Art. 91 Informazione antimafia
1. I soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, devono acquisire l'informazione di cui all'articolo 84, comma 3, prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nell'articolo 67, il cui valore sia:a) pari o superiore a quello determinato dalla legge in attuazione delle direttive comunitarie in materia di opere e lavori pubblici, servizi pubblici e pubbliche forniture, indipendentemente dai casi di esclusione ivi indicati;
b) superiore a 150.000 euro per le concessioni di acque pubbliche o di beni demaniali per lo svolgimento di attività imprenditoriali, ovvero per la concessione di contributi, finanziamenti e agevolazioni su mutuo o altre erogazioni dello stesso tipo per lo svolgimento di attività imprenditoriali;
c) superiore a 150.000 euro per l'autorizzazione di subcontratti, cessioni, cottimi, concernenti la realizzazione di opere o lavori pubblici o la prestazione di servizi o forniture pubbliche.
1-bis. L'informazione antimafia è sempre richiesta nelle ipotesi di concessione di terreni agricoli demaniali che ricadono nell'ambito dei regimi di sostegno previsti dalla politica agricola comune, a prescindere dal loro valore complessivo, nonché su tutti i terreni agricoli, a qualunque titolo acquisiti, che usufruiscono di fondi europei per un importo superiore a 25.000 euro.
2. È vietato, a pena di nullità, il frazionamento dei contratti, delle concessioni o delle erogazioni compiuto allo scopo di eludere l'applicazione del presente articolo.
3. La richiesta dell'informazione antimafia deve essere effettuata attraverso la banca dati nazionale unica al momento dell'aggiudicazione del contratto ovvero trenta giorni prima della stipula del subcontratto.
4. L'informazione antimafia è richiesta dai soggetti interessati di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, che devono indicare:
a) la denominazione dell'amministrazione, ente, azienda, società o impresa che procede all'appalto, concessione o erogazione o che è tenuta ad autorizzare il subcontratto, la cessione o il cottimo;
b) l'oggetto e il valore del contratto, subcontratto, concessione o erogazione;
c) gli estremi della deliberazione dell'appalto o della concessione ovvero del titolo che legittima l'erogazione;
d) le complete generalità dell'interessato e, ove previsto, del direttore tecnico o, se trattasi di società, impresa, associazione o consorzio, la denominazione e la sede, nonché le complete generalità degli altri soggetti di cui all'articolo 85;
e) lettera soppressa dal d.lgs. 15 novembre 2012, n. 218
5. Il prefetto competente estende gli accertamenti pure ai soggetti che risultano poter determinare in qualsiasi modo le scelte o gli indirizzi dell'impresa. Per le imprese costituite all'estero e prive di sede secondaria nel territorio dello Stato, il prefetto svolge accertamenti nei riguardi delle persone fisiche che esercitano poteri di amministrazione, di rappresentanza o di direzione. A tal fine, il prefetto verifica l'assenza delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto, di cui all'articolo 67, e accerta se risultano elementi dai quali sia possibile desumere la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa, anche attraverso i collegamenti informatici di cui all'articolo 98, comma 3. Il prefetto, anche sulla documentata richiesta dell'interessato, aggiorna l'esito dell'informazione al venir meno delle circostanze rilevanti ai fini dell'accertamento dei tentativi di infiltrazione mafiosa.
6. Il prefetto può, altresì, desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa da provvedimenti di condanna anche non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali unitamente a concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata, nonché dall'accertamento delle violazioni degli obblighi di tracciabilità dei flussi finanziari di cui all'articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136, commesse con la condizione della reiterazione prevista dall'articolo 8-bis della legge 24 novembre 1981, n. 689. In tali casi, entro il termine di cui all'articolo 92, rilascia l'informazione antimafia interdittiva.
7. Con regolamento, adottato con decreto del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro della giustizia, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dello sviluppo economico, ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge n. 400 del 1988, sono individuate le diverse tipologie di attività suscettibili di infiltrazione mafiosa nell'attività di impresa per le quali, in relazione allo specifico settore d'impiego e alle situazioni ambientali che determinano un maggiore rischio di infiltrazione mafiosa, è sempre obbligatoria l'acquisizione della documentazione indipendentemente dal valore del contratto, subcontratto, concessione, erogazione o provvedimento di cui all'articolo 67.
