, o viceversa.
Tuttavia – superata la tradizionale lettura restrittiva (sin dall’Adunanza Plenaria, 18 aprile 1969, n. 15) che lo concepiva in senso formale, come operante esclusivamente rispetto ad un medesimo atto impugnabile – la giurisprudenza ha aderito ad una interpretazione in chiave sostanziale che, pur disconoscendo l’applicazione analogica, ha esteso l’operatività dello stesso anche ai casi in cui, pur essendovi atti formalmente distinti, sussiste una connessione sostanziale in termini di pregiudizialità/dipendenza. La regola dell’alternatività è dunque applicabile “non solo nel caso in cui vi sia identità formale di provvedimenti impugnati, ma anche in presenza di atti formalmente distinti, quando sussista un’obiettiva identità dell’oggetto del contendere”(…)“seppure tradizionalmente interpretata non suscettibile di applicazione analogica ma operante nel solo caso di impugnazioni aventi ad oggetto il medesimo atto” (così Cons. stato, sez. III, 8 gennaio 2010, n. 3719). Pertanto, secondo la giurisprudenza amministrativa, in base al principio di alternatività così inteso, non è consentita la pendenza di un ricorso straordinario e di un ricorso al giudice amministrativo quando, pur essendo diversi gli atti impugnati, la questione è la stessa (in termini analoghi, Cons. Stato, sez. IV, 16 aprile 2012, n. 2185; Cons. St., sez. II, 1 ottobre 2013, n. 4489; Cons. Stato, sez. I, 16 dicembre 2015, n. 211; Cons. Stato, sez. I, 6 marzo 2019, n. 866).
Per meglio sviluppare la nozione appena esposta, risulta necessario interrogarsi sulla relazione esistente tra il concetto di “identità della questione” e quello di “rapporto giuridico tra amministrazione e privato”.
Come è noto, il processo amministrativo, soprattutto con il c.p.a., si è evoluto trasformandosi da giudizio sugli atti a vero e proprio giudizio sul rapporto amministrativo intercorrente tra il privato e la pubblica amministrazione. A giudizio della dottrina, la possibilità per il giudice amministrativo di risarcire il danno, previa valutazione della fondatezza della pretesa azionata, l’istituto processuale dei motivi aggiunti introdotto dalla legge 205/2000, l’articolo 21 octies, comma 2 (che vieta di annullare, a determinate condizioni, un provvedimento che, seppur illegittimo, non poteva avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato) nonché da ultimo l’ampio ventaglio di azioni introdotte dal codice del processo amministrativo, sono tutti elementi sintomatici della trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto. Per autorevole dottrina, “in una concezione più moderna, più conforme all’ideale dello Stato di diritto e che tiene conto dell’evoluzione subita dall’interesse legittimo…potere amministrativo e interesse legittimo possono essere ricostruiti come i termini dialettici … di una relazione giuridica bilaterale” relazione questa che supera la visione tradizionale in cui lo Stato era visto esclusivamente in una posizione di sovraordinazione istituzionale rispetto ai privati. È chiaro che questa relazione – seguendo lo schema norma-fatto-potere-effetto – si atteggia in modo diverso rispetto a quanto avviene nel diritto privato ma è pur sempre una relazione giuridicamente rilevante. Anche per la giurisprudenza amministrativa il giudizio amministrativo deve essere “volto a scrutinare la fondatezza della pretesa sostanziale azionata” (Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3) poiché “la verifica di legittimità dei provvedimenti amministrativi impugnati non va compiuta nell’astratto interesse generale, ma è finalizzata all’accertamento della fondatezza della pretesa sostanziale fatta valere, ritualmente, dalla parte attrice” (Cons. Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4). Ciò, oltre che per esigenze di economia processuale, anche in considerazione, come detto, di una lenta trasformazione del processo amministrativo da giudizio sull’atto a giudizio sul rapporto.
Riportando le considerazioni sino a qui espresse al rapporto tra processo amministrativo e ricorso straordinario, va escluso che del medesimo rapporto possano occuparsi contemporaneamente il giudice amministrativo e il Consiglio di Stato in sede di ricorso straordinario. Da tanto consegue che nell’ipotesi in cui l’atto presupposto (a monte) venga impugnato con ricorso straordinario e il successivo atto presupponente (a valle) con ricorso giurisdizionale dinnanzi al giudice amministrativo o viceversa, occorrerà – in applicazione del principio di alternatività – dichiarare inammissibile il giudizio introdotto per ultimo.
ABROGAZIONE RITO SUPER-ACCELERATO – REGIME TRANSITORIO
La ricorrente non ha contestato tempestivamente il provvedimento di ammissione dell’aggiudicataria, adottato da Consip in data 12 febbraio 2018 e conosciuto dall’esponente in pari data, stante la vigenza del comma 2 bis dell’art. 120 c.p.a., che ne imponeva l’immediata impugnazione; conseguentemente che detto provvedimento, una volta scaduto il termine decadenziale ex lege per la proposizione della sua impugnativa, è divenuto inoppugnabile, sicchè una normativa processuale sopravvenuta non può modificare un dato sostanziale consolidato; quindi che non può accedersi alla tesi prospettata dalla ricorrente, siccome fondata sulla norma transitoria del decreto cd. “Sblocca cantieri” (art. 1 comma 23 DL 32/2019), la quale, nell’abrogare il rito cd. “superaccelerato”, ha stabilito che “Le disposizioni di cui all’art. 22 si applicano ai processi iniziati dopo la data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”; dunque che l’odierna impugnazione proposta avverso l’aggiudicazione deve essere considerata inammissibile, posta la mancata contestazione tempestiva dell’atto presupposto; pertanto di rigettare la domanda cautelare e di compensare le spese della fase, in presenza dei presupposti di legge, in considerazione della novità e particolarità della questione.
CLAUSOLE CON CARATTERE IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTE – OBBLIGO IMMEDIATA IMPUGNAZIONE
In virtù di un orientamento giurisprudenziale stabilmente affermatosi, in consonanza con le indicazioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (a partire dalla sentenza 29 gennaio 2003, n. 1, cui hanno dato seguito, nel tempo, le sentenze 7 aprile 2011, n. 4, 25 febbraio 2014, n. 9, e da ultimo 26 aprile 2018, n. 4), le clausole di un bando di gara aventi carattere “immediatamente escludente” vanno impugnate nel termine decadenziale decorrente dalla pubblicazione del bando stesso, senza attendere gli atti mediante i quali la stazione appaltante ne abbia fatto applicazione nell’ambito della procedura di affidamento. La legittimazione a impugnare è riconosciuta, eccezionalmente, anche agli operatori economici che non abbiano partecipato alla gara, come del resto l’impugnazione immediata del bando fa eccezione alla regola generale secondo cui i bandi vanno impugnati unitamente agli atti applicativi, in quanto è solo con l’adozione di questi ultimi che la lesione della situazione soggettiva dell’interessato si attualizza. Nel novero delle clausole “immediatamente escludenti” vengono fatte rientrare, com’è noto, quelle impositive di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, o che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile e, ancora, le clausole recanti disposizioni abnormi o irragionevoli che non consentano agli operatori interessati di valutare la convenienza tecnica ed economica della partecipazione alla gara, o contengano gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta o altre condizioni contra jus, condizioni negoziali eccessivamente onerose e obiettivamente non convenienti (per una compiuta rassegna delle ipotesi individuate dalla giurisprudenza, cfr. A.P. n. 4/2018, cit.).
PROCESSO AMMINISTRATIVO - INTERESSE AD AGIRE DA PARTE DEL TERZO CLASSIFICATO – DIMOSTRAZIONE – NECESSITÀ
In base ai principi consolidati le condizioni dell'azione sono tre:
a) la legittimazione a ricorrere, discendente dalla speciale posizione qualificata del soggetto che lo distingue dal quisque de populo rispetto all'esercizio del potere amministrativo;
b) la legitimatio ad causam o legittimazione attiva/passiva, discendente dall'affermazione di colui che agisce o resiste in giudizio di essere titolare del rapporto controverso dal lato attivo o passivo;
c) l'interesse ad agire o interesse al ricorso, nel linguaggio del processo amministrativo: in particolare, in base ad un principio generale in materia di condizioni dell'azione, desumibile dall'art. 24 Cost. e dal principio codificato nell'art. 100 cod. proc. civ. (richiamato nel processo amministrativo dall'art. 39, comma 1, cod. proc. amm.), l'interesse ad agire è dato dal rapporto tra la situazione antigiuridica che viene denunciata e il provvedimento che si domanda per porvi rimedio mediante l'applicazione del diritto, e questo rapporto deve consistere nella utilità del provvedimento, come mezzo per acquisire all'interesse leso la protezione accordata dal diritto; inoltre nel processo amministrativo l'interesse a ricorrere è caratterizzato dalla presenza degli stessi requisiti che qualificano l'interesse ad agire di cui all'art. 100 cod. proc. civ., vale a dire dalla prospettazione di una lesione concreta ed attuale della sfera giuridica del ricorrente e dall'effettiva utilità che potrebbe derivare a quest'ultimo dall'eventuale annullamento dell'atto impugnato.
Pertanto, un ricorso caratterizzato dalla mancata prospettazione dell'effettiva utilità che dall'annullamento di un'aggiudicazione possa derivare al terzo classificato in graduatoria è inammissibile in quanto una cosa è censurare una valutazione dell'amministrazione (nella fattispecie la mancata esclusione della seconda classificata), il che postula senz'altro che il potere amministrativo sia stato concretamente esercitato; altra cosa è provare l'interesse al ricorso, il che postula che la ricorrente avrebbe comunque dovuto dimostrare la non conformità del prodotto offerto dalla seconda classificata alle caratteristiche tecniche del prodotto richiesto.
Le stazioni appaltanti sono chiamate a scegliere, tra il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa e quello del minor prezzo, quello più adeguato in relazione alle caratteristiche dell'oggetto del contratto, in quanto la specificazione del tipo di prestazione richiesta e delle sue caratteristiche consente di determinare correttamente ed efficacemente il criterio più idoneo all'individuazione della migliore offerta. In particolare, il criterio del prezzo più basso è adeguato quando l'oggetto del contratto abbia connotati di ordinarietà e sia caratterizzato da elevata standardizzazione in relazione alla diffusa presenza sul mercato di operatori in grado di offrire in condizioni analoghe il prodotto richiesto. In questo caso, la stazione appaltante, qualora sia in grado di predeterminare in modo sufficientemente preciso l'oggetto del contratto, può non avere interesse a valorizzare gli aspetti qualitativi dell'offerta, in quanto l'esecuzione del contratto secondo i mezzi, le modalità ed i tempi previsti nella documentazione di gara è già di per sé in grado di soddisfare nel modo migliore possibile l'esigenza dell'amministrazione. Al contrario, la scelta del criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa viene in considerazione quando le caratteristiche oggettive dell'appalto inducano a ritenere rilevanti, ai fini dell'aggiudicazione, uno o più aspetti qualitativi. In questo caso la stazione appaltante può ritenere che l'offerta più vantaggiosa per la specifica esigenza sia quella che presenta il miglior rapporto qualità/prezzo e deve, quindi, valutare se uno o più degli aspetti qualitativi dell'offerta concorrano, insieme al prezzo, all'individuazione della soluzione più idonea a soddisfare l'interesse sotteso all'indizione della gara.
ILLEGITTIMITÀ ESTENSIONE CONTRATTO STIPULATO A SEGUITO DI PROCEDURA DI EVIDENZA PUBBLICA - GIURISDIZIONE GIUDICE AMMINISTRATIVO
Rientra nella giurisdizione del giudice amministrativo la controversia avente ad oggetto la presunta illegittimità dell’estensione contrattuale nei confronti di soggetti non previsti, disposta dalla stazione appaltante nell’ambito di un contratto stipulato a seguito dello svolgimento di una procedura ad evidenza pubblica, in quanto riguardante l'adottato metodo di scelta del contraente e il mancato utilizzo dei procedimenti di evidenza pubblica.
LEGITTIMAZIONE ATTIVA RICORSO – ASSOCIAZIONI DI CATREGORIA – INTERESSE DEVE RIGUARDARE TUTTI I MEMBRI
Il ricorso è inammissibile per difetto di legittimazione ad agire della parte ricorrente.
Giova premettere, in termini generali, che secondo consolidato orientamento giurisprudenziale la legittimazione attiva delle associazioni rappresentative di interessi collettivi obbedisce alle stringenti regole di seguito precisate: <<É necessario, innanzitutto, che la questione dibattuta attenga in via immediata al perimetro delle finalità statutarie dell’associazione e, cioè, che la produzione degli effetti del provvedimento controverso si risolva in una lesione diretta del suo scopo istituzionale, e non della mera sommatoria degli interessi imputabili ai singoli associati […] É, inoltre, indispensabile che l’interesse tutelato con l’intervento sia comune a tutti gli associati, che non vengano tutelate le posizioni soggettive solo di una parte degli stessi e che non siano, in definitiva, configurabili conflitti interni all’associazione (anche con gli interessi di uno solo dei consociati), che implicherebbero automaticamente il difetto del carattere generale e rappresentativo della posizione azionata in giudizio […]>> (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 2 novembre 2015, n. 9, di recente richiamata da Cons. Stato, Ad. Plen., 21 maggio 2019, n. 8 che ha ribadito come il conflitto di interessi privi di legittimazione ad intervenire gli enti collettivi).
É stato chiarito, altresì, che la legittimazione delle associazioni di categoria è collegata alla <<tutela degli interessi collettivi costituiti dalla sintesi unitaria delle posizioni individuali in una posizione autonoma e differenziata unitariamente imputabile all’ente esponenziale>> (cfr. Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., Ad. Sez. riun. del 13 marzo 2018, n. 167).
É stato inoltre evidenziato che <<[…] la legittimazione ad agire per la tutela di interessi collettivi o di categoria può rinvenirsi in capo ad un’associazione quando si deduce la violazione di norme poste a tutela della categoria stessa per la cui difesa l’associazione è stata costituita, oppure si tratti di perseguire comunque vantaggi giuridicamente riferibili alla sfera della categoria di cui l’associazione si fa espressamente portatrice […]>> (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27 giugno 2018, n. 3948).
Più di recente, poi, è stato ribadito l’orientamento consolidato <<[…] secondo cui le associazioni sindacali (e, più in generale, le associazioni di categoria) sono legittimate a stare (locus standi) in sede giurisdizionale (mediante la proposizione del ricorso o l’intervento in giudizio) solo quando venga invocata la lesione di un interesse omogeno comune all’intera categoria, e non anche quando si verta su questioni concernenti singoli iscritti ovvero su questioni capaci di dividere la categoria in posizioni contrastanti, atteso che l’interesse collettivo dell’associazione sindacale deve identificarsi con l’interesse di tutti gli appartenenti alla categoria unitariamente considerata e non con interessi di singoli associati o di gruppi di associati. Se, infatti, si riconoscesse all’associazione di categoria la legittimazione ad agire anche in questi ultimi casi, si avrebbe una vera e propria sostituzione processuale in violazione dell’art. 81 cod. proc. civ., secondo cui nessuno può far valere in giudizio in nome proprio un diritto altrui, fuori dei casi espressamente previsti dalla legge […]>> (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen., 27 febbraio 2019, n. 4, punto 16; cfr. anche Cons. Stato, sez. I, 8 gennaio 2019, n. 108).
Ne consegue l’inammissibilità del ricorso posto che la posizione fatta valere dalla parte ricorrente è in contrasto con quella di uno dei suoi associati, non potendosi condividere le argomentazioni con le quali la parte ricorrente ha sostenuto l’infondatezza dell’eccezione de qua.
IMPUGNAZIONE DELL'AGGIUDICAZIONE – PERDITA LEGITTIMAZIONE AD AGIRE
Una società che abbia impugnato l'aggiudicazione disposta a favore del concorrente e che sia stata esclusa dalla procedura con provvedimento perde la legittimazione e l'interesse ad agire; tuttavia, non può essere pronunciata la cessazione della materia del contendere allorché l'annullamento dell'aggiudicazione sia ancora sub iudice; costituisce, infatti, principio consolidato che in capo alla ricorrente legittimamente esclusa non può essere riconosciuta una posizione differenziata e qualificata a contestare gli esiti e la legittimità delle scansioni procedimentali della gara dalla quale è stata estromessa.
