Giurisprudenza e Prassi

INTERDITTIVA ANTIMAFIA - INDICI FORTEMENTE SINTOMATICI - CAUTELA AVANZATA COME PARAMETRO DI VALUTAZIONE

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2022

La giurisprudenza amministrativa consolidata ha invero evidenziato che l'interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste.

Ai fini dell’adozione dell’interdittiva occorre, da un lato, non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

Sotto tale profilo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: in altri termini, una visione “parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua portata nel legame sistematico con gli altri.

In materia di interdittive antimafia, il Prefetto, nel rendere le informazioni richieste ai sensi dell'art. 10 D.P.R. n. 252/1998, non deve pertanto basarsi su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali sia negli appalti delle Pubbliche Amministrazioni che, in genere, nel circuito dell'economia pubblica (Cons. giust. amm. Sicilia, 29/07/2019, n. 713). Ne discende che l'ampiezza dei poteri di accertamento, resa necessaria dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento, giustifica altresì che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza, quali una condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ma che, nel loro coacervo, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o essere in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose. In ragione della sua configurazione funzionale, la discrezionalità delle valutazioni effettuata è pertanto particolarmente ampia ed è sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della illogicità, incoerenza o inattendibilità, con riferimento al significato attribuito agli elementi di fatto e all'iter seguito per pervenire a certe conclusioni (Cons. giust. amm. Sicilia, 12/01/2017, n. 19).

Inoltre l'interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall'analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa (cfr., T.A.R. per la Campania, Napoli, sez. I, 7.01.2019, n.73; Cons. Stato, sez. III, 2 gennaio 2020, n. 2).

In tale ottica si è pertanto precisato che il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l'interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari. Peraltro, occorre considerare che l'infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che essi instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile (cfr Cons. Stato, Sez. III, n. 4657/2015).

L'Amministrazione può inoltre dare rilievo anche ai rapporti di parentela tra titolari di un'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l'impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata. Specialmente, nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all'interno della famiglia ben può verificarsi un'influenza reciproca di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza. Tale influenza può essere, quindi, desunta dalla considerazione che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicchè in una famiglia mafiosa, anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l'influenza del capofamiglia e dell'associazione. Deve essere, quindi, esclusa ogni presunzione di irrilevanza dei rapporti di parentela, ove gli stessi risultino indizianti di una situazione complessiva tale da non rendere implausibile un collegamento, anche non personale e diretto, tra soggetti imprenditori ed ambienti della criminalità organizzata (cfr., T.A.R. per la Campania, Napoli, sez. I, 09/12/2019, n. 5796 non appellata).

Inoltre, la giurisprudenza consolidata ha già chiarito che la valutazione del rischio di inquinamento mafioso deve basarsi sul criterio del "più probabile che non", che gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione, e che la relativa valutazione del Prefetto risulta sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti (cfr., Consiglio di Stato sez. III, 14/07/2020, n.4542).

In applicazione del principio, costantemente affermato dalla Sezione III di questo Consiglio di Stato (ex multis 30 giugno 2020, n. 4168; 325 giugno 2020, n. 4091), la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, «ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale» (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483).

Alla stregua di tali rilievi, come evidenziato da Consiglio di Stato, sez. III, n. 14/0772020 n. 4542 cit., non è richiesto – alla Prefettura come al Giudice amministrativo – di pervenire ad un grado di convincimento che resista ad ogni ragionevole dubbio.

È, infatti, sufficiente, ai fini dell’emissione di un’informativa interdittiva antimafia e della valutazione in sede giurisdizionale in ordine alla sua legittimità, l’essere ragionevolmente persuasi della ricorrenza, nel caso che viene in rilievo, di indici fortemente sintomatici di contiguità, connivenza o comunque condivisione di intenti criminali. Il metro di valutazione è, come si è detto, quello del “più probabile che non”, nel rispetto d’altronde della ratio dell’istituto e delle finalità di “cautela avanzata” di fronte ad ogni pericolo o tentativo di infiltrazione mafiosa nel tessuto dell’attività economica, specialmente se esercitata in ambiti tradizionalmente di interesse per le mafie (Cons. St., sez. III, 30 giugno 2020, n. 4168).



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PERICOLO: Proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni;
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