Giurisprudenza e Prassi

DINIEGO PARZIALE SUBAPPALTO - ECCESSIVO RIBASSO IMPOSTO AL SUBAPPALTATORE - DISAPPLICAZIONE DELLA NORMA LEGITTIMA (105.14)

TAR LOMBARDIA BS SENTENZA 2022

Si rappresenta in ricorso, il giudice comunitario, “ha stabilito che è illegittima e contraria alle direttive comunitarie una norma nazionale che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione. Con la conseguenza che il limite del ribasso del 20% contenuto nell’art. 105, comma 14, del d.lgs. n. 50/2016, e prima ancora nell’art. 118, comma 4, d.lgs. n. 163/2006 non è più applicabile nella fattispecie in esame, riferendosi ad un appalto sopra soglia comunitaria e, quindi, soggetto alle disposizioni comunitarie”.

Le sentenze della Corte di Giustizia, seguita la ricorrente, sono direttamente e immediatamente vincolanti nell’ordinamento interno degli Stati dell’Unione, per cui le norme anche primarie che con quelle contrastino devono essere disapplicate, tanto dall’autorità giurisdizionale, quanto dai soggetti pubblici, e tale è l’ANAS S.p.A., quale stazione appaltante di un’opera pubblica: pertanto “il limite del 20% per l’affidamento dei subappalti nell’ambito degli appalti sopra soglia comunitaria non sussiste più” e “il diniego al subappalto per la sola circostanza che si sia superato il limite del 20% di ribasso è illegittimo, in quanto è venuto meno (…) il divieto di superamento di detto ribasso”.

Con sentenza 19 novembre 2021, n. 975, la Seconda Sezione di questa Sede ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia, richiamando il principio secondo cui, in materia di appalti, rientrano ordinariamente nella giurisdizione del giudice ordinario le controversie aventi ad oggetto tutti gli atti della serie negoziale successivi alla stipulazione del contratto, e includendovi anche il ricorso avverso il diniego di autorizzazione al subappalto.

Avverso tale decisione è stato interposto appello, accolto dal Consiglio di Stato con sentenza 11 gennaio 2022, n. 171, della V Sezione, che ha rimesso nuovamente la controversia al primo giudice: il ricorso è stato quindi costì riassunto, naturalmente riproponendo le medesime censure, e viene qui deciso con decisione in forma semplificata di accoglimento, come di seguito motivata.

Invero, la citata sentenza 27 novembre 2019 della Corte stabilisce la regola per cui “la direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dev’essere interpretata nel senso che: … essa osta a una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, che limita la possibilità di ribassare i prezzi applicabili alle prestazioni subappaltate di oltre il 20% rispetto ai prezzi risultanti dall’aggiudicazione”.

La normativa nazionale in questione era appunto quella italiana, e la previsione rilevante era all’epoca, come già ricordato, l’art. 118, IV comma, del d.lgs. n. 163/2006, poi sostituito dall’analogo art. 105, XIV comma, del d.lgs. n. 50/2016.

Ebbene, come, pur laconicamente, osserva parte ricorrente – e nulla ha opposto la parte resistente, almeno in entrambe le fasi del giudizio di I grado - le sentenze della Corte di giustizia dell’Unione europea hanno il valore di fonte del diritto comunitario nella interpretazione delle norme comunitarie e nella individuazione degli ambiti di applicazione delle stesse, con efficacia immediata e diretta nel nostro ordinamento.

Ciò, anzitutto, comporta che la non applicazione della disposizione interna, contrastante con l'ordinamento comunitario, costituisce un potere-dovere anzitutto per il giudice (conf. C.d.S. VI, 11 novembre 2019, n.7874; conf. ex multis, id. 3 maggio 2019, n. 2890; V, 28 febbraio 2018, n. 1219), così da realizzare la piena applicazione delle norme comunitarie, di rango preminente rispetto a quelle dei singoli Stati membri: “la pronuncia pregiudiziale della Corte di giustizia crea l'obbligo del giudice nazionale di uniformarsi ad essa e l'eventuale violazione di tale obbligo vizierebbe la sentenza secondo la disciplina dell'ordinamento interno e, al contempo, darebbe luogo a una procedura di infrazione nei confronti dello stato di cui quel giudice è organo” (C.d.S. VI, 7874/2019 cit.).

Inoltre, sempre la condivisibile giurisprudenza maggioritaria stabilisce che non è solo l'autorità giudiziaria a dover così operare, poiché la disapplicazione è un obbligo per lo Stato membro in tutte le sue articolazioni e, quindi, anche per gli apparati amministrativi che, attraverso i suoi funzionari, siano chiamati ad applicare la norma interna contrastante con il diritto euro – unitario, in particolare qualora tale conflitto sia stabilito da una fonte univoca, quale appunto le sentenze della Corte (si tratta di una conclusione risalente, in sede europea, già a Corte di Giustizia delle Comunità europee, 22 giugno 1989, C-103/88 e poi a Corte di Giustizia dell'Unione europea 24 maggio 2012, C-97/11; per la Corte costituzionale alla sentenza 21 aprile 1989 n. 232, e, quanto alla giurisprudenza amministrativa, sino almeno a C.d.S., VI, 23 maggio 2006 n. 3072; tra le ultime, C.d.S. VI, 7874/2019 cit.; id. V, 5 marzo 2018, n. 1342).



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