7-bis. Ai fini dell'adozione degli ulteriori provvedimenti di competenza di altre amministrazioni, l'informazione antimafia interdittiva, anche emessa in esito all'esercizio dei poteri di accesso, è tempestivamente comunicata anche in via telematica:
a) alla Direzione nazionale antimafia e ai soggetti di cui agli articoli 5, comma 1, e 17, comma 1;
b) al soggetto di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, che ha richiesto il rilascio dell'informazione antimafia;
c) alla camera di commercio del luogo dove ha sede legale l'impresa oggetto di accertamento;
d) al prefetto che ha disposto l'accesso, ove sia diverso da quello che ha adottato l'informativa antimafia interdittiva;
e) all'osservatorio centrale appalti pubblici, presso la direzione investigativa antimafia;
f) all'osservatorio dei contratti pubblici relativi ai lavori, servizi e forniture istituito presso l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, ai fini dell'inserimento nel casellario informatico di cui all'articolo 7, comma 10, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e nella Banca dati nazionale dei contratti pubblici di cui all'articolo 62-bis del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82;
g) all'Autorità garante della concorrenza e del mercato per le finalità previste dall'articolo 5-ter del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
h) al Ministero delle infrastrutture e trasporti;
i) al Ministero dello sviluppo economico;
l) agli uffici delle Agenzie delle entrate, competenti per il luogo dove ha sede legale l'impresa nei cui confronti è stato richiesto il rilascio dell'informazione antimafia.
articolo introdotto dal DL 152/2021 convertito con L 233/2021 in vigore dal 1/1/2022
Testo Previgente
Giurisprudenza e Prassi
INTERDITTIVA ANTIMAFIA - INDICI FORTEMENTE SINTOMATICI - CAUTELA AVANZATA COME PARAMETRO DI VALUTAZIONE
La giurisprudenza amministrativa consolidata ha invero evidenziato che l'interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste.
Ai fini dell’adozione dell’interdittiva occorre, da un lato, non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Sotto tale profilo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: in altri termini, una visione “parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua portata nel legame sistematico con gli altri.
In materia di interdittive antimafia, il Prefetto, nel rendere le informazioni richieste ai sensi dell'art. 10 D.P.R. n. 252/1998, non deve pertanto basarsi su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali sia negli appalti delle Pubbliche Amministrazioni che, in genere, nel circuito dell'economia pubblica (Cons. giust. amm. Sicilia, 29/07/2019, n. 713). Ne discende che l'ampiezza dei poteri di accertamento, resa necessaria dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento, giustifica altresì che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza, quali una condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ma che, nel loro coacervo, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o essere in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose. In ragione della sua configurazione funzionale, la discrezionalità delle valutazioni effettuata è pertanto particolarmente ampia ed è sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della illogicità, incoerenza o inattendibilità, con riferimento al significato attribuito agli elementi di fatto e all'iter seguito per pervenire a certe conclusioni (Cons. giust. amm. Sicilia, 12/01/2017, n. 19).
Inoltre l'interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall'analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa (cfr., T.A.R. per la Campania, Napoli, sez. I, 7.01.2019, n.73; Cons. Stato, sez. III, 2 gennaio 2020, n. 2).
In tale ottica si è pertanto precisato che il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l'interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari. Peraltro, occorre considerare che l'infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che essi instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile (cfr Cons. Stato, Sez. III, n. 4657/2015).
L'Amministrazione può inoltre dare rilievo anche ai rapporti di parentela tra titolari di un'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l'impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata. Specialmente, nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all'interno della famiglia ben può verificarsi un'influenza reciproca di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza. Tale influenza può essere, quindi, desunta dalla considerazione che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicchè in una famiglia mafiosa, anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l'influenza del capofamiglia e dell'associazione. Deve essere, quindi, esclusa ogni presunzione di irrilevanza dei rapporti di parentela, ove gli stessi risultino indizianti di una situazione complessiva tale da non rendere implausibile un collegamento, anche non personale e diretto, tra soggetti imprenditori ed ambienti della criminalità organizzata (cfr., T.A.R. per la Campania, Napoli, sez. I, 09/12/2019, n. 5796 non appellata).
Inoltre, la giurisprudenza consolidata ha già chiarito che la valutazione del rischio di inquinamento mafioso deve basarsi sul criterio del "più probabile che non", che gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione, e che la relativa valutazione del Prefetto risulta sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti (cfr., Consiglio di Stato sez. III, 14/07/2020, n.4542).
In applicazione del principio, costantemente affermato dalla Sezione III di questo Consiglio di Stato (ex multis 30 giugno 2020, n. 4168; 325 giugno 2020, n. 4091), la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).
Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, «ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale» (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483).
