Giurisprudenza e Prassi

PRINCIPIO DEL RISULTATO - FINALITA' - GARANTIRE ECONOMICITA' E ANCHE LA QUALITA' DELLE PRESTAZIONI (1)

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2023

Come chiarito da questa Sezione con la sentenza n. 1076/2020, “A partire alla sentenza della Corte di Giustizia, 17 settembre 2002, in causa C-513/99, è acquisito il principio per cui la tutela della concorrenza nel settore dei contratti pubblici implica anche la capacità dell’impresa di stare sul mercato offrendo prodotti competitivi per soddisfare una domanda pubblica qualificata, in relazione ai sottostanti interessi della collettività (secondo la logica del contratto pubblico come strumento a plurimo impiego). La positivizzazione di tale principio è scolpita nella direttiva 2014/24/UE laddove si prevede, con riferimento alle capacità tecniche e professionali, che “le amministrazioni aggiudicatrici possono imporre requisiti per garantire che gli operatori economici possiedano le risorse umane e tecniche e l’esperienza necessarie per eseguire l’appalto con un adeguato standard di qualità” (art. 58, paragrafo 4), confermando l’impostazione secondo la quale la pubblica amministrazione ha interesse ad incentivare la partecipazione alle gare di soggetti particolarmente qualificati, che garantiscano elevati standard qualitativi al fine di svolgere al meglio le prestazioni oggetto di gara” (nello stesso senso le successive sentenze nn. 6829, 6831, 6834, 6835, 6837 e 6839 del 2021).

Nella dinamica concorrenziale l’impresa deve essere dunque in grado di rispondere ad una domanda pubblica qualificata, nel senso della soddisfazione di interessi superindividuali ritenuti meritevoli, anche a costo di ridurre la platea degli operatori economici capaci di formulare un’offerta conforme al risultato che la commessa pubblica intende raggiungere.

Nell’attuale quadro normativo, soprattutto per effetto delle direttive di seconda e terza generazione, il contratto di appalto non è, infatti, soltanto un mezzo che consente all’amministrazione di procurarsi beni o di erogare servizi alla collettività, ma – per utilizzare categorie civilistiche - uno “strumento a plurimo impiego” funzionale all’attuazione di politiche pubbliche ulteriori rispetto all’oggetto negoziale immediato: in altre parole, uno strumento – plurifunzionale – di politiche economiche e sociali, con conseguenti ricadute sulla causa del provvedimento di scelta del contraente.

Se si considera tale, fondamentale quadro, la “migliore offerta” è dunque quella che presenta le migliori condizioni economiche ma solo a parità di requisiti qualitativi richiesti.

Nel caso di specie tale ulteriore condizione difettava, perché l’odierna appellante non è stata in grado di offrire un prodotto conforme agli standard qualitativi richiesti dalla stazione appaltante: dunque la sua offerta non poteva essere la migliore, e prima ancora non poteva essere ammessa in gara.

Né può ritenersi che il rilevato difetto del requisito richiesto possa imputarsi, come sostenuto, ad un “mero rigido e cavilloso formalismo”: si è già osservato come sia la norma primaria a stabilire che la dimostrazione del possesso della certificazione in parola, garanzia della effettiva corrispondenza della prestazione allo standard richiesto, debba essere fornita in forma tipica (salvo equipollenti in circostanze che qui non ricorrono), con precise garanzie di accertamento e di valutazione dei processi produttivi, sia in termini di competenza che di indipendenza di giudizio.

Tale previsione, lungi dal ridursi ad un vuoto formalismo, è invece posta a presidio della sostanziale corrispondenza di quanto offerto a quanto domandato, dal momento che un accertamento meno rigoroso, o lasciato ad organismi o professionisti che non offrono le medesime garanzie, esporrebbe le amministrazioni, e soprattutto la platea dei fruitori del servizio, al rischio di una prestazione priva delle caratteristiche richieste.

Il problema della dimostrazione – secondo le modalità richieste – del requisito qualitativo non è dunque un problema di forma, ma di sostanza.

Se si ha consapevolezza di tutto ciò, ne consegue l’improprietà del richiamo alla nozione di risultato, anche alla luce del significato ad essa attribuito dal sopravvenuto d. lgs. n. 36 del 2023: questa infatti non ha riguardo unicamente alla rapidità e alla economicità, ma anche alla qualità della prestazione (nel senso sopra riferito).

Il richiamo alla nozione di risultato integra i parametri di legittimità dell’azione amministrativa con riguardo ad una categoria che implica verifiche sostanziali e non formali, di effettività del raggiungimento degli obiettivi (di merito, e di metodo) oltre che di astratta conformità al paradigma normativo.

Nel caso di specie il risultato sotteso alla commessa riguarda, per precisa scelta dell’amministrazione committente, non la prestazione del servizio di ristorazione scolastica in quanto tale, ma quella relativa ad un servizio caratterizzato dalla conformità a politiche ambientali per lo sviluppo sostenibile.

Il fatto che l’operatore economico non possedesse il requisito richiesto (secondo le regole relative allo stesso) esclude, all’opposto di quanto auspicato dall’appellante, che la selezione della sua offerta potesse rappresentare un risultato conforme alla tutela degli interessi sottesi alla commessa pubblica, come cristallizzati nella legge di gara, o addirittura la “migliore offerta” in un’ottica di risultato.

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