PROVVEDIMENTO DEGLI AMMESSI E DEGLI ESCLUSI – TERMINE IMPUGNAZIONE (29.1)
Il nuovo testo dell’art. 29 del codice di appalti prevede espressamente non soltanto l’obbligo di pubblicazione sul profilo del committente del provvedimento di ammissione/esclusione delle concorrenti, ma anche quello di comunicazione di tale provvedimento ai concorrenti (secondo le modalità indicate dalla stessa norma) con la precisazione che “Il termine per l'impugnativa di cui al citato articolo 120, comma 2-bis, decorre dal momento in cui gli atti di cui al secondo periodo sono resi in concreto disponibili, corredati di motivazione”.
Ne consegue che il principio della piena conoscenza deve essere particolarmente rigoroso, non potendosi intendere per piena conoscenza la mera consapevolezza dell’avvenuta ammissione alla gara, essendo necessario che ricorra una situazione “equivalente” a quella derivante dal rispetto degli oneri previsti dall’art. 29 cit. che assicurano al concorrente la possibilità di conoscere gli atti di gara, e dunque le ragioni dell’ammissione (sul concetto di piena conoscenza, cfr. Cons. St., Sez. V, 21 giugno 2017, n. 3040; Cons. St., Sez. III, 7 gennaio 2015, n. 25; Cons. St., Sez. V, 31 gennaio 2012, n. 467; Cons. St., Sez. V, 16 settembre 2011, n. 5191; Corte giust. UE, Sez. V, 8 maggio 2014, C-161/13).
Ne consegue che non può ritenersi sufficiente la mera presenza di un rappresentante del concorrente alla seduta in cui viene decretata l’ammissione di un altro concorrente, per far decorrere il termine per l’impugnazione del provvedimento di ammissione alla gara di quest’ultimo, in mancanza della specifica prova sulla percezione immediata ed effettiva del contenuto della documentazione prodotta (cfr. anche Cons. Stato, Sez. III, 20/8/2018 n. 4983; id. 27/3/2018 n. 1902).
IMPUGNAZIONE PROVVEDIMENTO DI AMMISSIONE – DECORSO TERMINI (29.1)
Il termine di trenta giorni per impugnare il provvedimento che determina le ammissioni alla procedura di affidamento all’esito della valutazione dei requisiti soggettivi, economico-finanziari e tecnico-professionali decorre dalla data della pubblicazione del provvedimento stesso nell’apposita sezione "Amministrazione trasparente" del profilo internet del committente, la quale deve essere collocata nella home page del relativo sito istituzionale e deve contenere i dati, le informazioni e i documenti pubblicati ai sensi della normativa vigente o, in alternativa, un collegamento ipertestuale alla sezione che effettivamente li contiene. Pertanto, l’osservanza di questa peculiare forma di pubblicità legale è presupposto necessario e sufficiente per determinare una presunzione iuris et de iure di conoscenza del provvedimento e giustificare il decorso del termine di decadenza per la sua contestazione in giudizio.
Siffatta conclusione è conforme alla giurisprudenza che, per un verso, ha escluso che la sola presenza di un delegato di un concorrente alla seduta di gara in cui si sono deliberate le ammissioni possa fare decorrere il termine decadenziale per proporre il ricorso ex art. 120, comma 2 bis, Cod. proc. amm., poiché a questo fine deve farsi riferimento esclusivo alla data di pubblicazione sul profilo del committente dei provvedimenti relativi a questa fase ai sensi dell’art. 29 del codice dei contratti pubblici (cfr. Cons. Stato, III, 8 febbraio 2018, n. 1765 e 27 marzo 2018, n. 1902; id., V, 29 ottobre 2018, n. 6139 e 8 giugno 2018, n. 3483); per altro verso, ha riconosciuto che le ragioni di tale orientamento restrittivo vanno ricercate nel carattere speciale, derogatorio, e pertanto di stretta interpretazione del “rito superspeciale” sulle ammissioni ed esclusioni, in relazione al quale sono tassativamente richieste le formalità pubblicitarie delle quali si è detto sopra (così, tra le altre, Cons. Stato, III, 26 gennaio 2018, n. 565 e id., V, 22 ottobre 2018, n. 6005 e 7 novembre 2018, n. 6292).
RICORSO PRINCIPALE E RICORSO INCIDENTALE – PREVALENZA
L’articolo 1, paragrafo 1, terzo comma, e paragrafo 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 dicembre 2007, deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un ricorso principale, proposto da un offerente che abbia interesse ad ottenere l’aggiudicazione di un determinato appalto e che sia stato o rischi di essere leso a causa di una presunta violazione del diritto dell’Unione in materia di appalti pubblici o delle norme che traspongono quest’ultimo, ed inteso ad ottenere l’esclusione di un altro offerente, venga dichiarato irricevibile in applicazione delle norme o delle prassi giurisprudenziali procedurali nazionali disciplinanti il trattamento dei ricorsi intesi alla reciproca esclusione, quali che siano il numero di partecipanti alla procedura di aggiudicazione dell’appalto e il numero di quelli che hanno presentato ricorsi.
IMPUGNAZIONE – DECORRENZA TERMINI (76.5)
Giova, in linea generale, ricordare che, “come è noto, sulla concorde spinta delle stazioni appaltanti e delle associazioni delle imprese e delle maestranze, la necessità di accelerare al massimo la definizione dei contenziosi in materia di appalti e di certezza, ha comportato che l’art. 32 del d.lgs. n. 50 del 2016 - al fine di assicurare con la massima celerità la certezza delle situazioni giuridiche ed imprenditoriali - ha del tutto eliminato la tradizionale categoria della “aggiudicazione provvisoria”, ma distingue solo tra:
-- la “proposta di aggiudicazione”, che è quella adottata dal seggio di gara, ai sensi dell’art. 32, co.5, e che ai sensi dell’art. 120, co. 2-bis ultimo periodo del codice del processo amministrativo non costituisce provvedimento impugnabile;
-- la “aggiudicazione” tout court che è il provvedimento conclusivo di aggiudicazione e che diventa efficace dopo la verifica del possesso dei requisiti di cui all’art. 33, co. 1 del cit. d.lgs. n. 50 della predetta proposta da parte della Stazione Appaltante” (Consiglio di Stato, Sezione Quinta, 15 marzo 2019, n. 1710).
- Ciò “in limine” premesso, il Collegio, riguardo al termine per impugnare gli atti di gara, osserva che, “secondo un consolidato orientamento, “ai sensi dell’art. 120, comma 5, c.p.a., il ricorso avverso il provvedimento di aggiudicazione definitiva di appalto pubblico deve essere proposto nel termine di 30 giorni, decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui all’art. 79 D.lgs. n. 163/2006 (oggi disciplinata dall’art. 76, d.lgs. 50/2016).
Secondo un consolidato orientamento, del resto, la piena conoscenza del provvedimento, da cui decorrono i termini per impugnare, è integrata dalla cognizione dei suoi elementi essenziali, del suo contenuto dispositivo e della sua lesività rispetto agli interessi del ricorrente, senza che sia necessaria la completa acquisizione di tutti gli atti del procedimento e del contenuto integrale della determinazione conclusiva, salva la facoltà di proporre motivi aggiunti ove l’accesso agli atti abbia consentito di acquisire conoscenza di ulteriori profili d’illegittimità dell’atto impugnato.
Sulla base di tali considerazioni, se ne deve trarre che …. non possa assumere rilevanza il momento in cui la parte ricorrente ha avuto accesso agli atti di gara, al fine di stabilire la decorrenza del termine per impugnare, tanto più che l’art. 76 del d.lgs. 50/2016, a differenza del precedente art. 79 del d.lgs n. 163/2006, non prevede una procedimentalizzazione dell’accesso agli atti di gara e dei tempi entro cui tale accesso è consentito, anzi le relative disposizioni sono state consapevolmente eliminate, per cui il termine di 30 giorni previsto dall’art. 120, comma 5, c.p.a. deve decorrere dal momento della comunicazione prevista dall’art. 76, senza necessità della indicazione delle caratteristiche e dei vantaggi dell’offerta selezionata, o della trasmissione dei verbali di gara o di altre informazioni, le quali sono effettuate solo su richiesta dell’offerente interessato.
Il termine di impugnazione di cui all’art. 120, comma 5, c.p.a. decorre dalla data di conoscenza dell’aggiudicazione e non dalla data di effettiva conoscenza dei vizi, con conseguente irricevibilità del gravame.” (Tar Venezia, sez. I, 23 agosto 2017, n. 802)”(T.A.R. Puglia, Lecce, Sezione Seconda, 18 settembre 2017, n. 1463; in termini, T.A.R. Toscana, Firenze, Sezione Prima, 17 ottobre 2018, n. 1348).
COSTO DEL PERSONALE - VERIFICA EX ART. 95, C.10 CODICE - TROVA APPLICAZIONE IN QUALSIASI PROCEDURA INDIPENDENTEMENTE DAL CRITERIO DI AGGIUDICAZIONE E DALLE MODALITÀ DI VERIFICA DELL'ANOMALIA DELLE OFFERTE INDIVIDUATI DALLA STAZIONE APPALTANTE – RAGIONI
Secondo i principi desumibili dalla giurisprudenza nazionale e da quella della Corte di giustizia (vedasi ordinanza resa il 14 febbraio 2019 nella Causa C-54/18), nella vigenza dell’articolo 120, comma 2-bis, cod. proc. amm., le ammissioni alla gara dovevano essere impugnate entro trenta giorni dalla relativa pubblicazione nei modi di legge, ove fossero noti o conoscibili a quel momento gli eventuali profili di illegittimità inerenti alla determinazione dell’Amministrazione, o comunque dalla data di piena conoscenza di tali profili di illegittimità.
Attesa la particolare valenza pubblicistica dell’attività demandata alle SOA, va affermato che la certificazione rilasciata costituisce condizione necessaria e sufficiente per la dimostrazione dell’esistenza dei requisiti di capacità tecnica e finanziaria ai fini dell’affidamento di lavori pubblici” (articolo 60, comma 3, del d.P.R. n. 207 del 2010), e, pertanto, non è consentita alla stazione appaltante alcuna valutazione di merito in ordine alla sussistenza o al permanere dei presupposti per il rilascio dell’attestazione stessa.
La verifica del costo del personale di cui all’art.95 co.10 (secondo periodo) del Codice trova applicazione in qualsiasi procedura indipendentemente dal criterio di aggiudicazione e dalle modalità di verifica dell’anomalia delle offerte individuati dalla stazione appaltante. La previsione dell’esclusione automatica contenuta negli atti di gara non esonera la stazione appaltante dalla verifica del costo del personale; il comma 8 dell’articolo 97 esclude, infatti, l’applicazione – tra l’altro – del comma 5 dello stesso articolo (riferito alla verifica dell’anomalia), ma nulla dice in ordine all’applicazione della previsione contenuta all’articolo 95, comma 10. La ratio della previsione normativa di cui al suddetto art.95 va ricercata nel voler il legislatore assicurare una tutela rafforzata nei confronti dei lavoratori, proprio nell’ambito delle procedure aggiudicate al prezzo più basso e nelle quali si applicano criteri automatici di esclusione delle offerte anomale.
IMPUGNAZIONE AGGIUDICAZIONE - INCREMENTO TERMINI RICORSO - LIMITI
Secondo i principi di effettività della tutela giurisdizionale, così come enucleati anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (cfr. sentenza 8 maggio 2014, in C-161/13 Idrodinamica Spurgo), qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente di consentire l’accesso (ovvero, in qualunque modo tenga una condotta di carattere dilatorio), il potere d’impugnare non si consuma con il decorso del termine di legge, ma è incrementato del numero di giorni necessari per poter acquisire i documenti stessi (cfr. Cons. Stato, V, 15 maggio 2019, n. 3153; 3 aprile 2019, n. 2120; III, 14 gennaio 2019, n. 349; V, 5 febbraio 2018, n. 718; III, 22 luglio 2016, n. 3308; III, 28 agosto 2014, n. 4432), così che “il termine di trenta giorni per l’impugnazione del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione (…), ma può essere incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall’aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell’atto e dei relativi profili di illegittimità ove questi non siano oggettivamente evincibili dalla comunicazione (inter multis,Cons. Stato, III, 6 marzo 2019, n. 1540; V, 13 febbraio 2017, n. 592).
GARE D’APPALTO – LEGITTIMAZIONE AL RICORSO - LIMITI
In forza dei principi espressi dall’Adunanza Plenaria nella pronuncia n. 4/2018, nelle controversie aventi ad oggetto gare di appalto la legittimazione al ricorso, ai sensi degli artt. 74 e 120, comma 10, c.p.a., si fonda su una situazione differenziata e meritevole di tutela, derivante dalla partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione, cosicché l’operatore economico che liberamente si sia astenuto dal parteciparvi, non può agire per l’annullamento, ancorché possa vantare un interesse di fatto a che la competizione, che per lui è comunque res inter alios acta, venga nuovamente bandita.
La predetta posizione differenziata e qualificata, parimenti, non discende dalla veste di precedente affidatario del servizio, estinguendosi tale posizione con la scadenza del relativo contratto, cui esclusivamente accede e che non si perpetua anche in futuro come qualità immanente al soggetto (Consiglio di Stato, Sez. V, 9 novembre 2018, n. 6325).
Alla regola generale sopra specificata fanno eccezione solamente tre tassative ipotesi, di seguito indicate e tuttavia non ravvisabili nella fattispecie: i) quando si contesti in radice l'indizione della gara in sé, che non doveva cioè essere bandita; ii) quando si contesti che una gara sia mancata, avendo l'amministrazione disposto l'affidamento in via diretta del contratto; iii) quando si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti (Adunanza Plenaria, 7 aprile 2011, n. 11; 26 aprile 2018, n. 4).
BANDO DI GARA - CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTI - ONERE DI IMMEDIATA IMPUGNAZIONE
L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato del 26 aprile 2018, n. 4 ha “puntualizzato come la giurisprudenza abbia a più riprese precisato che vanno fatte rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” le seguenti fattispecie:
a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (si veda Cons. Stato sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671);
b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così l’Adunanza plenaria n. 3 del 2001);
c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (cfr. Cons. Stato sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980);
d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2011 n. 6135; Cons. Stato, sez. III, 23 gennaio 2015 n. 293);
e) clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all'intero importo dell'appalto: Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222);
f) bandi contenenti gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta (come ad esempio quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall'aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di "0" pt.);
g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011 n. 5421)”.
IMPUGNAZIONE AGGIUDICAZIONE – TERMINI (76)
Secondo un consolidato orientamento, cui il Collegio presta convinta adesione, la piena conoscenza del provvedimento, da cui decorrono i termini per impugnare, è integrata dalla cognizione dei suoi elementi essenziali, del suo contenuto dispositivo e della sua lesività rispetto agli interessi del ricorrente, senza che sia necessaria la completa acquisizione di tutti gli atti del procedimento e del contenuto integrale della determinazione conclusiva, salva la facoltà di proporre motivi aggiunti ove l’accesso agli atti abbia consentito di acquisire conoscenza di ulteriori profili d’illegittimità dell’atto impugnato.
Sulla base di tali considerazioni, se ne deve trarre che nel caso in esame non possa assumere rilevanza il momento in cui la parte ricorrente ha avuto accesso agli atti di gara, al fine di stabilire la decorrenza del termine per impugnare, tanto più che l’art. 76 del d.lgs. 50/2016, a differenza del precedente art. 79 del d.lgs n. 163/2006, non prevede una procedimentalizzazione dell’accesso agli atti di gara e dei tempi entro cui tale accesso è consentito, anzi le relative disposizioni sono state consapevolmente eliminate, per cui il termine di 30 giorni previsto dall’art. 120, comma 5, c.p.a. deve decorrere dal momento della comunicazione prevista dall’art. 76, senza necessità della indicazione delle caratteristiche e dei vantaggi dell’offerta selezionata, o della trasmissione dei verbali di gara o di altre informazioni, le quali sono effettuate solo su richiesta dell’offerente interessato.