Alla stregua di tali rilievi, come evidenziato da Consiglio di Stato, sez. III, n. 14/0772020 n. 4542 cit., non è richiesto – alla Prefettura come al Giudice amministrativo – di pervenire ad un grado di convincimento che resista ad ogni ragionevole dubbio.
È, infatti, sufficiente, ai fini dell’emissione di un’informativa interdittiva antimafia e della valutazione in sede giurisdizionale in ordine alla sua legittimità, l’essere ragionevolmente persuasi della ricorrenza, nel caso che viene in rilievo, di indici fortemente sintomatici di contiguità, connivenza o comunque condivisione di intenti criminali. Il metro di valutazione è, come si è detto, quello del “più probabile che non”, nel rispetto d’altronde della ratio dell’istituto e delle finalità di “cautela avanzata” di fronte ad ogni pericolo o tentativo di infiltrazione mafiosa nel tessuto dell’attività economica, specialmente se esercitata in ambiti tradizionalmente di interesse per le mafie (Cons. St., sez. III, 30 giugno 2020, n. 4168).
REVISIONE PREZZI IN CASO DI RECESSO DAL CONTRATTO DI APPALTO A SEGUITO DI INTERDITTIVA ANTIMAFIA
Informativa antimafia – Contratto di appalto – Appalto a prestazioni periodiche – Recesso – Per intervenuta interdittiva antimafia – Pagamento opere eseguite - Artt. 92 e 94, d.lgs. n. 159 del 2011 - Criterio – Revisione prezzi – Spetta.
Negli appalti pubblici di servizi aggiudicati a seguito di una procedura di evidenza pubblica, aventi ad oggetto prestazioni periodiche o continuative connotate da standardizzazione, omogeneità e ripetitività, il “valore delle prestazioni già eseguite”, da pagarsi all’esecutore nei limiti delle utilità conseguite dalla stazione appaltante, in caso di interdittiva antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, corrisponde al prezzo contrattuale pattuito dalle parti, salva la possibilità di prova contraria da parte della stazione appaltante che esercita il recesso; nella determinazione del valore-prezzo degli appalti di servizi da pagarsi per le prestazioni già eseguite, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, deve intendersi compresa anche la somma risultante dall’applicazione del procedimento obbligatorio di revisione dei prezzi di cui all’art. 115, d.lgs. n. 163 del 2006.
Preliminarmente l’Adunanza plenaria ha richiamato i principi espressi, anche in ordine alla natura dell’interdittiva antimafia, dalla stessa Adunanza plenaria 6 aprile 2018, n. 3 e 26 ottobre 2020, n. 23.
Ha premesso l’Adunanza plenaria che negli appalti di servizi, quale è quello per cui è processo, in cui l’aggiudicazione e quindi la determinazione del prezzo contrattuale seguono a una procedura di evidenza pubblica, il valore dei servizi già eseguiti, pagabile nel limite delle utilità conseguite, può essere ritenuto coincidente con il prezzo contrattuale pattuito dalle parti.
Il prezzo contrattuale, stabilito a seguito di una procedura di gara ad evidenza pubblica, deve infatti ritenersi coincidente con il miglior prezzo di mercato conseguibile e quindi con il valore di mercato della prestazione. Finalità della gara è proprio quella di individuare il contraente che offra un prezzo che meglio corrisponda al valore di mercato della prestazione che la pubblica amministrazione intende acquisire per soddisfare i bisogni che la hanno indotta ad esperire il procedimento ad evidenza pubblica.
Nei contratti di prestazione periodica o continuativa di servizi, quindi, il prezzo tende a coincidere con il valore della prestazione, e sarebbe connotata da profili patologici una situazione in cui la pubblica amministrazione si trovasse a pagare un prezzo che sotto il profilo economico si allontanasse oltre misura dal valore dell’utilità che la stessa abbia, di fatto, a conseguire.
Ha aggiunto l’Alto consesso, con riferimento all’“utilità conseguite”, che la peculiarità dell’appalto di servizi, connotato da prestazioni tipologicamente prefissate, standardizzate e “ripetitive” nel corso della durata contrattuale, con pagamenti periodici delle stesse, implica che le prestazioni eseguite siano scorporabili e omogenee nella loro utilità, ed è perciò ben difficile che le prestazioni eseguite prima del recesso e non ancora pagate abbiano una “utilità” diversa dalle prestazioni periodiche già pagate, salvo diversa dimostrazione, da parte della stazione appaltante, di aver conseguito dalle prestazioni ripetitive già eseguite e non ancora pagate una utilità inferiore rispetto alle prestazioni periodiche già eseguite e pagate.
