Giurisprudenza e Prassi

AMBIGUITÀ DELLA CONGIUNZIONE ” OVVERO ”NELLE CLAUSOLE DI GARA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2020

Occorre anzitutto muovere proprio dall’interpretazione letterale del capitolato tecnico perché, secondo la consolidata giurisprudenza di questo Consiglio, nell’esegesi dei precetti che compongono la disciplina di gara va privilegiato anzitutto il criterio dell’interpretazione letterale, non essendo consentito rintracciarvi significati ulteriori e procedere con estensione analogica (v., ex plurimis, Cons. St., sez. III, 9 marzo 2020, n. 1711).

Come di recente questo Consiglio di Stato ha ribadito (v. sez. V, 25 marzo 2020, n. 2090), infatti, nell’interpretazione dei bandi di gara assume carattere preminente la regola collegata all’interpretazione letterale – con l’esclusione di ogni ulteriore procedimento ermeneutico in caso di clausole assolutamente chiare (così Cons. St., sez. V, 12 settembre 2017, n. 4307) – ma parimenti è altrettanto consolidato orientamento che, in caso di omissioni o di ambiguità delle singole clausole non superabili con il criterio letterale, sia necessario fare ricorso ad altri canoni ermeneutici, tra cui rilevano quelli dettati dall’art. 1363 c.c. (c.d. interpretazione complessiva delle clausole le une per mezzo delle altre: v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 24 settembre 2019, n. 6378) e dall’art. 1367 c.c. (c.d. interpretazione conservativa che, in ossequio al principio di conservazione degli atti giuridici, nel dubbio impone di seguire l’interpretazione che consente di mantenerne gli effetti anziché quella che ne determini la privazione: v., inter multas, Cons. St., sez. V, 27 dicembre 2019, n. 8820).

La congiunzione “ovvero” può svolgere la funzione di congiunzione disgiuntiva oppure può avere valore esplicativo.

Nel primo caso la congiunzione “ovvero” (formatasi dall’unione di “o vero”, poi “overo”, varianti ormai in disuso) ha la funzione di unire diversi elementi di una proposizione o diverse proposizioni coordinate, attribuendo alla correlazione un valore di scelta equivalente, di alternanza indifferente, quindi come perfetto sinonimo di “o” e di “oppure”.

In questa prima accezione, la congiunzione può funzionare sia come disgiuntiva-esclusiva, nei casi in cui sia prevista un’esclusione di uno dei due elementi correlati, ma può avere anche valore di congiunzione disgiuntiva-inclusiva corrispondente a “o anche”, nei casi in cui non si preveda un’alternativa tra due elementi in cui la scelta per uno escluda l’altro e, invece, si lasci aperta la possibilità di una scelta multipla.

La seconda funzione di “ovvero” è quella esplicativa e, cioè, quella attraverso cui si introduce la spiegazione, la parafrasi, il chiarimento di un concetto precedentemente espresso o si collegano sinonimi o espressioni equivalenti, come “ossia”, “vale a dire”, “per meglio dire”.

Con la consueta sagacia l’Accademia della Crusca chiarisce che “sono quindi i diversi contesti a suggerire di volta in volta la funzione che svolge la congiunzione all’interno della frase» e ammonisce che «sarà opportuno, per chi la utilizza, evitare ambiguità e, se necessario alla piena comprensione della frase, scegliere una congiunzione che non presenti duplicità o molteplicità di funzioni”.

Nel linguaggio giuridico l’impiego di ovvero come congiunzione è assai frequente e, si direbbe, dominante e, come nota la stessa Accademia nella sua risposta ad un quesito del 4 giugno 2004 citando peraltro numerosi esempi, il linguaggio amministrativo sembra “addirittura avere una certa predilezione per “ovvero”” nella sua valenza disgiuntiva.

Ora, proprio secondo l’accezione in uso nel lessico tecnico-giuridico e, in particolare, nel linguaggio amministrativo, per quanto attiene alla presente controversia la stazione appaltante ha sicuramente richiesto, a pena di esclusione, che il glucometro dia almeno la possibilità di elaborare i dati imputati, quale minimo standard prestazionale, ma ha anche ritenuto di volere richiedere, in aggiunta (“ovvero”, nel senso di “oppure”, “o anche”), la possibilità di visualizzare i dati sul dispositivo.