GARA SUDDIVISA IN LOTTI - RICORSO CUMULATIVO - AMMISSOSOLO SE VENGONO DEDOTTI IDENTICI MOTIVI (204.1.I)
É stato ritenuto in giurisprudenza che la cumulabilità delle impugnative impone che tra gli atti gravati deve potersi rintracciare una ragione comune per cui, anche se appartengono a procedimenti diversi, sono fra loro comunque collegati in un rapporto di presupposizione o di consequenzialità o comunque di connessione (Cons. Stato Sez. V, 14/03/2019, n. 1687).
In sostanza, il cumulo delle cause, richiede un collegamento tra gli atti di tipo procedimentale tanto da determinare un quadro unitariamente lesivo degli interessi del ricorrente (come nel caso dell’impugnazione congiunta dell’atto presupposto e di quello conseguenziale), ovvero è possibile quando gli atti si fondano su identici presupposti e le censure proposte implicano la soluzione di identiche questioni (come, ad esempio, nel caso di impugnazione di diversi dinieghi in materia urbanistica fondati sull’interpretazione delle stesse norme del piano regolatore generale).
La giurisprudenza amministrativa, con specifico riferimento alle gare di appalto pubbliche, ha ritenuto che nel caso di presentazione di offerte per più lotti l'impugnazione può essere proposta con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto (Cons. Stato Sez. V, 08/02/2019, n. 948; Cons. Stato Sez. III, 17/09/2018, n. 5434).
L’art. 120, comma 11-bis c.p.a, introdotto dall'art. 204, comma 1, lett. i), D.Lgs. 18 aprile 2016, n. 50, ha in effetti codificato un orientamento ormai consolidato della giurisprudenza del giudice amministrativo (Cons. St., sez. III, 4 febbraio 2016, n. 449; id., sez. V, 26 giugno 2015, n. 3241), secondo cui l'ammissibilità del ricorso cumulativo degli atti di gara pubblica resta subordinata all'articolazione, nel gravame, di censure idonee ad inficiare segmenti procedurali comuni (ad esempio il bando, il disciplinare di gara, la composizione della Commissione giudicatrice, la determinazione di criteri di valutazione delle offerte tecniche ecc.) alle differenti e successive fasi di scelta delle imprese affidatarie dei diversi lotti e, quindi, a caducare le pertinenti aggiudicazioni; in questa situazione, infatti, si verifica una identità di causa petendi e una articolazione del petitum che risulta giustificata dalla riferibilità delle diverse domande di annullamento alle medesime ragioni fondanti la pretesa demolitoria che, a sua volta, ne legittima la trattazione congiunta.
Il cumulo di azioni è quindi ammissibile solo a condizione che le domande si basino sugli stessi presupposti di fatto o di diritto e/o siano riconducibili nell'ambito del medesimo rapporto o di un'unica sequenza procedimentale” (Cons. Stato Sez. III, 15-05-2018, n. 2892).
In questo caso, infatti, si ricade nell’ipotesi generale nella quale gli atti – sebbene formalmente distinti – si fondano però sui medesimi presupposti e le censure dedotte nei loro confronti sono le stesse: in tale situazione, infatti, la diversità degli atti è meramente nominalistica in quanto hanno tutti il medesimo contenuto dispositivo, fondandosi sui medesimi presupposti.
In pratica, in questo genere di casi, l’impugnazione congiunta di una pluralità di atti, aventi identico contenuto, fondata sulle medesime ragioni di diritto, non comporta “confusione” tra le cause, ma anzi evita il rischio di conflitto tra giudicati.
SERVIZIO DI PULIZIA E MONTE ORE MINIMO INDEROGABILE – IMMEDIATA IMPUGNABILITÀ DEL BANDO
Le parti ricorrenti hanno impugnato in via diretta le clausole del bando di gara che impongono un numero minimo di ore lavoro inderogabili in sede di offerta, senza partecipare alla medesima procedura di gara.
Al riguardo, secondo giurisprudenza, l’impugnativa diretta delle clausole del bando di gara è permessa solo in caso di clausole escludenti e la partecipazione dell’impresa alla gara qualifica il suo interesse ad agire.
In altri termini, le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere gravate unicamente dall'operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura.
In tal senso è vero che le clausole del bando considerate immediatamente escludenti consistono solo in: a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale; b) regole procedurali che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta; d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso ed obiettivamente non conveniente; e) clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all'intero importo dell'appalto); f) bandi contenenti gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta (come ad esempio quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi ed anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall'aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di "0" punti); g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso"( T.A.R. Lazio Roma, sez. III Quater, 29 maggio 2019, n. 6753; Consiglio di Stato, V, 18 marzo 2019, n. 1736).
É altrettanto vero che, come rilevato dalla parte ricorrente, si devono considerare escludenti quelle clausole che con assoluta certezza precludano l'utile partecipazione dell’impresa interessata (Cons. Stato, Ad. Plen., 26-04-2018, n. 4).
Nel caso di specie, il bando ha fissato un minino di ore inderogabile, il cui mancato rispetto in sede di offerta comporta l’esclusione. A fronte di tale previsione, l’impresa che intenda presentare un’offerta con un minor numero di ore si trova di fronte ad una clausola escludente, che non le consente di formulare l’offerta nei termini desiderati.
Né si potrebbe imporre alla stessa di partecipare, andando incontro a sicura esclusione, al solo fine di qualificare il suo interesse al ricorso, risultando tale onere ultroneo e sproporzionato.
IMPUGNAZIONE AGGIUDICAZIONE – NON PARTECIPANTE – INAMMISSIBILE
In materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, il tema della legittimazione al ricorso (o titolo) è declinato nel senso che tale legittimazione "deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione" e che "chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l'annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione - per lui res inter alios acta - venga nuovamente bandita".
É stato poi ivi precisato che a tale regola generale può derogarsi, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi e, cioè, quando: a) si contesti in radice l'indizione della gara; b) all'inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l'amministrazione disposto l'affidamento in via diretta del contratto; c) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.
Dunque, la possibilità di impugnare immediatamente il bando di gara, senza la preventiva presentazione della domanda di partecipazione alla procedura, è stata configurata quale eccezione alla regola in base alla quale i bandi di gara possono essere impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, in quanto solo in tale momento diventa attuale e concreta la lesione della situazione giuridica soggettiva dell’interessato.
Pertanto, il rapporto tra impugnabilità immediata e non impugnabilità immediata del bando è traducibile nel giudizio di relazione esistente tra eccezione e regola.
Regola generale è, dunque, quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnare l'esito della medesima, in quanto soltanto a quest’ultimo è riconoscibile una posizione differenziata; né quanto si afferma sulle regole di gara in via generale potrebbe essere in contrasto con l’assetto fondamentale della giustizia amministrativa.
L’eccezione riguarda i bandi che sono idonei a generare una lesione immediata e diretta della posizione dell’interessato.
La ratio sottesa a tale orientamento deve essere individuata nell’esigenza di garantire la massima partecipazione alle procedure ad evidenza pubblica e la massima apertura del mercato dei contratti pubblici agli operatori dei diversi settori, muovendo dalla consapevolezza che la conseguenza dell’immediata contestazione si traduce nell’impossibilità di rilevare il vizio in un momento successivo.
CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTI – IMMEDIATA IMPUGNAZIONE
L’impugnativa autonoma del bando proposta nella qualità di mero partecipante alla procedura è inammissibile in mancanza della deduzione di vizi comportanti l’esclusione dalla partecipazione alla gara, per carenza di una lesione concreta e attuale (e quindi per carenza di interesse), considerato che, in tal caso, la lesione si verifica (e l’interesse sorge) solo a seguito dell’eventuale esito finale negativo della procedura: la lesione da cui deriva, ex art. 100 Cod. proc. civ., l’interesse a ricorrere deve infatti costituire “una conseguenza immediata e diretta del provvedimento dell’Amministrazione e dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, e deve persistere al momento della decisione del ricorso” (così Cons. Stato, Ad. Plen. 29 gennaio 2003, n. 1).
Infatti, a fronte di una clausola illegittima della lex specialis, il concorrente non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, poiché non sa ancora se l’astratta e potenziale illegittimità della clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva che solo da tale esito può derivare (Cons. Stato, V, 3 giugno 2015, n. 2713; 16 settembre 2011, n. 5188; 24 agosto 2010, n. 5919; VI, 8 febbraio 2016, n. 510; III, 10 dicembre 2013, n. 5909.
La predetta pronunzia n. 1 del 2003 è stata confermata dalle successive pronunzie dell’Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4 e 26 aprile 2018, n. 4. Quest’ultima, in particolare, ha rammentato che: a) la regola generale è quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato a impugnare l’esito della medesima, in quanto soltanto a quest’ultimo è riconoscibile una posizione differenziata; b) i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi a identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato; c) tuttavia, possono essere enucleate alcune eccezioni a tale principio generale, individuandosi taluni casi in cui deve essere impugnato immediatamente il bando di gara, nonché particolari fattispecie in cui a tale impugnazione immediata deve ritenersi legittimato anche colui che non ha proposto la domanda di partecipazione.
Tali ultime ipotesi eccezionali sono state tradizionalmente rinvenute dalla giurisprudenza laddove: I) si contesti in radice l’indizione della gara; II) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto; III) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.
Come riconosciuto dall’Adunanza plenaria n. 4 del 2018, la giurisprudenza ha poi fatto rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” anche le fattispecie di: clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale; regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente; clausole impositive di obblighi contra ius; bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta, ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate; atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso”.
L’Adunanza Plenaria n. 4 del 2018 non ha, invece, accolto la tesi di cui all’ordinanza di questo Consiglio di Stato, Sezione III, 2 maggio 2017, n. 2014 - qui invocata dalle parti appellanti - dell’ammissibilità di un ricorso autonomamente rivolto avverso un bando di gara per l’illegittima adozione del criterio di aggiudicazione, escludendo che l’evenienza possa essere ascritta al novero delle “clausole del bando immediatamente escludenti” anche per come delineate, in senso ampliativo, dalla giurisprudenza amministrativa.
Applicando tali coordinate al caso di specie, si osserva che il bando della gara per cui è causa non contiene clausole immediatamente escludenti, sicchè esso non sfugge alla regola generale secondo cui la lex specialis è impugnabile unitamente all’atto applicativo conclusivo del procedimento concorsuale: non ricorre, indi, l’ipotesi, ventilata dalle appellanti, della necessità di una sua impugnazione autonoma, che avrebbe reso tardiva quella proposta da Show Bees in uno all’aggiudicazione.
ESCLUSIONE - ONERE IMMEDIATA IMPUGNAZIONE – LIMITI
E’ principio consolidato nella giurisprudenza amministrativa che il concorrente che abbia impugnato gli atti della procedura di gara precedenti l’aggiudicazione – normalmente il provvedimento che ne ha disposto esclusione – è tenuto ad impugnare anche il provvedimento di aggiudicazione sopravvenuto nel corso del giudizio (Cons. Stato, sez. V, 16 luglio 2018, n. 4304; V, 28 luglio 2015, n. 3708; V, 4 giugno 2015, n. 2759, V, 9 marzo 2015, n. 1185; V, 17 maggio 2012, n. 2826) a pena di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse. Ciò in ragione del carattere inoppugnabile del provvedimento finale, attributivo dell’utilitas all’aggiudicatario (Cons. Stato, sez. VI, 17 maggio 2006 n. 2846). Fermo restando, quindi, l'onere di impugnazione immediata dell'esclusione - quale atto endoprocedimentale di carattere direttamente ed autonomamente lesivo - rimane altresì fermo l'onere del concorrente escluso di estendere il gravame anche al provvedimento conclusivo del procedimento avviato con l’indizione della gara, ovverosia l'atto di approvazione della graduatoria finale. L’utilità finale che l’operatore economico intendeva conseguire attraverso il presente giudizio avverso gli atti della procedura di aggiudicazione è l’affidamento dell’appalto, quale che sia il provvedimento impugnato e, “nel caso di atto diverso dall’aggiudicazione, quale che sia l’utilità strumentale immediatamente perseguita (nel caso, ad esempio, dell’impugnazione dell’esclusione è la riammissione alla procedura); passaggio necessario, a tal fine, è comunque l’eliminazione dell’aggiudicazione ad altro concorrente. Siccome, poi, tale eliminazione non consegue per caducazione automatica dall’annullamento di un atto prodromico in quanto i vizi di questo si riverberano sul provvedimento di aggiudicazione in via derivata, qualora il giudizio sia stato instaurato nei confronti di un atto della procedura che precede l’aggiudicazione, l’impugnazione di questa si rende necessaria per procurarsi l’utilità avuta di mira” (Cons. St., sez. V, 4 febbraio 2019, n. 830; 16 luglio 2018, n. 4304).
CONTROVERSIE SULLA ESECUZIONE DEL CONTRATTO – GIURISDIZIONE GIUDICE ORDINARIO
La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sui contratti pubblici comprende le sole controversie relative al corretto svolgimento della procedura di selezione del contraente pubblico -ancorché insorte a seguito di un intervento di autotutela della stazione appaltante successivo alla stipula - mentre quelle che hanno a oggetto la (corretta o meno) esecuzione del rapporto rientrano nella giurisdizione ordinaria.
Nelle procedure ad evidenza pubblica aventi ad oggetto l'affidamento di appalti le controversie aventi ad oggetto questioni attinenti a comportamenti ed atti adottati nella fase contrattuale, concernente l'esecuzione del rapporto, sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario e non a quella del giudice amministrativo. Poiché nel caso di specie il contratto con parte ricorrente è stato stipulato ed il discrimen temporale che giustifica il riparto di giurisdizione è costituito proprio dalla stipulazione dello stesso a seguito della quale sorgono in capo sia dell'Amministrazione appaltante sia dell'esecutore posizioni di diritto soggettivo legate alla corretta esecuzione del contratto stipulato, va da sé che la giurisdizione nella fattispecie che concerne l'applicazione o meno dell'accisa in materia di combustibili al contratto in corso, spetta al giudice ordinario.
BANDO DI GARA - CLAUSOLE ESCLUDENTI - ONERE DI IMMEDIATA IMPUGNAZIONE
Il bando e in genere gli atti contenenti la legge di gara devono essere impugnati immediatamente, anziché unitamente al provvedimento conclusivo del procedimento (i.e. l’aggiudicazione), qualora contengano clausole in qualche modo preclusive della partecipazione alla procedura concorrenziale. Tali sono le clausole che pongono requisiti di partecipazione di cui il potenziale concorrente non è in possesso o che fissano oneri che rendono difficile se non impossibile la formulazione di un’offerta o ancora che impediscono di presentare un’offerta remunerativa (cfr., C.d.S., Sez. III, sentenza n. 1331/2019). Orbene, nessuna delle clausole contestate dalla ricorrente rientra nelle suvviste categorie, nessuna cioè è preclusiva della partecipazione alla gara (come del resto, dimostra il fatto che essa pure abbia presentato offerta e – a quanto consta – non sia stata esclusa).
In particolare, tale non è la clausola che fissa il criterio di aggiudicazione della convenzione, (..) , come già questa Sezione ha avuto modo di affermare (cfr., sentenza n. 1430/2018).Tale non è nemmeno l’omessa previsione di requisiti soggettivi di qualificazione ai fini della partecipazione (..) che all’evidenza non crea alcuna barriera alla presentazione di un’offerta. Tanto è vero che la ricorrente si duole proprio del fatto che in astratto chiunque potrebbe concorrere.