L’Adunanza plenaria ha poi ricostruito i caratteri della revisione prezzi, al fine di rispondere al quesito sottoposto e cioè se, nella determinazione del prezzo contrattuale relativo ad un appalto di servizi, da pagarsi o già pagato in relazione alle prestazioni già eseguite dall’esecutore attinto da informativa antimafia, ai sensi e per gli effetti degli artt. 92, comma 3, e 94, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011, debba farsi riferimento solo al prezzo originariamente pattuito nel contratto, ovvero a tale prezzo come integrato dalla revisione dei prezzi nel frattempo maturata (anche essa prima della interdittiva antimafia).
Ha escluso che l’istituto della revisione dei prezzi abbia finalità risarcitorie; lo stesso viene concepito dal legislatore unicamente al fine di garantire l’equilibrio del sinallagma contrattuale originariamente pattuito, ed evitare che una parte possa avvantaggiarsi sine titulo (del valore) di un servizio da altri sostenuto nei costi.
In questa prospettiva, non può revocarsi in dubbio che il compenso revisionale costituisca un fattore integrativo del corrispettivo contrattuale, anzi, per meglio dire, che il corrispettivo sia costituito dal prezzo come integrato.
La revisione dei prezzi serve, difatti, precipuamente a ragguagliare con pienezza la remunerazione contrattuale dell’appaltatore al valore della prestazione resa dal medesimo all’Amministrazione. Sicché, una volta riconosciuto dall’amministrazione il ricorrere delle condizioni della revisione, le somme da corrispondere per i servizi resi non potranno che avere come base di riferimento il prezzo come revisionato.
Proprio in considerazione della delineata ratio della revisione dei prezzi, è conseguenziale che essa svolga una funzione “integrativa” del prezzo contrattuale, nel senso che definisce l’esatto corrispettivo, rideterminando il prezzo dedotto nel contratto in retrospettiva, cioè con riferimento allo squilibrio che nel tempo si è venuto progressivamente a produrre rispetto alla prestazione oggetto del contratto.
Il carattere obbligatorio della revisione dei prezzi negli appalti di servizi, ai sensi dell’art. 115, d.lgs. n. 163 del 2006 (applicabile ratione temporis), corrobora tale conclusione. La revisione, infatti, opera anche se non espressamente pattuita dalle parti, in virtù di un procedimento amministrativo da attivare obbligatoriamente al verificarsi dei presupposti di legge. Ne deriva che la somma determinata a seguito della revisione dei prezzi altro non è che una parte del prezzo, e, quale parte del tutto, ne ha la stessa natura e conseguentemente deve averne la stessa disciplina giuridica. Pertanto, tutte le norme giuridiche che si riferiscono al “prezzo” contrattuale dovuto devono perciò ritenersi riferite al prezzo legalmente integrato con la somma dovuta a titolo di revisione.
Se si ritenesse che in caso di interdittiva antimafia il prezzo da pagare per le prestazioni eseguite sia solo quello originario senza la integrazione derivante dalla revisione, si affermerebbe che all’esecutore vada pagato un prezzo inferiore alle utilità conseguite dall’amministrazione, il che sarebbe contrario alla lettera e alla ratio legis. La soluzione negativa, quindi, renderebbe concreto quel pericolo paventato dalla sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza plenaria e cioè il fatto che la Pubblica amministrazione ne trarrebbe un “ingiustificato arricchimento”.
La Pubblica amministrazione così operando si approprierebbe ingiustificatamente della quantità di “valore” quale risultante dalla differenza tra quanto previsto originariamente nel contratto e il (maggior) costo del lavoro determinato tenendo conto della revisione: tale differenza costituirebbe quell’ingiustificato arricchimento che le norme richiamate e la stessa sentenza n. 23 del 2020 dell’Adunanza plenaria tendono a evitare.