Proprio perché, come ha rilevato la sentenza impugnata, esiste un rapporto di genere a specie tra l’elaborazione dei dati e la visualizzazione di questi (sullo stesso o su diverso dispositivo), se non avesse specificato per aggiunta questa ulteriore qualità – la visualizzazione diretta sullo stesso e non su altro dispositivo o con altro sistema – dandole un ulteriore risalto (e premiandola, come si dirà, con un maggior punteggio), la scelta di privilegiare i dispositivi con visualizzazione diretta non avrebbe avuto alcuna evidenza e convenienza per i concorrenti interessati a presentare lo specifico prodotto (capace di visualizzazione dei grafici sul display del glucometro), mentre è chiaro che alla stazione appaltante interessava conferire un particolare “peso” a tale funzionalità, peraltro ormai rara.

L’impiego della congiunzione “ovvero” ha quindi avuto in questo caso, per ricordare le parole della Crusca nella risposta del 16 febbraio 2004, un valore di congiunzione disgiuntiva-inclusiva corrispondente a “o anche”, con riferimento a tutti i casi in cui non si preveda un’alternativa tra due elementi in cui la scelta per uno escluda l’altro e, invece, si lasci aperta la possibilità di una scelta multipla, conformemente, del resto, al principio del favor partecipationis che qui va applicato.

Con questa previsione, dunque, la stazione appaltante non ha inteso escludere dalla gara i concorrenti che non presentassero questa funzionalità aggiuntiva perché, se questo avesse voluto fare peraltro – in ciò solo condividendosi la valutazione del primo giudice – in modo irragionevole, anacronistico e anticoncorrenziale, avrebbe senz’altro formulato la previsione nel seguente modo e, cioè, […].

Invece l’alternativa lasciata al concorrente con l’“ovvero” è stata proprio finalizzata, in una logica competitiva e, si direbbe, con una grammatica concorrenziale, a favorire la partecipazione sia col prodotto indicato nel genus che con quello individuato nella species, alla quale ultima certo andava la preferenza, non però esclusiva, dell’amministrazione.

Prova ne sia il fatto che – secondo una interpretazione sistematica dell’atto amministrativo ai sensi dell’art. 1363 c.c. (v., ex plurimis, Cons. St., sez. VI, 30 luglio 2018, n. 4640; Cons. St., sez. III, 18 ottobre 2016, n. 4333), necessaria, come si è detto, ove quello lessicale appaia ambiguo od insufficiente, come ricorda il primo giudice – il disciplinare di gara ha riservato un punteggio più elevato ai glucometri dotati di visualizzazione diretta, ciò che, evidentemente, sarebbe stato illogico e irragionevole se la visualizzazione diretta sul display del glucometro fosse stata una qualità essenziale minima richiesta a pena di esclusione dalla legge di gara.

Certamente sarebbe stato raccomandabile e sarà raccomandabile per il futuro, ad evitare equivoci ai quali può prestarsi, come nel presente caso, la formulazione ambigua del capitolato controverso, che la stazione appaltante segua il monito di “evitare ambiguità e, se necessario alla piena comprensione della frase, scegliere una congiunzione che non presenti duplicità o molteplicità di funzioni”, poiché l’ambiguità, come nuoce alla chiara comprensione del testo, così nuoce alla certa applicazione del diritto, “data l’importanza di una formulazione senza equivoci nei testi giuridici”, come i linguisti più attenti al lessico giuridico e la stessa Accademia della Crusca, nelle risposte ai quesiti del 19 febbraio 2004 e del 4 giugno 2005, hanno evidenziato.

In ogni caso, deve essere qui ribadito sul piano interpretativo e in funzione nomofilattica, di fronte ad un testo ambiguo l’interprete e, in particolare, il giudice amministrativo deve ispirarsi al criterio ultimo di una ermeneutica salvifica e, dunque, della c.d. interpretazione conservativa (art. 1367 c.c.), tesa, cioè, ad estrapolare dall’enunciato linguistico la costruzione di un significato prescrittivo che porti alla validazione anziché all’invalidazione dell’atto, magis ut valeat quam ut pereat, ciò che il primo giudice, nell’interpretare l’ambigua congiunzione “ovvero”, non sembra correttamente aver fatto.

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