RICORSO GIURISDIZIONALE AVVERSO GLI ATTI DI GARA – ONERE DI ESTENSIONE DELL’IMPUGNAZIONE ANCHE AL PROVVEDIMENTO CONCLUSIVO DEL PROCEDIMENTO AVVIATO CON L’INDIZIONE DELLA SELEZIONE
Come affermato dalla giurisprudenza (cfr., ad esempio, Consiglio di Stato, III, n. 2534/2019, T.A.R. Lombardia, Milano, IV, n. 1855/2018 e T.A.R. Puglia, Lecce, III, n. 623/2011), il concorrente che abbia impugnato gli atti della procedura di gara ha l’onere di estendere il gravame anche al provvedimento conclusivo del procedimento avviato con l’indizione della selezione, ovverosia l’atto di approvazione della graduatoria finale o, comunque, l’atto con cui la disposta aggiudicazione viene, infine, approvata.
ATTO NOMINA COMMISSIONE – IMMEDIATA IMPUGNABILITÀ
Va esaminata la censura proposta per quinta con la quale parte ricorrente fa rilevare la illegittima composizione della Commissione giudicatrice, censura che se accolta determinerebbe la caducazione della gara.
Col ridetto motivo l’interessata fa valere che l’art. 11 del Disciplinare ha chiaramente declinato e specificato le competenze e il settore di appartenenza dei soggetti che sarebbero stati individuati a far parte della commissione giudicatrice mediante sorteggio fra i dipendenti delle Direzioni Regionali competenti in materia di Salute o di Personale, laddove nel caso in specie il soggetto individuato come Presidente della Commissione giudicatrice non presenterebbe i ridetti requisiti per rivestire l’incarico. In particolare la Presidente della Commissione è laureata in giurisprudenza ed è un dirigente dell’Area programmazione dell’offerta formativa e di orientamento e quindi non presenterebbe il requisito di competenza ed esperienza previsti dalla lex specialis di gara.
Del tutto correttamente la Regione, sin dalla prima memoria di contestazione dei motivi, oppone che la censura è inammissibile, perché la determinazione di nomina della Commissione è stata adottata e pubblicata in data 18 settembre 2017, unitamente ai curricula dei componenti della Commissione; e che della adozione di tale determinazione (e dei nominativi e delle qualifiche dei singoli componenti) è stato dato espressamente atto nel verbale della seduta pubblica del 18 ottobre 2017, seduta alla quale erano presenti anche i rappresentanti della ricorrente. In ragione dell’autonoma portata lesiva degli atti di nomina della Commissione la ricorrente avrebbe dovuto provvedere ad impugnarli immediatamente senza attendere l’esito della aggiudicazione.
PROCESSO AMMINISTRATIVO - RITO SUPER ACCELERATO – ABROGAZIONE – AMBITO DI APPLICAZIONE
L’art. 1, comma 4, d.l. 18 aprile 2019, n. 32, nell’individuare l’ambito della operatività dell’abrogazione del rito appalti super accelerato dettato dal comma 2 bis dell’art. 120 c.p.a., fa riferimento ai processi “iniziati dopo la data di entrata in vigore del presente decreto”, con tali dovendosi intendere, nell’ottica di chi agisce in giudizio ovvero di chi lo ha “iniziato”, quelli in cui il ricorso introduttivo venga notificato (e non depositato) dopo il 19 aprile 2019.
CONTROVERSIA INERENTE IL COLLAUDO – GIURISDIZIONE GO
Nella presente fattispecie viene in rilievo una vicenda relativa alla fase esecutiva del rapporto, come tale connotata da situazioni soggettive da qualificarsi in termini di diritti soggettivi, con conseguente devoluzione della relativa controversia alla giurisdizione dell'A.G.O. (cfr., sul principio generale, Cassazione civile, Sez. unite, n. 10160 del 2003, n. 4425 del 2007, n. 29425 del 2008 e n. 391 del 2011; Consiglio di Stato, Sez. III, n. 450 del 2009).
In particolare, come chiarito in giurisprudenza, le controversie inerenti al collaudo di opere pubbliche (ma ciò vale anche nel caso di appalti aventi ad oggetto servizi o forniture) esorbitano dall'ambito cognitivo proprio della giurisdizione del giudice amministrativo, atteso che le attività riferite allo stesso rientrano pienamente nell'ambito di un rapporto negoziale che, a partire dall'affidamento, si connota per l'assenza di poteri autoritativi (cfr. Cassazione civile, Sez. unite, 6.9.2010, n. 19049; T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. I, 20.7.2012, n. 1596; Sez. II, 20.10.2005, n. 3450; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III, 29.12.2008, n. 12364; T.A.R. Trento, 13.0.2005, n. 246; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. I, 17.11.2003, n. 13607).
A nulla rileva il fatto che l’Amministrazione abbia denominato il proprio provvedimento come revoca della aggiudicazione.
La qualificazione giuridica dell’atto spetta infatti al giudice che deve operarla, tenendo conto del suo contenuto sostanziale e non del nomen juris ad esso attribuito dalla p.a.
TITOLO IMPUGNAZIONE CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE LESIVE - NECESSARIA IMPOSSIBILITA’ OGGETTIVA ALLA PARTECIPAZIONE
La (..) sentenza dell’Adunanza Plenaria – n. 4 del 2018- è pervenuta alla conclusione che costituisce principio generale quello per cui i bandi di gara o di concorso o le lettere di invito sono impugnabili soltanto unitamente agli atti di cui costituiscono applicazione (come le esclusioni o le aggiudicazioni, per fare un facile esempio) e ciò a garanzia del principio di massima partecipazione. Si possono ravvisare eccezioni a tale principio, sia quando si contesta alla radice l’indizione o la non indizione di una gara, oppure quando la legge di gara contenga clausole immediatamente escludenti.
Fra queste ultime la giurisprudenza annovera quelle che rendono impossibile o oggettivamente difficile la partecipazione, che impongono oneri sproporzionati o che rendono impossibile il calcolo della convenienza economica o tecnica dell’offerta, oppure che rendono obiettivamente non conveniente o eccessivamente oneroso il rapporto contrattuale. Deve trattarsi però di una impossibilità o di una onerosità oggettive e non della mera difficoltà riferita al singolo partecipante, non potendo le eventuali problematiche organizzative o la non convenienza economica per quest’ultimo assurgere di per sé ad oggettiva impossibilità di presentazione di un’offerta. Ne consegue, sempre secondo l’indicazione dell’Adunanza Plenaria, che la scelta del criterio di aggiudicazione da parte del bando – minor prezzo oppure offerta economicamente più vantaggiosa – non costituisce clausola immediatamente escludente, cui si connette l’onere dell’immediata impugnazione.
TERMINE DI IMPUGNAZIONE -NON DECORRE SEMPRE DAL MOMENTO DELLA COMUNICAZIONE DELL’AGGIUDICAZIONE (76)
Il termine di trenta giorni per l’impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre dal momento della comunicazione – nel caso di specie secondo l’art. 79 del d. lgs. 163 del 2016, ad oggi ai sensi dell’art. 76 del d. lgs. 50 del 2016 - ma può essere “incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall’aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell’atto e dei relativi profili di illegittimità, laddove questi non fossero oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione e – comunque per l’allora vigente sistema entro il limite dei dieci giorni che il richiamato comma 5-quater dell’art. 79 fissava per esperire la particolare forma di accesso - semplificato ed accelerato - ivi disciplinata” (Cons. Stato, III, del 28 agosto 2014 n. 4432).
BANDO DI GARA - IMPUGNATIVA AUTONOMA E ANTICIPATA - AMMISSIBILE SOLO PER CLAUSOLE ESCLUDENTI O IMPEDITIVE LA PARTECIPAZIONE
Com’è noto, l’impugnativa autonoma del bando proposta nella qualità di mero partecipante alla procedura è inammissibile in mancanza della deduzione di vizi comportanti l’esclusione dalla partecipazione alla gara, per carenza di una lesione concreta e attuale (e quindi per carenza di interesse), considerato che, in tal caso, la lesione si verifica (e l’interesse sorge) solo a seguito dell’eventuale esito finale negativo della procedura: la lesione da cui deriva, ex art. 100 Cod. proc. civ., l’interesse a ricorrere deve infatti costituire “una conseguenza immediata e diretta del provvedimento dell’Amministrazione e dell’assetto di interessi con esso introdotto, deve essere concreta e non meramente potenziale, e deve persistere al momento della decisione del ricorso” (così Cons. Stato, Ad. Plen. 29 gennaio 2003, n. 1).
A fronte, invece, di una clausola illegittima della lex specialis di gara, il concorrente non è ancora titolare di un interesse attuale all’impugnazione, poiché non sa ancora se l’astratta e potenziale illegittimità della clausola si risolverà in un esito negativo della sua partecipazione alla procedura concorsuale, e quindi in una effettiva lesione della situazione soggettiva che solo da tale esito può derivare (Cons. Stato, V, 3 giugno 2015, n. 2713; 16 settembre 2011, n. 5188; 24 agosto 2010, n. 5919; VI, 8 febbraio 2016, n. 510; III, 10 dicembre 2013, n. 5909.
Il bando di gara è indi impugnabile, di regola, unitamente all’atto applicativo, conclusivo del procedimento concorsuale.
In particolare, alla luce di due basilari pronunce rese dall’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato (n. 1 del 2003, cit.; 7 aprile 2011, n. 4), come sintetizzate dall’Adunanza Plenaria 26 aprile 2018, n. 4, che ne ha confermato gli arresti: a) la regola generale è quella per cui soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnare l’esito della medesima, in quanto soltanto a quest’ultimo è riconoscibile una posizione differenziata; b) i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi a identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento e a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato; c) tuttavia, possono essere enucleate alcune eccezioni a tale principio generale, individuandosi taluni casi in cui deve essere impugnato immediatamente il bando di gara, nonché particolari fattispecie in cui a tale impugnazione immediata deve ritenersi legittimato anche colui che non ha proposto la domanda di partecipazione.
Tali ultime ipotesi sono state tradizionalmente rinvenute dalla giurisprudenza laddove: I) si contesti in radice l’indizione della gara; II) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto ‘'affidamento in via diretta del contratto; III) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.
Come riconosciuto dalla citata Adunanza plenaria n. 4 del 2018, la giurisprudenza ha poi fatto rientrare nel genus delle “clausole immediatamente escludenti” anche le fattispecie di: clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale; regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile; disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta; condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente; clausole impositive di obblighi contra ius; bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta, ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate; atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso”.
BANDI DI GARA - SONO IMPUGNABILI SOLTANTO UNITAMENTE AGLI ATTI DI CUI COSTITUISCONO APPLICAZIONE - ONERE DI IMPUGNAZIONE IMMEDIATA VALE SOLO PER LE CLAUSOLE CHE IMPEDISCONO CON CERTEZZA LA STESSA FORMULAZIONE DELL’OFFERTA.
La giurisprudenza del Consiglio di Stato (cfr. da ultimo la nota pronuncia dell’Adunanza Plenaria del medesimo, n. 4/2018), è pervenuta alla conclusione che costituisce principio generale quello per cui i bandi di gara o di concorso o le lettere di invito sono impugnabili soltanto unitamente agli atti di cui costituiscono applicazione (come le esclusioni o le aggiudicazioni, per fare un facile esempio) e ciò a garanzia del principio di massima partecipazione. Si possono ravvisare eccezioni a tale principio, sia quando si contesta alla radice l’indizione o la non indizione di una gara (ma non è questo il caso di specie), oppure quando la legge di gara contenga clausole immediatamente escludenti. Fra queste ultime la giurisprudenza (si veda ancora la citata sentenza dell’Adunanza Plenaria), annovera quelle che rendono impossibile o oggettivamente difficile la partecipazione, che impongono oneri sproporzionati o che rendono impossibile il calcolo della convenienza economica o tecnica dell’offerta, oppure che rendono obiettivamente non conveniente o eccessivamente oneroso il rapporto contrattuale. Deve trattarsi però di una impossibilità o di una onerosità oggettive e non della mera difficoltà riferita al singolo partecipante, non potendo le eventuali problematiche organizzative o la non convenienza economica per quest’ultimo assurgere di per sé ad oggettiva impossibilità di presentazione di un’offerta. In una recente decisione (Sezione V, n. 173/2019), il Consiglio di Stato, nel chiarire la portata della pronuncia della Plenaria n. 4/2018, ha confermato che l’onere di impugnazione immediata vale solo per le clausole che impediscono “…con certezza la stessa formulazione dell’offerta” e che tale eventualità va esclusa nel caso di “partecipazione …. alla procedura di gara”. Deve trattarsi quindi di una preclusione sostanzialmente generalizzata alla presentazione di un’offerta.
RIFIUTO ILLEGITTIMO ACCESSO ATTI – TERMINE DILATORIO IMPUGNAZIONE
La stazione appaltante è tenuta, nella comunicazione con la quale rende nota l'avvenuta aggiudicazione, a esporre le ragioni che hanno condotto a preferire quell'offerta, ovvero, in alternativa, ad allegare i verbali della procedura.
Se la stazione appaltante trasmette una comunicazione incompleta, nella quale, cioè, non sono specificate le ragioni di preferenza o alla quale non sono allegati i verbali di gara, così come se, pur in presenza di comunicazione esaustiva e completa degli atti richiesti, è indispensabile conoscere gli elementi tecnici dell'offerta dell'aggiudicatario per aver chiare le ragioni che hanno spinta a preferirla, l'impresa concorrente potrà richiedere di accedere agli atti della procedura.
La necessità di procedere all'accesso ai documenti per poter avere piena conoscenza della motivazione del provvedimento e degli atti endo - procedimentali che l'hanno preceduto non sospende la decorrenza del termine ordinario di impugnazione (ex multis, Cons. Stato, IV, 21 marzo 2016, n.1135; V, 15 gennaio 2013, n. 170; V, 5 novembre 2012, n. 5588; III, 13 maggio 2012, n. 2993; IV, 2 settembre 2011, n. 4973; V, 25 luglio 2011, n. 4454).
I principi di effettività della tutela giurisdizionale (art. 24 Cost., e art. 1 Cod. proc. amm.), così come enucleati anche dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea (cfr. sentenza 8 maggio 2014, in C-161/13 Idrodinamica Spurgo), tuttavia, portano a ritenere che, qualora la stazione appaltante rifiuti illegittimamente di consentire l’accesso (ovvero, in qualunque modo tenga una condotta di carattere dilatorio), il potere di impugnare non “si consuma” con il decorso del termine di legge, ma è incrementato di un numero di giorni necessari alla effettiva acquisizione dei documenti stessi (cfr. Cons. Stato, sez. III, 6 marzo 2019, n. 1540; sez. III, 14 gennaio 2019, n. 349; sez. V, 5 febbraio 2018, n. 718; sez. III, 22 luglio 2016, n. 3308).
In caso di proposizione del ricorso introduttivo del giudizio avverso l’aggiudicazione oltre il termine di 30 giorni previsto dall’art. 120, comma 5, Cod. proc. amm., pertanto, occorre verificare, per la tempestività del ricorso, se la comunicazione dell’aggiudicazione fosse completa; qualora sia incompleta, se la parte interessata abbia presentato tempestiva istanza di accesso ai documenti per acquisire gli elementi necessari all’impugnazione; in caso di tempestiva istanza, quale condotta abbia tenuto l’amministrazione ovvero se essa abbia fornito o meno un accesso completo e in tempo debito (così valuta Cons. Stato, 31 ottobre 2018, n. 6187).
Solo se l’amministrazione abbia tenuto una condotta dilatoria, il termine di impugnazione può differirsi del tempo necessario all’acquisizione della documentazione richiesta con l’istanza di accesso.
PROCEDURE DI AFFIDAMENTO GESTITE DALLE PARROCCHIE – MANCATA NATURA DI ORGANISMO DI DIRITTO PUBBLICO - DIFETTO GIURISDIZIONE DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO
Il Collegio ritiene che l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo per le procedure di affidamento di appalti di lavori gestite dalle parrocchie risulti fondata.
