PROVA SCRITTA - PEC PRIVA DI FIRMA ELETTRONICA - VA VALUTATA DAL GIUDICE
ll sistema della legge, in definitiva, all'epoca dei fatti - così come oggi - dettava un identico criterio di giudizio tanto per Stabilire se un documento informatico fosse idoneo a soddisfare il requisito della forma scritta, tanto per stabilire se fosse una prova idonea: il criterio della "libera valutabilità" in base alle "caratteristiche oggettive" del documento.
I principi desumibili dalla legge sono dunque pochi e semplici, e possono così riassumersi:
(a) il messaggio di posta elettronica sottoscritto con firma "semplice" è un documento informatico ai sensi dell'art. 2712 c.c.;
(b) se non ne sono contestati la provenienza od il contenuto, forma piena prova dei fatti e delle cose rappresentate (così già Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 11606 del 14/05/2018, Rv. 648375 - 01; Sez. 2, Ordinanza n. 30186 del 27.10.2021 (in motivazione, pag. 4); Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 3540 del 6.2.2019; una conferma a contrario di tali principi si ricava anche da Sez. 2 - , Ordinanza n. 22012 del 24/07/2023, la quale ha negato che una e-mail priva di firma elettronica avanzata soddisfi il requisito della forma scritta, ma solo se tale forma sia richiesta ad substantiam negotii);
(c) se ne sono contestati la provenienza od il contenuto, il giudice non può espungere quel documento dal novero delle prove utilizzabili, ma deve valutarlo in una con tutti gli altri elementi disponibili e tenendo conto delle sue caratteristiche intrinseche di sicurezza, integrità, immodificabilità.
Nel caso di specie, pertanto, alla luce dei suesposti principi la Corte d'appello non avrebbe potuto scartare in introitu, dal materiale probatorio, la e-mail inviata da D.D. al broker C.C., in base ai soli rilievi della pacifica carenza della firma elettronica qualificata o digitale o della mancata adozione dei modelli o stampati usualmente impiegati (ma certo non imposti appunto ad substantiam negotii). Avrebbe certamente potuto giungere a tale risultato, nell'esercizio del suo potere-dovere di accertamento dei fatti, ma solo all'esito delle puntuali valutazioni prescritte dagli artt. 20 e 21 D.Lgs. 82/05 e, cioè, esaminando analiticamente le caratteristiche oggettive del documento informatico sotto il profilo: a) della qualità; b) della sicurezza; c) della integrità; d) della immodificabilità.
In tal senso, del resto, si è - in modo, sul punto, condivisibile - espresso anche il Procuratore Generale nella sua requisitoria, osservando che "se c'è un vulnus (nella sentenza), può essere solo la mancata valutazione delle circostanze (sopra indicate) da parte del giudice di merito".
Ciò che, invece, non può condividersi è la conclusione della pretesa, non codificata in modo espresso da alcuna disposizione di legge applicabile ratione temporis e così in via di mera interpretazione, di un requisito formale, vale a dire la firma elettronica certificata, quale unica garanzia dell'assoluta certezza contrattuale in ordine alla diversa regolamentazione degli assetti assicurativi e, quindi, quale unica modalità di estrinsecazione delle volontà delle parti contraenti: tanto, in base all'assetto normativo come ricostruito, si infrange contro il principio della insopprimibile libertà delle forme, una volta esclusa l'inidoneità per definizione o in introitu del messaggio di posta elettronica certificata privo di firma avanzata o digitale o qualificata.
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