In particolare vanno evidenziati i seguenti dati normativi:
1) l'art. 3, co. 1, lett. d), del dlgs 50/2016 impone all'organismo di diritto pubblico il rispetto della normativa ad evidenza pubblica, e lo definisce nel seguente modo: " qualsiasi organismo, anche in forma societaria, il cui elenco non tassativo é contenuto nell'allegato IV: 1) istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) dotato di personalità giuridica; 3) la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo d'amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà é designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico";
2) ai sensi dell'art. 13 della L. 222/1985 (recante Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi) "La Conferenza episcopale italiana acquista la personalità giuridica civile, quale ente ecclesiastico, con l'entrata in vigore delle presenti norme.";
3) ai sensi dell'art. 4 della citata L. 222/1985 "Gli enti ecclesiastici che hanno la personalità giuridica nell'ordinamento dello Stato assumono la qualifica di enti ecclesiastici civilmente riconosciuti.".
In base alle richiamate disposizioni di legge, si può concludere che sia le parrocchie, sia la Conferenza Episcopale Italiana, sono enti ecclesiastici riconosciuti, con personalità giuridica di diritto privato. Si può anche aggiungere che tali enti perseguono scopi particolari - di religione, di culto, di solidarietà sociale, etc. - che non rientrano tuttavia nei fini generali rivolti al "soddisfacimento di bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale", costituenti uno dei tratti distintivi degli organismi di diritto pubblico secondo la giurisprudenza comunitaria poi tradotta in norma di diritto interno.
Infine, e questo è forse l'aspetto più rilevante ai fini qui in esame, i predetti enti non risultano collegati con lo Stato italiano o con altri enti pubblici da quegli stretti vincoli indicati dalla legge, che ne condizionano la gestione, la struttura organizzativa e/o l'autonomia finanziaria. Tanto basta per negare alla parrocchia resistente lo status di organismo di diritto pubblico, e per escludere anche che tale qualità possa derivare dall'eventuale collegamento strutturale/funzionale/economico con la C.E.I.
CHI SI ASTIENE DAL PARTECIPARE NON PUÒ CHIEDERE L'ANNULLAMENTO
Come di recente ribadito da Cons. Stato, Ad. plen. 26 aprile 2018, n. 4, che “[…] regola generale è che soltanto colui che ha partecipato alla gara è legittimato ad impugnare l’esito della medesima, in quanto soltanto a quest’ultimo è riconoscibile una posizione differenziata […] l’operatore del settore che non ha partecipato alla gara al più potrebbe essere portatore di un interesse di mero fatto alla caducazione dell'intera selezione […] al fine di poter presentare la propria offerta in ipotesi di riedizione della nuova gara), ma […] non avrebbe provato e neppure dimostrato quell’ “interesse” differenziato che ne avrebbe radicato la legittimazione, essendosi astenuto dal presentare la domanda […] tale regola generale può derogarsi, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solamente in tre tassative ipotesi e, cioè, quando: I) si contesti in radice l'indizione della gara; II) all'inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l'amministrazione disposto l'affidamento in via diretta del contratto; III) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti”.
Tra queste ultime la giurisprudenza colloca, in via esemplificativa:
a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (Cons. Stato, IV, 7 novembre 2012, n. 5671);
b) regole [procedurali] che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Cons. Stato, Ad. plen. n. 3 del 2001);
c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (Cons. Stato, V, 24 febbraio 2003, n. 980);
d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso ed obiettivamente non conveniente (Cons. Stato, III, 23 gennaio 2015, n. 293);
e) clausole impositive di obblighi contra ius(es. cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto (Cons. Stato, II, 19 febbraio 2003, n. 2222);
f) bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come ad esempio quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi ed anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” punti);
g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (Cons. Stato, III, 3 ottobre 2011, n. 5421).
Caratteristica comune di tali ipotesi di eccezione – che pur sempre vanno correlate alla condizione soggettiva dell’interesse legittimo che si assume leso, pena l’ammettere in capo a un’impresa un’inammissibile azione “nell’interesse della legge”, cioè di diritto oggettivo - è la loro attitudine ad impedire, in modo oggettivo e macroscopico, a un normale operatore economico di formulare un’offerta corretta, ossia – in ultima analisi – di presentare la domanda di partecipazione.
AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA – DECORRENZA TERMINE IMPUGNAZIONE – COMUNICAZIONE (32.5)
L' art. 32 del d.lgs. n. 50 del 2016 – al fine di assicurare con la massima celerità la certezza delle situazioni giuridiche ed imprenditoriali – ha del tutto eliminato la tradizionale categoria della “aggiudicazione provvisoria”, ma distingue solo tra:
-- la “proposta di aggiudicazione”, che è quella adottata dal seggio di gara, ai sensi dell'art. 32, co.5, e che ai sensi dell’art. 120, co. 2-bis ultimo periodo del codice del processo amministrativo non costituisce provvedimento impugnabile;
-- la “aggiudicazione” tout court che è il provvedimento conclusivo di aggiudicazione e che diventa efficace dopo la verifica del possesso dei requisiti di cui all’art. 33, co. 1 del cit. d.lgs. n. 50 della predetta proposta da parte della Stazione Appaltante.
In tale sistematica, la verifica dei requisiti di partecipazione è dunque una mera condizione di efficacia dell'aggiudicazione e non di validità in quanto attiene sotto il profilo procedimentale alla “fase integrativa dell’efficacia” di un provvedimento esistente ed immediatamente lesivo, la cui efficacia è sottoposta alla condizione della verifica della proposta di aggiudicazione di cui al cit. art. 33 circa il corretto espletamento delle operazioni di gara e la congruità tecnica ed economica della relativa offerta.
Anche alla luce dei precedenti della Sezione (cfr. inframultis: Cons. Stato sez. V, 01.08.2018, n.4765), quindi, del tutto esattamente il TAR ha eccepito l’inammissibilità dell’appello perché il termine per impugnare l’aggiudicazione ex art. 32, co. 5 del d. lgs. n.50 ed ex art. 120, co. 2-bis c.p.a. decorre dalla comunicazione della stessa.
Il termine per l'impugnazione dell'aggiudicazione da parte dei concorrenti non aggiudicatari inizia a decorrere dal momento in cui essi hanno ricevuto la comunicazione di cui all'art.76, co. 5, lett. a), d.lgs. n.50/2016, e non dal momento, eventualmente successivo, in cui la Stazione Appaltante abbia concluso con esito positivo la verifica del possesso dei requisiti di gara in capo all'aggiudicatario.
L'aggiudicazione come sopra definita, dato che da un lato fa sorgere in capo all'aggiudicatario un'aspettativa alla stipulazione del contratto di appalto ex lege subordinata all'esito positivo della verifica del possesso dei requisiti, dall’altro produce nei confronti degli altri partecipanti alla gara un effetto immediato, consistente nella privazione definitiva, salvo interventi in autotutela della Stazione Appaltante o altre vicende comunque non prevedibili né controllabili, del “bene della vita” rappresentato dall'aggiudicazione della gara.
Nella fattispecie in esame la “aggiudicazione” della gara era stata trasmessa con PEC del 21.09.2017 a tutte le ditte che avevano partecipato alla gara con espresso rinvio alla relativa determina pubblicata, come prescritto, nella sezione “Amministrazione trasparente” del sito web dell’Amministrazione Comunale cui erano allegati tutti i verbali.
A tale riguardo si ricorda che l’art. 120, co. 2-bis, c.p.a. espressamente collega il decorso del termine per impugnare i provvedimenti di ammissione e di esclusione alle procedure di gara alla pubblicazione dei relativi verbali sul profilo del committente, ai sensi dell’art. 29, co. 1, d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 (cfr. Cons. Stato, sez. III, 20.03.2018, n. 1765).
In definitiva dunque in base alla normativa vigente, il termine decadenziale doveva essere computato a partire dalla comunicazione PEC del 21.09.2017.
RICORSO AVVERSO L’AGGIUDICAZIONE DI UNA GARA CONDOTTA DALLA SUA SU INCARICO DELLA PAB – MANCATA NOTIFICA A QUEST’ULTIMA – INAMMISSIBILITÀ
Allorché la procedura di gara passi attraverso due fasi, una svolta dalla SUA comprendente l’indizione e lo svolgimento della procedura di gara nonché un’altra successiva di emanazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva (rimessa alla PAB), così individuando sia un “Responsabile della procedura di gara” per la SUA, sia un “RUP - Responsabile unico del procedimento” per la committente PAB, ne deriva la conseguenza che il ricorso presentato avverso l’esclusione dalla gara va notificato anche alla PAB.
Si rende opportuno a tal riguardo rammentare che, per quanto sia un ente strumentale della Provincia autonoma di Bolzano, l’“ACP - Agenzia per i procedimenti e la vigilanza in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture” è munita di propria personalità giuridica di diritto pubblico, ed è dotata di autonomia e piena indipendenza funzionale, organizzativa, amministrativa, contabile e patrimoniale, sicché la natura delle funzioni alla stessa attribuite esclude che possa qualificarsi come mero organo dell’Amministrazione provinciale. In altri termini, l’Agenzia, sul piano sia del diritto sostanziale, sia del diritto processuale, costituisce persona giuridica autonoma, naturale centro d’imputazione degli atti da essa emanati e necessaria parte processuale nei giudizi impugnatori promossi avverso agli atti medesimi.
TERMINE PROPOSIZIONE RICORSO DECORRE DALLA COMUNINICAZIONE DELLA AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA – LA COMPETENZA DELLA VALUTAZIONE DELLA ANOMALIA DELL’OFFERTA E’ DEL RUP (31 – 76)
In via generale è noto che il termine per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione ai sensi dell’art. 120, comma 5, del c.p.a. decorre dalla ricezione da parte del concorrente della comunicazione di cui all'articolo 79 del previgente codice degli appalti (menzionato dalla norma processuale) che corrisponde nella sua parte essenziale all'art. 76 del vigente D.Lgs. n. 50/2016.
Il corollario di tale ragionamento è che dovrebbe addivenirsi alla declaratoria di irricevibilità dei motivi aggiunti, siccome notificati in data 6.12.2018, quindi oltre il termine di 30 giorni decorrenti dalla predetta comunicazione ex art. 76 (nota prot. n. 5325 del 30.10.2018 trasmessa a mezzo p.e.c. alla ricorrente in data 31.10.2018).
Tuttavia, alla predetta conclusione in rito ostano due considerazioni che, in accoglimento della espressa richiesta formulata dalla difesa di parte ricorrente con l’ultima memoria di replica, consentono di accordare il beneficio della rimessione in termini per errore scusabile ai sensi dell’art. 37 c.p.a. (secondo cui “Il giudice può disporre, anche d'ufficio, la rimessione in termini per errore scusabile in presenza di oggettive ragioni di incertezza su questioni di diritto o di gravi impedimenti di fatto”) e, quindi, di propendere per la ritualità e tempestività dei motivi aggiunti.
In primo luogo, va tenuto conto del comportamento oggettivamente ambiguo dell’amministrazione che, come si è visto, ha erroneamente qualificato il provvedimento di aggiudicazione come “provvisoria” in contrasto sia con il vigente quadro normativo che con il bando di gara, inducendo in errore il concorrente circa la natura interinale dell’aggiudicazione medesima, anziché definitiva con conseguente onere di immediata impugnazione.
Il secondo profilo da valorizzare attiene alla comunicazione di cui all’art. 76, comma 5, lett. a) da cui, come si è visto, decorre il termine per proporre ricorso ai sensi dell’art. 120, comma 5, del c.p.a..
In base alla richiamata disposizione del Codice degli appalti pubblici, la predetta comunicazione - che deve essere inviata d’ufficio immediatamente, e comunque non oltre 5 giorni ad opera della stazione appaltante - si riferisce all’ “aggiudicazione” (non ulteriormente qualificata), da intendersi come atto conseguente all’approvazione dell’organo competente e non alla “proposta di aggiudicazione” (di cui all’art. 33) o alla “aggiudicazione provvisoria” secondo la terminologia del codice previgente.
In altri termini, la decadenza della ricorrente dall’impugnativa per superamento del termine di rito potrebbe essere dichiarata soltanto di fronte ad una comunicazione (che nel caso in esame non è dato individuare) della stazione appaltante resa ai sensi dell’art. 76 del D.Lgs. n. 50/2016 che, in termini chiari e univoci, risulti idonea a portare a conoscenza della ricorrente l’aggiudicazione definitiva dell’appalto.
L’organo competente a valutare l’anomalia dell’offerta (R.U.P.), pur avendo condotto il relativo subprocedimento, non si è mai espresso conclusivamente sulla congruità dell’offerta ma il relativo giudizio è stato reso dal Responsabile del Servizio con l’ausilio di un professionista esterno, in violazione delle disposizioni di settore e del consolidato orientamento giurisprudenziale riportato.
Le considerazioni svolte conducono all’accoglimento della censura di incompetenza, con conseguente assorbimento degli ulteriori profili di illegittimità in omaggio a consolidato indirizzo pretorio secondo cui, in tale ipotesi, si versa nella situazione in cui il potere amministrativo non è stato ancora esercitato, sicché il giudice non può fare altro che rilevare, se assodato, il relativo vizio e assorbire tutte le altre censure, non potendo dettare le regole dell’azione amministrativa nei confronti di un organo che non ha ancora esercitato il suo munus (ex multis, Consiglio di Stato, Sez. IV, n. 941/2017).
FORMAZIONE DEL GIUDICATO IMPLICITO IN TEMA DI GIURISDIZIONE ED INAMMISSIBILITÀ DEL RICORSO
In materia di giurisdizione, non è configurabile soccombenza rispetto al capo implicito sulla medesima che accompagna la statuizione di rigetto nel merito della domanda principale quando sia stata proposta pure [domanda] riconvenzionale - o, nel processo amministrativo, ricorso incidentale - poi non esaminata in quanto assorbita dal pieno rigetto della prima, visto che in tal caso il convenuto originario aveva, dispiegando a sua volta una sua domanda, per implicito invocato l'affermazione della giurisdizione del giudice adito e che pure sul punto è risultato pienamente vittorioso; pertanto, il convenuto, non soccombente sulla domanda principale, che aveva però proposto domanda riconvenzionale - ovvero, nel processo amministrativo, impugnazione incidentale in primo grado - non è legittimato ad appellare, in via incidentale eventualmente subordinata, la pronuncia di primo grado di integrale rigetto nel merito della domanda principale.
IMPUGNAZIONE AGGIUDICAZIONE – SOGGETTO LEGITTIMATO CHE HA PARTECIPATO ALLA PROCEDURA
Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale (Consiglio di Stato, Ad. Plen. n. 9 del 2014 e n. 4 del 2018), in materia di controversie aventi ad oggetto gare di appalto, la legittimazione al ricorso deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione, per cui chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è legittimato a chiederne l’annullamento ancorché vanti un interesse di fatto a che la competizione venga nuovamente bandita. A tale regola generale può però derogarsi in tre tassative ipotesi, ossia quando: si contesti in radice l’indizione della gara; si contesti che una gara sia mancata, avendo l’amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto; si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.
Con specifico riguardo alle procedure negoziate senza pubblicazione del bando alle quali non si è stati invitati, è stato affermato (ex multis, Consiglio di Stato, Ad. Plen., 7 aprile 2011, n. 4) che per essere legittimati ad agire è sufficiente allegare la condizione di impresa operante nel settore oggetto della procedura, senza che sia necessario dimostrare altresì di possedere tutti i requisiti occorrenti per essere invitati alla gara e risultarne aggiudicatari all’esito. In tal caso, infatti, l’impresa è titolare di un interesse qualificato e tutelato a contestare la scelta di una pubblica amministrazione di procedere all’affidamento di un appalto di lavori, servizi o forniture mediante procedura negoziata, giacché può essere azionato in sede giurisdizionale l’interesse strumentale a che l’amministrazione, in seguito all’accoglimento del gravame ed in ossequio alle previsioni normative interne e comunitarie, indica una procedura ad evidenza pubblica aperta o ristretta, alla quale il ricorrente sia ammesso a partecipare, in condizioni di parità con gli altri operatori economici; ovvero anche a che alla procedura negoziata, come pure si pretende nel caso di specie, l’impresa stessa sia almeno invitata.
RICORSO GIURISDIZIONALE – NATURA E RATIO
La normativa processuale (art. 120 D.lgs. 104/2010) ha carattere eccezionale e derogatorio del principio secondo cui l'interesse a impugnare dei partecipanti a una gara si concretizza al momento dell'aggiudicazione; per l'effetto deve ritenersi di stretta interpretazione, non potendo trovare applicazione - senza un espresso richiamo legislativo - ad ipotesi dalla stessa non espressamente (e direttamente) regolate.
Al riguardo, il primo comma dell'art. 120 Cod. proc. amm. circoscrive espressamente l'ambito di applicazione della norma (e, dunque, anche del rito specialissimo di cui al richiamato comma 2-bis) agli "atti delle procedure di affidamento, ivi comprese le procedure di affidamento di incarichi e concorsi di progettazione e di attività tecnico-amministrative ad esse connesse, relativi a pubblici lavori, servizi o forniture, nonché i provvedimenti dell'Autorità nazionale anticorruzione ad essi riferiti", non comprendendo dunque gli affidamenti in concessione di beni demaniali, cui si riferisce invece la vicenda in esame.
MANCANZA DI PUBBLICAZIONE DI UN AUTONOMO ATTO DI AMMISSIONE SULLA PIATTAFORMA TELEMATICA DELLA STAZIONE APPALTANTE - TERMINE DI IMPUGNAZIONE DECORRE, COMUNQUE, DAL MOMENTO DELL'INTERVENUTA PIENA CONOSCENZA DEL PROVVEDIMENTO DA IMPUGNARE.
Secondo il generale principio sancito dagli artt. 41, comma 2 e 120, comma 5, ultima parte, del c.p.a. (..), in difetto della formale comunicazione dell'atto - o, per quanto qui interessa, in mancanza di pubblicazione di un autonomo atto di ammissione sulla piattaforma telematica della stazione appaltante - il termine decorre, comunque, dal momento dell'intervenuta piena conoscenza del provvedimento da impugnare, ma ciò a patto che l’interessato sia in grado di percepire i profili che ne rendano evidente la lesività per la propria sfera giuridica in rapporto al tipo di rimedio apprestato dall'ordinamento processuale.
In altri termini, “la piena conoscenza dell’atto di ammissione della controinteressata, acquisita prima o in assenza della sua pubblicazione sul profilo telematico della stazione appaltante, può dunque provenire da qualsiasi fonte e determina la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso” (Cons. St. 5870 del 2017).
Ciò sulla scorta generale di quanto precisato dall’Adunanza plenaria con la pronuncia n. 4 del 26 aprile 2018, secondo cui la previsione di cui all’art. 120 comma 2 bis è finalizzata a consentire la pronta definizione del giudizio prima che si giunga al provvedimento di aggiudicazione e, quindi, a definire la platea dei soggetti ammessi alla gara in un momento antecedente all’esame delle offerte e alla conseguente aggiudicazione. Il legislatore ha quindi inteso evitare che con l’impugnazione dell’aggiudicazione possano essere fatti valere vizi attinenti alla fase della verifica dei requisiti di partecipazione alla gara, il cui eventuale accoglimento farebbe regredire il procedimento alla fase appunto di ammissione, con grave spreco di tempo e di energie lavorative, oltre al pericolo di perdita di eventuali finanziamenti, il tutto nell’ottica dei principi di efficienza, speditezza ed economicità, oltre che di proporzionalità del procedimento di gara.
Tale norma pone evidentemente un onere di immediata impugnativa dei provvedimenti in questione, a pena di decadenza, non consentendo di far valere successivamente i vizi inerenti agli atti non impugnati; l’omessa attivazione del rimedio processuale entro il termine preclude al concorrente la possibilità di dedurre le relative censure in sede di impugnazione della successiva aggiudicazione, ovvero di paralizzare, mediante lo strumento del ricorso incidentale, il gravame principale proposto da altro partecipante avverso la sua ammissione alla procedura La specificazione contenuta già nel bando di gara secondo cui la cauzione provvisoria era da costituirsi all’atto della presentazione dell’offerta, non lascia spazio a differenti interpretazioni sulla sua natura di requisito essenziale di partecipazione, visto che il disciplinare stabiliva l’esclusione dalla gara in caso di mancata costituzione (per tutte, Cons. Stato, VI, 9 luglio 2018 n. 4180).
CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTI - LEGITTIMAZIONE AL RICORSO
La sentenza del 26 aprile 2018, n. 4 ha dato atto della consolidata giurisprudenza formatasi in subiecta materia e riferita alla categoria giuridica delle clausole "immediatamente escludenti" evidenziando il progressivo ampliamento del relativo perimetro operativo sì da includere anche clausole non afferenti ai requisiti soggettivi ma che incidono sulla formulazione dell'offerta, sia sul piano tecnico che economico laddove esse rendano (realmente) impossibile la presentazione di una offerta. Nella ricognizione all’uopo svolta sono state, invero, richiamate le:
a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (si veda Cons. Stato sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671);
b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così l'Adunanza plenaria n. 3 del 2001);
c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell'offerta (cfr. Cons. Stato sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980);
d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 21 novembre 2011 n. 6135; Cons. Stato, sez. III, 23 gennaio 2015 n. 293);
e) clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all'intero importo dell'appalto: Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222);
f) bandi contenenti gravi carenze nell'indicazione di dati essenziali per la formulazione dell'offerta (come ad esempio quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall'aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di "0" pt.);
g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011 n. 5421).
In tali ipotesi, in presenza cioè di clausole escludenti, dovendosi con tale predicato intendersi quelle che con assoluta certezza gli precludano l’utile partecipazione (cfr. AP n. 4 del del 26.4.2018), deve ritenersi legittimato alla contestazione giurisdizionale anche l'operatore che non abbia proposto la domanda partecipativa.
Non è, infatti, ragionevole pretendere, in siffatte evenienze, che il concorrente presenti l'offerta, destinata inesorabilmente all'esclusione, trattandosi di un onere formalistico ed inutile, ben potendo egli reagire immediatamente contro la (pretesa) illegittima formulazione del bando che, in relazione ai profili sopra evidenziati, impedisca di fatto una proficua partecipazione alla gara.
Di contro, previsioni per le quali l'interesse al ricorso nasce solo con gli atti che ne facciano applicazione, siano essi atti di esclusione del concorrente interessato o atti di aggiudicazione definitiva dell’appalto a terzi, devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura.
CLAUSOLE IMMEDIATAMANTE ESCLUDENTI – REALE POTENZIALITA’ LESIVA
L'onere di immediata impugnazione di un bando di concorso (e, più in generale, d'una lex specialis che regola una procedura concorsuale) è circoscritto al caso della contestazione di clausole riguardanti requisiti di partecipazione che siano ex se ostative all'ammissione dell'interessato o, al più, impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale, onere, perciò, escluso verso ogni altra clausola, dotata solo di astratta e potenziale lesività (delle determinazioni, cioè, non produttive di per sé di alcun pregiudizio certo ed immediato), la cui idoneità a produrre un'effettiva lesione potrebbe essere valutata unicamente all'esito della procedura, ove negativa per l'interessato (cfr. Cons. St., sez. VI, 7 marzo 2018 n. 1469; id., V, 8 aprile 2014 n. 1665; id., IV, 12 giugno 2013 n. 3261; id., V, 21 novembre 2011 n. 6135; ma anche questa Sezione, Tar Campania – Napoli, 9 luglio 2018, n.4541; id., sez. V, 5 settembre 2018 , n. 5380).
Il concetto è stato ribadito, con dovizia di argomentazioni, dalla decisione dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 4/2018, nella parte in cui, richiamando, senza discostarsi, la precedente decisione n. 9 del 25 febbraio 2014 e soprattutto la n. 1 del 2013, ha precisato, tra le altre cose, che: (i) i bandi di gara e di concorso e le lettere di invito vanno normalmente impugnati unitamente agli atti che di essi fanno applicazione, dal momento che sono questi ultimi ad identificare in concreto il soggetto leso dal provvedimento ed a rendere attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva dell'interessato; (ii) quale eccezione a quanto sopra stabilito, vi sono alcuni casi (riferibili anche al soggetto non partecipante) quali la contestazione in radice dell'indizione della gara o della sua mancata indizione, o l’impugnazione delle clausole immediatamente "escludenti" (quali le clausole che fissano in modo restrittivo i requisiti soggettivi di partecipazione o quelle che rendono impossibile la presentazione dell'offerta tecnica o di quella economica); (iii) la normativa attualmente vigente, come pure quella precedente, non consente “ di rinvenire elementi per pervenire all’affermazione che debba imporsi all’offerente di impugnare immediatamente la clausola del bando che prevede il criterio di aggiudicazione, ove la ritenga errata: versandosi nello stato iniziale ed embrionale della procedura, non vi sarebbe infatti né prova né indizio della circostanza che l’impugnante certamente non sarebbe prescelto quale aggiudicatario; per tal via, si imporrebbe all’offerente di denunciare la clausola del bando sulla scorta della preconizzazione di una futura ed ipotetica lesione, al fine di tutelare un interesse (quello strumentale alla riedizione della gara), certamente subordinato rispetto all’interesse primario (quello a rendersi aggiudicatario), del quale non sarebbe certa la non realizzabilità”; (iv) imporre l’immediata impugnazione di qualsiasi clausola del bando rischierebbe, tra le altre cose, di incentivare, in modo incontrollato, i ricorsi avverso prescrizioni del bando da parte delle offerenti che ritengano di potere prospettare critiche pur non rivestenti portata escludente; (v) in sintesi, con riferimento al vigente quadro legislativo (art. 120 comma 2 bis c.p.a.), deve trovare persistente applicazione l’orientamento secondo il quale le clausole non escludenti del bando vanno impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione considerato altresì che la postergazione della tutela avverso le clausole non escludenti del bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione (alla quale, secondo questo Collegio, è paragonabile l’avvenuta esclusione), secondo quanto già stabilito dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di matrice europea, perché non lo oblitera, ma lo adatta alla realtà dell’incedere del procedimento nella sua connessione con i tempi del processo.
IMPUGNAZIONE ATTI DI GARA - INTERESSE AL RICORSO – PARTECIPAZIONE ALLA PROCEDURA
Ai fini della perimetrazione del concetto di “clausola escludente”, occorre precisare che è suscettibile di assumere tale connotazione qualunque disposizione, contenuta nella lex specialis della gara, che, a prescindere dal suo contenuto (e cioè indipendentemente dal fatto che abbia ad oggetto un requisito soggettivo o un adempimento da assolvere contestualmente alla presentazione della domanda di partecipazione) e della fase di concreta operatività (se cioè finalizzata a selezionare i soggetti da ammettere alla gara o a condizionare le modalità di svolgimento del servizio/fornitura/lavoro oggetto di affidamento), sia tale da precludere la partecipazione dell’impresa interessata conseguentemente a contestarla, o comunque da giustificare una prognosi, avente carattere di ragionevole certezza, di esito infausto della sua eventuale partecipazione: è infatti evidente che, ricorrendo tali ipotesi, da un lato, l’impugnazione del provvedimento che sancisca formalmente l’esclusione o la mancata aggiudicazione sarebbe tardiva, essendo ormai cristallizzate le relative vincolanti premesse nella inoppugnata (ed inoppugnabile) lex specialis, dall’altro lato, la presentazione della domanda di partecipazione rappresenterebbe un adempimento superfluo, se non contraddittorio (con l’affermata inutilità della partecipazione), non presentando alcuna funzionalità rispetto al soddisfacimento dell’interesse perseguito (alla partecipazione e/o aggiudicazione della gara), il quale non potrebbe che avvenire, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, mediante la rinnovazione ab imis dell’iter procedimentale.
Per estensione (dei presupposti applicativi del suddetto orientamento e della relativa ratio), alla medesima conclusione deve pervenirsi nei casi in cui la clausola contestata, pur non inficiando la domanda di partecipazione né rendendo ex ante impossibile l’aggiudicazione della gara all’impresa ricorrente, incida – fino a vanificarlo - sull’interesse alla partecipazione e alla successiva aggiudicazione, ergo sulla motivazione dell’impresa ad impegnarsi nel confronto competitivo, nel senso di svuotare il bene della vita messo in gara dalla stazione appaltante di ogni concreta appetibilità: ciò che si verifica, ad esempio, qualora il prezzo a base d’asta sia inidoneo ad assicurare all’impresa (recte, a qualunque impresa) un minimo margine di remuneratività per il capitale impegnato nell’esecuzione della commessa o, addirittura, tale da imporre l’esecuzione della stessa in perdita, essendo evidente che l’Amministrazione, nel perseguimento del suo interesse all’ottenimento della prestazione alle condizioni (specialmente economiche) relativamente più favorevoli, deve contemperarlo con l’esigenza di garantire l’utilità effettiva del confronto concorrenziale.
Deve solo rilevarsi, prima di concludere sul punto, che il carattere “escludente” della clausola contestata (nel senso lato appena individuato), ai fini dell’accertamento della ammissibilità del ricorso (anche sotto il profilo della necessità di presentazione, quale strumento per radicare in capo alla ricorrente l’interesse alla sua proposizione, dell’istanza di partecipazione alla gara), deve essere verificato dallo specifico punto di vista dell’impresa ricorrente, dovendo accertarsi se l’efficacia della clausola medesima precluda la partecipazione della stessa alla gara e/o l’aggiudicazione a suo favore della concessione: ciò perché richiede, eventualmente, un requisito che l’impresa ricorrente non possiede, o un adempimento che essa non è in grado di porre in essere, o infine perché conforma le condizioni della commessa (sotto il profilo economico o esecutivo) in guisa tale da renderle non convenienti o non realizzabili, tenuto conto della sua specifica organizzazione imprenditoriale: per contro, la legittimità della clausola, anche sotto il profilo della effettiva incidenza concorrenziale della stessa (nel senso che non solo l’impresa ricorrente, ma anche tutte o, quantomeno, una parte rilevante delle altre imprese del settore siano sprovviste del requisito contestato, o impossibilitate a porre in essere l’adempimento richiesto, o prive di interesse alla partecipazione), appartiene evidentemente al merito della controversia.
CLAUSOLE IMMEDIATA IMPUGNAZIONE – CLAUSOLE IMMEDIATAMENTE ESCLUDENTI
Possono essere oggetto di immediata impugnazione (costituendo del resto quest’ultima un onere per la parte interessata) solo le clausole del bando di gara immediatamente escludenti o che comunque determinino l’imposizione di oneri palesemente incomprensibili, sproporzionati od abnormi a carico dei partecipanti alla gara. Per contro, le clausole del bando che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura (ex plurimis, Cons. Stato, Ad. plen. 26 aprile 2018, n. 4).
Il vago ed ipotetico interesse indicato dall’appellante, per contro, non è riconducibile alle ipotesi legittimanti delineate dalla giurisprudenza, ossia:
a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura concorsuale (Cons. Stato, IV, 7 novembre 2012, n. 5671);
b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (Cons. Stato, Ad. plen. 11 giugno 2001, n. 3);
c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara, ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (Cons. Stato, V, 24 febbraio 2003, n. 980);
d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso ed obiettivamente non conveniente (Cons. Stato, V, 21 novembre 2011, n. 6135; III, 23 gennaio 2015, n. 293);
e) clausole impositive di obblighi contra ius (quale la prestazione di una cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: Cons. Stato, II, 19 febbraio 2003, n. 2222);
f) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando di gara dei costi della sicurezza "non soggetti a ribasso" (Cons. Stato, III, 3 ottobre 2011, n. 5421).
Ciò premesso, ritiene il Collegio che il “bado di gara” di cui si discute sia tale solo sotto il profilo nominalistico, dovendo essere considerato, nella sostanza, una sorta di atto preparatorio di una gara futura, ancora non individuata in tutti i suoi elementi.
COMUNICAZIONE DI AGGIUDICAZIONE DEFINITIVA (76.5.A - 204.1B)
Il Collegio aderisce all’orientamento giurisprudenziale secondo cui: “La comunicazione di cui all’art. 76, comma 5, lett. a), d.lgs. n. 50 del 2016, che deve essere fatta d’ufficio immediatamente (e comunque non oltre gg. 5) da parte della Stazione Appaltante, nel riferirsi all’“aggiudicazione” (non ulteriormente qualificata), si riferisce all’atto conseguente all’approvazione dell’organo competente e non alla “proposta di aggiudicazione” (di cui all’art. 33) o “aggiudicazione provvisoria” secondo la terminologia del Codice previgente. La proposta di aggiudicazione, peraltro, fa nascere una mera aspettativa in capo all’interessato alla positiva definizione del procedimento stesso, in quanto in essa non si individua il provvedimento conclusivo della procedura di evidenza pubblica, avendo per sua natura un’efficacia destinata ad essere superata. Non a caso l’art. 204 del nuovo Codice Appalti sancisce espressamente l’inammissibilità della impugnazione della proposta di aggiudicazione di cui agli artt. 32 e 33 del medesimo d.lgs. n. 50 del 2016” (TAR Lazio, Roma, III 5 gennaio 2018 n. 107).
ONERE DELLA IMMEDIATA IMPUGNAZIONE - CLAUSOLE ESCLUDENTI
Nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici, sussista l’onere di immediata impugnazione del bando, si è affermato il seguente principio di diritto: le clausole del bando di gara che non rivestano portata escludente devono essere impugnate unitamente al provvedimento lesivo e possono essere impugnate unicamente dall’operatore economico che abbia partecipato alla gara o manifestato formalmente il proprio interesse alla procedura.
Sebbene si tratti di principio che dà continuità al precedente indirizzo interpretativo maggioritario (affermato dalle fondamentali pronunce dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, 29 gennaio 2003, n. 1 e id., 7 aprile 2011, n. 4, seguite da altra pronuncia della stessa Adunanza plenaria, 25 febbraio 2014, n. 9), è noto che esso è stato variamente interpretato dalla giurisprudenza successiva a proposito della, maggiore o minore, portata da attribuire alla nozione di “clausole del bando immediatamente escludenti”, comprendendovi, tra l’altro, anche quelle attinenti –come ritenuto nella sentenza appellata- alla formulazione dell’offerta, sia sul piano tecnico che economico (cfr. Cons. Stato, IV, 7 novembre 2012, n. 5671; Cons. Stato, III, 23 gennaio 2015, n. 293; ed ancora Cons. Stato, IV, 11 ottobre 2016, n. 4189, Cons. Stato, V, 29 novembre 2005, n. 6773, Cons. Stato, V, 26 giugno 2017, n. 3110, Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 8 agosto 2016, n. 258, in tale ordine citate ed illustrate nella memoria difensiva del Comune di Miglionico, al fine di sostenere l’inammissibilità del ricorso della Bunder, per non avere questa tempestivamente impugnato il bando ed il disciplinare di gara).
Tuttavia, con la citata decisione n. 4/2018 l’Adunanza plenaria ha ribadito, non solo che deve restare escluso l’onere di immediata impugnazione delle prescrizioni del bando riguardanti il metodo di gara, il criterio di aggiudicazione e la valutazione dell’anomalia (come già affermato nel precedente n. 1/2003), ma anche che, con riferimento alla vigente legislazione (d.lgs. n. 50 del 18 aprile 2016, siccome modificato dal d.lgs. n. 56 del 19 aprile 2017), vanno immediatamente impugnate soltanto le clausole del bando preclusive della partecipazione o tali da impedire con certezza la stessa formulazione dell’offerta.
Entrambe tali eventualità sono da escludere nel caso di specie, sia per la partecipazione di B. alla procedura di gara –con offerta, ammessa, valutata dalla commissione di gara e collocata in graduatoria, sia pure in posizione deteriore rispetto a quella di N.- sia per le censure prospettate dalla ricorrente contro le disposizioni della legge di gara, ma senza dedurre che queste avrebbero impedito, a tutte le imprese concorrenti e/o soltanto alla B., di formulare un’offerta tecnica corretta e consapevole (in particolare, quanto alle caratteristiche tecnico-qualitative della fornitura, così come delineate dal capitolato speciale d’appalto e come fatte oggetto di valutazione dall’art. 18 del disciplinare di gara).
TERMINE PER L’IMPUGNAZIONE DEI PROVVEDIMENTI DI AMMISSIONE O DI ESCLUSIONE DALLA PROCEDURA - NON È DIFFERITO DEL NUMERO DI GIORNI NECESSARI AD ACCEDERE AGLI ATTI DELLA PROCEDURA
Il termine per l’impugnazione dei provvedimenti di ammissione o di esclusione dalla procedura non è differito del numero di giorni necessari ad accedere agli atti della procedura; questi, anzi, vanno compresi nei giorni previsti dall’art. 120, comma 2-bis, Cod. proc. amm. per procedere all’impugnazione dei suddetti provvedimenti qualora l’operatore economico ritenga indispensabile conoscere gli atti della procedura e, per questo, presenti tempestiva istanza di accesso agli atti di gara.
MEPA - TERMINI PROPOSIZIONE RICORSO AVVERSO AGGIUDICAZIONE
Nell’ambito di una RDO Mepa per valutare la tempestività del ricorso va considerata la data - registrata in piattaforma - in cui la ricorrente ha effettuato “il prelievo” della comunicazione di aggiudicazione.
IMPUGNAZIONE ESCLUSIONE - DECORRENZA TERMINI - IMPRESA PRESENTE ALLE OPERAZIONI DI GARA MEDIANTE RAPPRESENTANTE
Ove, in ipotesi, si ritenesse applicabile l’art. 120, comma 2 bis, secondo l’ormai orientamento consolidato del Consiglio di Stato, la predetta disposizione non implica l’assoluta inapplicabilità del generale principio sancito dagli artt. 41, comma 2 e 120, comma 5, ultima parte, del c.p.a., per cui, in difetto della formale comunicazione o della mancata pubblicazione sulla piattaforma telematica della stazione appaltante di un provvedimento impugnabile, il termine decorre, comunque, dal momento dell’intervenuta piena conoscenza, da qualsiasi fonte, della motivazione e della lesività del provvedimento (Cons. Stato, Sez. III, 13 dicembre 2017, n. 5870; Cons. Stato, Sez. VI, 9 luglio 2018, n. 4180, Cons. Stato, Sez. III, 17 settembre 2018, n. 5434).
La contestazione, meramente labiale, della qualità di rappresentante dell’impresa ricorrente del Sig. …, sollevata dal difensore di quest’ultima nell’udienza camerale del 25 settembre 2018, non consente un diverso esito del giudizio
Il Collegio è consapevole che su tale questione si registrano due opposti orientamenti del Consiglio di Stato.
I. 1 Per un primo orientamento, onde integrare il requisito della piena conoscenza ut supra delineato, è necessario che alla seduta di gara sia presente il legale rappresentante dell’impresa concorrente o un soggetto munito di procura rilasciata allo scopo di fargli assumere la rappresentanza della stessa, non essendo sufficiente, invece, la mera delega a presenziare alle operazioni di gara senza lo specifico conferimento di poteri rappresentativi (Cons. Stato, Sez. V, 27 settembre 2017, n. 6088; Cons. Stato, Sez. VI, 13 dicembre 2011, n. 6531).
I.2 Di contro, per un diverso orientamento (che questo Collegio condivide), a prescindere dall’esistenza di un mandato formale o della specifica carica sociale rivestita, occorre esaminare l’effettivo ruolo svolto del delegato in sede di seduta di gara. Ove tale soggetto non si sia limitato ad assistere alle operazioni, ma abbia attivamente partecipato alla seduta instaurando un vero e proprio contraddittorio con la Commissione contestandone le determinazioni, deve qualificarsi come un rappresentante dell’impresa non potendosi definire un mero nuncius (Cfr. esattamente in termini Cons. Stato, Sez. V, 14 maggio 2013, n. 2614 e Cons. Stato, Sez. IV, 17 febbraio 2014, n. 740).
RITO APPALTI – ESCLUSIONI – DIES A QUO –PIENA CONOSCENZA – INDIVIDUAZIONE
L’art. 120, comma 2 bis, c.p.a. non implica l’assoluta inapplicabilità del generale principio sancito dagli artt. 41, comma 2 e 120, comma 5, ultima parte, c.p.a., per cui, in difetto della formale comunicazione dell’atto o in mancanza di pubblicazione di un autonomo atto di esclusione sulla piattaforma telematica della stazione appaltante il termine decorre, comunque, dal momento dell’intervenuta piena conoscenza del provvedimento da impugnare, conoscenza che per i provvedimenti di esclusione è insita nella percezione della sua adozione da parte dell’impresa esclusa, tanto più se acquisita congiuntamente a quella delle relative ragioni determinanti.
AMMISSIONE ED ESCLUSIONE - ONERE IMMEDIATA IMPUGNAZIONE – SUBORDINATO ALLA PUBBLICAZIONE DEGLI ATTI DELLA PROCEDURA (29.1)
L’onere di immediata impugnativa dell’altrui ammissione alla procedura di gara senza attendere l’aggiudicazione, previsto dalla disposizione di cui all’art. 120, comma 2 bis, c.p.a., è subordinato alla pubblicazione degli atti della procedura ai sensi dell’art. 29, comma 1, d.lgs. n. 50 del 2016; in assenza di quest’ultima, anche se dovesse registrarsi la presenza del delegato dell’impresa alla seduta di gara, non può essere configurato un valore provvedimentale autonomo all’atto di ammissione alla procedura, sicché l’impugnazione dev’essere svolta soltanto al momento dell’aggiudicazione.
RICORSO CUMULATIVO – PRESUPPOSTI: PRESENTAZIONE DI OFFERTE PER PIÙ LOTTI; IDENTICI MOTIVI DI RICORSO; GARA IN LOTTI
Il ricorso e i relativi motivi aggiunti sono inammissibili in quanto la ditta ricorrente ha impugnato con unico ricorso quattro procedure di affidamento distinte. Nel caso di specie, non si concretizza la fattispecie di gara unica suddivisa in più lotti da parte della stazione appaltante, tenuto conto che ogni procedura è identificata con un codice l’uno diverso dall’altro. In tal senso, non può trovare applicazione l’art. 120, c. 11-bis, c.p.a., il quale, prevedendo che “Nel caso di presentazione di offerte per più lotti l'impugnazione si propone con ricorso cumulativo solo se vengono dedotti identici motivi di ricorso avverso lo stesso atto”, postula la necessaria presenza di un’unica gara suddivisa in lotti. Orbene, nella fattispecie oggetto di esame non risulta esservi né una gara unica né alcuna divisione in lotti, essendo tutte le procedure indipendenti tra loro e identificate con codici differenti;
"BLOCCO DELLA GRADUATORIA" - RATIO (95.15)
Dispone il comma 15 del citato art. 95 che “Ogni variazione che intervenga, anche in conseguenza di una pronuncia giurisdizionale, successivamente alla fase di ammissione, regolarizzazione o esclusione delle offerte non rileva ai fini del calcolo di medie nella procedura, né per l'individuazione della soglia di anomalia delle offerte.”
Come rilevato dal Giudice di appello con particolare riguardo al coordinamento tra tale disposizione e l’art. 120, co. 2 bis, cod. proc. amm., “…il concorrente, il quale intenda contestare l’ammissione (o l’esclusione) di un altro concorrente – laddove ovviamente, come nel caso di specie, tale interesse sia attuale, immediato e concreto, per essere stata la determinazione della soglia immediatamente successiva all’ammissione dei concorrenti – debba farlo immediatamente, a nulla rilevando la finalità per la quale intenda farlo, come, appunto, per l’ipotesi in cui egli persegua, così facendo, l’interesse – in sé del tutto legittimo – di potere incidere sul calcolo delle medie e della soglia di anomalia, erroneamente determinato sulla base di una ammissione – o di una esclusione – illegittima.
Anzi, proprio in questa ipotesi, l’immediata impugnativa dell’ammissione appare necessaria, perché l’art. 95, comma 15, del d. lgs. n. 50 del 2016 ha inteso evitare che, a soglia già cristallizzatasi (c.d. blocco della graduatoria), un concorrente possa insorgere contro l’ammissione di un altro non già principaliter per contestarne la legittima ammissione alla gara, in assenza di un valido requisito, ma solo per rimettere in discussione il calcolo delle medie e la soglia di anomalia effettuato sulla platea dei concorrenti, spesso molto ampia, ponendo i risultati della gara in una situazione di perenne incertezza e determinando, così, la caducazione, a distanza di molto tempo trascorso e in presenza di molte risorse impiegate, dell’aggiudicazione già intervenuta…” (cfr. Cons. Stato n. 2579/2018 cit.).
TERMINE IMPUGNAZIONE - IRRILEVANZA PROPOSIZIONE ISTANZA DI ACCESSO AGLI ATTI
La giurisprudenza amministrativa ha avuto modo di chiarire che “il termine per l’impugnazione del ricorso ha carattere decadenziale e non può essere pertanto interrotto o sospeso per effetto di un’istanza di accesso proposta da parte ricorrente, che finirebbe con l’aggirare la ratio acceleratoria del rito di cui all’art. 120 commi 2 bis e 6 bis, c.p.a., in conformità d’altro canto con l’orientamento già espresso dalla giurisprudenza amministrativa con il rito appalti previgente” (cfr. TAR Calabria- Catanzaro sentenza n. 383/2017).
Il Collegio osserva, inoltre, che come riconosciuto anche dallo stesso Consorzio ricorrente, alla data del 20 febbraio 2018, il delegato dello stesso era presente alla seduta pubblica e, in quell’occasione, apprendeva dell’esclusione dalla gara ed era messo a conoscenza delle ragioni poste a fondamento della contestata esclusione.
Sul punto il Consiglio di Stato ha, di recente, chiarito che in caso di esclusione “la ditta concorrente ben conosce la propria domanda di partecipazione alla gara corredata da tutti gli atti, e quindi è sicuramente in grado di comprendere le ragioni dell'esclusione sin dalla seduta pubblica, mentre nel caso dell’ammissione delle altre ditte concorrenti deve poter conoscere la motivazione del provvedimento di ammissione alla luce della documentazione prodotta per la partecipazione alla gara per poter desumere eventuali profili di illegittimità dell'atto” (Cons. Stato, sez. III, 27 marzo 2018 n. 1902).
Tale orientamento, che il Collegio ritiene di condividere, è peraltro in linea con la ratio acceleratoria delle norme processuali previste dall’art. 120 c.p.a., tra cui quella di cui al comma 2 bis, volta alla sollecita definizione del processo in una materia rilevante come quella degli appalti, in piena conformità con il principio di ragionevolezza dei tempi del processo e, in ultima istanza, del principio di pienezza ed effettività della tutela giurisdizionale, che trova eco nell’art. 24 e 113 Cost., oltre che nell’art. 1 c.p.a. (T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, n. 696/2017).
IMMEDIATA IMPUGNAZIONE DEL BANDO - REQUISITO FATTURATO - LIMITI
Le censure del presente ricorso volte a contestare la scelta della procedura negoziata in luogo della gara pubblica, la durata dell’affidamento e il criterio del minor prezzo, non sono preclusive della possibilità della società ricorrente di prendere parte alla procedura, né comprendono oneri incomprensibili o spropositati. La loro impugnazione avrebbe potuto avere rilevanza ai fini del giudizio di merito soltanto con l’atto finale del procedimento (ovvero l’atto di affidamento del servizio), solo con il quale sarebbe reso manifesto l’interesse ad agire.
Anche la subordinata censura che contesta il requisito della capacità economica e finanziaria minima delle aspiranti – consistente nell’aver espletato il servizio di trasporto scolastico a favore di enti pubblici o privati per un importo minimo di euro 240.000,00, IVA inclusa, riferito agli ultimi tre esercizi finanziari – non appare immediatamente riferita a una clausola di esclusione, considerato che il calcolo del fatturato va compiuto non soltanto con i ricavi realizzati, ma anche con le commesse in itinere e la sua definizione non può che essere oggetto di verifica da parte della commissione di gara. Ad ogni modo, come rileva la difesa del Comune di Cervaro nel formulare l’eccezione d’inammissibilità sul punto, attiene alle scelte delle stazioni appaltanti richiedere un determinato requisito di capacità economica; la censura appare formulata molto genericamente nel sindacare una valutazione di merito dell’amministrazione, laddove non mette in evidenza macroscopici vizi logici ma si limita ad affermazioni apodittiche e indimostrate, rilevando che il requisito “non trova giustificazioni…né nella tipologia del servizio…né nella ravvisata esigenza di fronteggiare positivamente eventuali richieste del comune di aumento delle prestazioni”. Ma la giurisprudenza italiana ed europea, condivisa dal Collegio e richiamata nelle memorie dell’Amministrazione, appare granitica nel rimettere alla facoltà degli enti appaltanti l’indicazione del minimo di capacità economico-finanziaria richiesta alle imprese concorrenti in procedure per affidamenti pubblici. Scelta, in fattispecie, riguardo alla quale non emergono evidenti vizi logici nella censura della ricorrente. Censura inammissibile anche per il suo carattere generico.
CONTESTAZIONE CLAUSOLE DEL BANDO CHE NON ABBIANO PORTATA ESCLUDENTE - ILLEGITTIMITA'
Con particolare riferimento alla vigente disciplina dettata dal d.lgs. n. 50/2016 e alle novità normative dalla medesima introdotte (quali, ad esempio, la straordinaria legittimazione processuale riconosciuta all’ANAC e il rito cd. “super-accelerato”), che secondo il collegio remittente avrebbero potuto giustificare una revisione del precedente orientamento, l’Adunanza Plenaria, con la decisione n. 4/2018, ha, all’opposto, affermato che:
1) “va ribadito il consolidato orientamento secondo il quale l’operatore del settore che non abbia presentato domanda di partecipazione alla gara non è legittimato a contestare le clausole di un bando di gara che non rivestano nei suoi confronti portata escludente, precludendogli con certezza la possibilità di partecipazione: e ciò, sia con riferimento alla previgente legislazione nazionale in materia di contratti pubblici, che nell’attuale quadro normativo”, tenuto conto che:
“a) la presentazione di una domanda di partecipazione alla gara non sembra imporre all’operatore del settore alcuno spropositato sacrificio;
b) in alcun modo la detta domanda di partecipazione può pregiudicare sul piano processuale il medesimo, tenuto conto della granitica giurisprudenza secondo cui (si veda ancora di recente Consiglio di Stato, sez. III, 10 giugno 2016, n. 2507 Consiglio di Stato, sez. V, 22 novembre 2017, n. 5438) “nelle gare pubbliche l'accettazione delle regole di partecipazione non comporta l'inoppugnabilità di clausole del bando regolanti la procedura che fossero, in ipotesi, ritenute illegittime, in quanto una stazione appaltante non può mai opporre ad una concorrente un'acquiescenza implicita alle clausole del procedimento, che si tradurrebbe in una palese ed inammissibile violazione dei principi fissati dagli artt. 24, comma 1, e 113 comma 1, Cost., ovvero nella esclusione della possibilità di tutela giurisdizionale”;
c) la situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, è ricollegabile unicamente alla partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione: la procedura cui non si sia partecipato è res inter alios acta e non legittima l’operatore economico ad insorgere avverso la medesima (Adunanza plenaria 7 aprile 2011, n. 4, Adunanza plenaria 25 febbraio 2014, n. 9)”;
2) “anche con riferimento al vigente quadro legislativo, debba trovare persistente applicazione l’orientamento secondo il quale le clausole non escludenti del bando vadano impugnate unitamente al provvedimento che rende attuale la lesione (id est: aggiudicazione a terzi), considerato altresì che la postergazione della tutela avverso le clausole non escludenti del bando, al momento successivo ed eventuale della denegata aggiudicazione, secondo quanto già stabilito dalla decisione dell’Adunanza plenaria n. 1 del 2003, non si pone certamente in contrasto con il principio di concorrenza di matrice europea, perché non lo oblitera, ma lo adatta alla realtà dell’incedere del procedimento nella sua connessione con i tempi del processo”.
(..) Devono pertanto ritenersi impugnabili (soltanto) unitamente all'atto applicativo, le clausole, come quella in esame, riguardanti la determinazione del costo della manodopera, anche se idonea ad influire sulla determinazione dell’impresa relativa alla predisposizione della proposta economica o tecnica, ed in genere le clausole sulla formulazione dell’offerta, i criteri di valutazione delle prove concorsuali, i criteri di determinazione delle soglie di anomalie dell'offerta, nonché le clausole che precisano l'esclusione automatica dell’offerta anomala.
Sempre in giurisprudenza si è sostenuto che “in tema di valutazione della anomalia dell’offerta anche nella vigenza del nuovo Codice dei contratti pubblici vige il principio secondo cui i costi medi della manodopera, indicati nelle tabelle ministeriali, non assumono valore di parametro assoluto ed inderogabile, ma svolgono una funzione indicativa, suscettibile di scostamento in relazione a valutazioni statistiche ed analisi aziendali evidenzianti una particolare organizzazione in grado di giustificare la sostenibilità di costi inferiori; esprimendo solo una funzione di parametro di riferimento è allora possibile discostarsi da tali costi, in sede di giustificazioni dell’anomalia, sulla scorta di una dimostrazione puntuale e rigorosa” (cfr. ex multis TAR Bolzano, 30 ottobre 2017 n. 299; Tar Lazio, Sez. I ter, 30 dicembre 2016, n. 12873). (..) Ed ancora “la scelta del contratto collettivo da applicare rientra nelle prerogative di organizzazione dell’imprenditore e nella libertà negoziale delle parti, col solo limite che esso risulti coerente con l’oggetto dell’appalto (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 1.3.2017, n. 932 e 12.5.2016, n. 1901; Sez. III, 10.2.2016, n. 589).
LEGITTIMAZIONE AL RICORSO IN CAPO ALL'ESCLUSO - INSUSSISTENZA
La mera partecipazione (di fatto) alla gara non è sufficiente ad attribuire la legittimazione al ricorso. La situazione legittimante costituita dall’intervento nel procedimento selettivo deriva, infatti, da una qualificazione di carattere normativo, che postula il positivo esito del sindacato sulla ritualità dell’ammissione del soggetto ricorrente alla procedura selettiva. Pertanto, la definitiva esclusione o l’accertamento della illegittimità della partecipazione alla gara impedisce di assegnare al concorrente la titolarità di una situazione sostanziale che lo abiliti ad impugnare gli esiti della procedura selettiva. Tale esito rimane fermo in tutti i casi in cui l’illegittimità della partecipazione alla gara è definitivamente accertata, sia per inoppugnabilità dell’atto di esclusione, sia per annullamento dell’atto di ammissione. In definitiva, la legittimazione al ricorso spetta solo a chi partecipa “legittimamente” alla gara, avendone i requisiti, ergo non può contestare la gara il concorrente definitivamente escluso, che non ha impugnato l’atto di esclusione, o il cui ricorso contro l’esclusione sia stato respinto dal G.A., come accaduto nel caso di specie.
PROCEDURE TELEMATICHE - PROVVEDIMENTO DI AMMISSIONE - TERMINE IMPUGNAZIONE
Come recentemente evidenziato da questo giudice (cfr. Consiglio di Stato, Sez. VI, n. 4180 del 9 luglio 2018), “la disposizione in parola (art. 120, comma 2 bis, c.p.a.: n.d.e.) non implica l’assoluta inapplicabilità del generale principio sancito dagli artt. 41, comma 2 e 120, comma 5, ultima parte, del c.p.a., per cui, in difetto della formale comunicazione dell’atto - o, per quanto qui interessa, in mancanza di pubblicazione di un autonomo atto di ammissione sulla piattaforma telematica della stazione appaltante - il termine decorre, comunque, dal momento dell’intervenuta piena conoscenza del provvedimento da impugnare, ma ciò a patto che l’interessato sia in grado di percepire i profili che ne rendano evidente la lesività per la propria sfera giuridica in rapporto al tipo di rimedio apprestato dall’ordinamento processuale. In altri termini, "la piena conoscenza dell’atto di ammissione della controinteressata, acquisita prima o in assenza della sua pubblicazione sul profilo telematico della stazione appaltante, può dunque provenire da qualsiasi fonte e determina la decorrenza del termine decadenziale per la proposizione del ricorso" (Cons. St. 5870 del 2017)”.
Il collegio, infatti, aveva avuto modo di rilevare che alla seduta del Seggio di gara, alla quale era presente un rappresentante dell’impresa interessata, era stata data lettura integrale dei precedenti verbali, compreso di quello di una seduta pregressa, recante la motivata declaratoria della “non accettabilità” delle offerte della medesima società, che la stazione appaltante, con la determina poi gravata dinanzi al TAR, si era limitata a recepire e confermare.
RICORSO AVVERSO AGGIUDICAZIONE - TERMINE - POSSIBILE PROROGA 15 GIORNI (76)
Sulla scorta di tali coordinate ermeneutiche si è, dunque, affermato che, in presenza di presunti vizi dell’actio amministrativa prodromici alla emanazione del provvedimento lesivo costituito dalla aggiudicazione:
- il termine per l’impugnativa di cui all’articolo 120, comma 5, c. p.a. decorre dalla ricezione da parte del concorrente della comunicazione di cui all’articolo 79 del previgente codice, che corrisponde nella sua parte essenziale all’articolo 76 del d.lgs. 50/16;
- la mancanza, nella comunicazione di aggiudicazione trasmessa dalla stazione appaltante, di elementi sufficienti per formulare censure di legittimità onera la parte interessata di diligentemente e tempestivamente attivarsi per acquisire una compiuta conoscenza degli atti di gara, attraverso gli strumenti normativamente contemplati (in particolare, l’accesso semplificato previsto dall’art. 76, comma 2, lett. b)), al fine di evitare l’inutile decorso del termine a pena di decadenza per proporre l’impugnazione in sede giurisdizionale (CdS, V, 23 gennaio 2018, n. 421);
- individuare, di contro, il dies a quo nel momento in cui è conosciuto il vizio che inficia l’aggiudicazione all’esito dell’accesso agli atti procedimentali, “renderebbe mutevole e in definitiva incerto il momento in cui gli atti di gara siano divenuti inoppugnabili, e dunque il momento in cui l’esito di questa possa ritenersi consolidato. Da questa notazione emerge come una simile ricostruzione non possa essere accettata, per via dell’elevato tasso di incertezza sulle procedure di affidamento di contratti pubbliche che essa produrrebbe, ed a tutela del quale è posto il termine a pena di decadenza per proporre il ricorso giurisdizionale (che è addirittura dimezzato, ex art. 120, comma 2, cod. proc. amm., a conferma delle esigenze di celerità che permeano il settore dei contratti pubblici, pur nel rispetto del diritto di difesa dell’operatore economico)” (CdS, V, 27 aprile 2017, n. 1953);
- il termine decadenziale di trenta giorni può – al più, e nelle ipotesi di comunicazione del solo “dispositivo” del provvedimento di aggiudicazione, privo di supporto motivazionale - essere “incrementato di un numero di giorni pari a quello necessario affinché il soggetto (che si ritenga) leso dall’aggiudicazione possa avere piena conoscenza del contenuto dell’atto e dei relativi profili di illegittimità, laddove questi non fossero oggettivamente evincibili dalla richiamata comunicazione e – comunque – entro il limite dei dieci giorni fissati dall’art. 79, comma 5-quater, del previgente Codice degli appalti fissa per esperire la particolare forma di accesso - semplificato ed accelerato - ivi disciplinata” (CdS, III, 21 marzo 2016, n. 1143; Id. id., 5830/2014; Id., id., 4432/2014; TAR Lombardia, IV, 445/17).
I principi sopra richiamati vanno reiterati anche nel nuovo contesto normativo, ove:
- lo strumento “accelerato” all’uopo contemplato per la acquisizione della piena conoscenza degli atti di gara e delle caratteristiche essenziali della offerta selezionata è costituito (oltre che dall’accesso ex art. 53) dalla procedura semplificata di cui all’art. 76, comma 2, d.lgs. 50/2016, con il termine di 15 giorni ivi contemplato per il soddisfacimento delle ragioni ostensive del concorrente;
- il termine di impugnazione può, dunque e al più, essere incrementato di un numero di giorni pari a quello che si è reso necessario per acquisire conoscenza delle risultanze procedimentali, entro il limite massimo di quindici giorni previsto dalla citata norma.
Implicito corollario di quanto sopra è che l’impresa interessata dimostri di avere diligentemente assolto all’onere, su di essa incombente successivamente alla comunicazione ex art. 76 d.lgs. 50/2016, di tempestiva utilizzazione degli strumenti normativamente contemplati per acquisire plena cognitio degli atti di gara, onde consapevolmente esercitare (an) ovvero articolare (quid) e modulare (quomodo) le proprie indefettibili guarentigie difensive in sede giurisdizionale.
RICORSO - LEGITTIMAZIONE ANCHE PER I NON CONCORRENTI
Al di fuori delle ipotesi tassativamente individuate dalla giurisprudenza, resta fermo il principio per cui, nelle controversie riguardanti l’affidamento dei contratti pubblici, la legittimazione al ricorso spetta esclusivamente ai soggetti partecipanti alla gara, poiché solo da tale circostanza deriva il riconoscimento di una posizione sostanziale differenziata e meritevole di tutela. Schematizzando, può dirsi che la legittimazione al ricorso deve essere correlata ad una situazione differenziata e dunque meritevole di tutela, in modo certo, per effetto della partecipazione alla stessa procedura oggetto di contestazione e che chi volontariamente e liberamente si è astenuto dal partecipare ad una selezione non è dunque legittimato a chiederne l’annullamento ancorchè vanti un interesse di fatto a che la competizione, per lui res inter alios, vanga nuovamente bandita. A tale regola generale può derogarsi, per esigenze di ampliamento della tutela della concorrenza, solo in tre ipotesi, e cioè allorchè : a) si contesti in radice l’indizione della gara; b) all’inverso, si contesti che una gara sia mancata, avendo l’Amministrazione disposto l’affidamento in via diretta del contratto; c) si impugnino direttamente le clausole del bando assumendo che le stesse siano immediatamente escludenti.
DECORRENZA TERMINI - IMPUGNAZIONE AGGIUDICAZIONE
Con riferimento alla comunicazione dell'aggiudicazione di una gara di appalto, ai sensi dell’art. 79, comma 5, del previgente codice dei contratti pubblici, la cui disposizione è sostanzialmente analoga a quella di cui all’art. 76 del D. Lgs. n. 50 del 2016, la giurisprudenza ha avuto modo di sottolineare che la previsione deve essere coordinata con le regole generali in materia di termine per proporre ricorso, ed in particolare con la "conoscenza" cui si riferisce il parimenti citato art. 120, comma 5, del codice del processo amministrativo (ex multis Cons. Stato, V, 1 agosto 2016, n. 3451; 3 febbraio 2016, n. 408, 13 marzo 2014, n. 1250; VI, 1 aprile 2016, n. 1298).
Detto orientamento è stato condiviso dalla Corte di Giustizia (sentenza 8 maggio 2014, in causa C-161/13), secondo cui l'art. 120 deve essere interpretato nel senso che il termine di trenta giorni per l'impugnativa del provvedimento di aggiudicazione non decorre sempre e comunque dal momento della comunicazione di cui all'articolo 79 citato, ma, nel caso in cui emergano vizi riferibili ad atti diversi da quelli comunicati dalla stazione appaltante, dal giorno in cui l'interessato abbia avuto piena ed effettiva conoscenza, proprio in esito all'accesso, degli atti e delle vicende fino ad allora rimasti non noti. (..) correttamente i primi giudici hanno fatto decorrere il termine per l’impugnazione dal momento in cui l’Amministrazione, a seguito dell’istanza di accesso, ha reso effettivamente disponibili e conoscibili gli atti della procedura.
Pareri tratti da fonti ufficiali
Il termine per impugnare una gara decorre dalla notifica o comunque dalla conoscenza dell’atto lesivo da parte dell’interessato ed è stabilito a pena di decadenza, vale a dire 30 giorni, dimezzato rispetto a quello ordinario di 60 giorni in forza della previsione di cui all’art. 120, comma 5, D.lgs. n. 104/2010 (c.d. Codice del processo amministrativo). Si chiede se tale termine è interrotto nel periodo di sospensione feriale del mese di agosto .