NORMATIVA ANTIMAFIA - ALLA CGUE LA COMPATIBILITÀ CONTRADDITTORIO ENDOPROCEDIMENTALE CON NORMATIVA EUROPEA
L’art. 6, par. 1 del Trattato sull’Unione Europea, stabilisce che “L’Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi sanciti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000, adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, che ha lo stesso valore giuridico dei trattati”; in quanto tale, la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea è fonte di diritto primario dell’Unione Europea, al pari dei Trattati istitutivi; le fonti di diritto primario dell’Unione Europea, allorquando presentino i caratteri della sufficiente precisione e del carattere incondizionato possono avere efficacia diretta all’interno degli ordinamenti nazionali in modo da creare a favore dei singoli posizioni giuridiche soggettive direttamente tutelabili dinnanzi ai giudici nazionali; l’art. 41 della Carta dei Diritti fondamentali dell’Unione Europea del 7 dicembre 2000 prevede espressamente il diritto del cittadino europeo a una buona amministrazione; a sua volta, il diritto ad una buona amministrazione comprende in particolare... a) il diritto di ogni persona di essere ascoltata prima che nei suoi confronti venga adottato un provvedimento individuale che le rechi pregiudizio (sempre art. 41 Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea); il diritto dell’Unione riconosce, pertanto, la sussistenza di un principio del contraddittorio di carattere endoprocedimentale, da far valere al di fuori del diritto di difesa nel processo giurisdizionale e da intendere nel senso che “ ogni qualvolta l’Amministrazione si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo, i destinatari di decisioni che incidono sensibilmente sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’Amministrazione intende fondare la sua decisione (...); il principio del contraddittorio endoprocedimentale è enunciato in maniera precisa, in quanto sono chiariti con sufficienza gli elementi che ne fanno parte e in maniera incondizionata, trattandosi di principio capace di autoaffermarsi nei rapporti del cittadino con l’Amministrazione; il principio del contraddittorio, quale espressione fondamentale di civiltà giuridica europea, appartiene, oltretutto, al catalogo dei principi generali del Diritto dell’Unione in base all’art. 6, par. 3 del Trattato sull’Unione Europea, a mente del quale “i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, fanno parte del diritto dell’Unione in quanto principi generali”.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, sede di Bari, sezione III, chiede alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di chiarire pregiudizialmente, ai fini della decisione della presente controversia, se gli artt. 91, 92 e 93 del Decreto Legislativo 6 settembre 2011, n. 159, nella parte in cui non prevedono il contraddittorio endoprocedimentale in favore del soggetto nei cui riguardi l’Amministrazione si propone di rilasciare una interdittiva antimafia, siano compatibili con il principio del contraddittorio, così come ricostruito e riconosciuto quale principio di diritto dell’Unione.
INTERDITTIVA ANTIMAFIA – SOPRAVVENIENZA DI FATTI FAVOREVOLI - VERIFICHE
Con riguardo all’ampio lasso di tempo trascorso dai fatti ritenuti sintomatici di un rischio di permeabilità mafiosa, deve osservarsi che la giurisprudenza ha costantemente evidenziato (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, V, n. 4602/2015; III, n. 292/2012; VI, n. 7002/2011) che, col decorso dell’anno, la misura interdittiva che rileva il pericolo di condizionamento mafioso non perde efficacia.
Il “venir meno delle circostanze rilevanti” di cui all’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011, non dipende, infatti, dal mero trascorrere del tempo, in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica (o perché ne controbilanciano, smentiscono e in ogni caso superano la valenza sintomatica, o perché rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo).
Sul piano letterale, la clausola rebus sic stantibus prevista dall’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011 comporta che in caso di sopravvenienza di fatti favorevoli all’imprenditore (ad es. in relazione ai casi di modificazioni degli assetti societari e gestionali dell’impresa, in ipotesi capaci di modificare la valutazione alla base dell’informativa) l’Amministrazione verifichi nuovamente se persistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico tali da prevalere sull’iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso.
PERICOLO DI INFILTRAZIONE MAFIOSA – ELEMENTI FATTUALI
Il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, non può sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che «può» – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata».
INTERDITTIVA ANTIMAFIA - PRESUPPOSTI DI LEGITTIMITA'
I tentativi d'infiltrazione mafiosa, che danno luogo all'adozione dell'informativa antimafia interdittiva, possono essere desunti anche da una sentenza penale che, ancorché intervenuta tempo prima ed ancora oggetto d'impugnazione, ha condannato l'interessato per il delitto di usura di cui all'art. 644 c.p., atteso che ritenere che detta sentenza è irrilevante solo perché ha ad oggetto fatti risalenti nel tempo, significa introdurre un elemento della fattispecie — l'attualità del fatto di reato, oggetto di condanna — che non è previsto dalla disposizione, la quale si limita a prevedere che la condanna per uno dei delitti-spia, quale che sia il tempo in cui è intervenuta, debba essere presa in considerazione dal Prefetto ai fini del rilascio dell'informativa (cfr Consiglio di Stato sez. III 24 luglio 2015 n. 3653).
Occorre avere riguardo, non solo a quanto dichiarato e richiamato nella interdittiva, ma anche agli elementi istruttori di carattere indiziario di cui il Prefetto abbia potuto tenere conto al momento della sua adozione, sia pure non citati espressamente nell’interdittiva per esigenze di segretezza o di segreto istruttorio (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III. 25/06/2014 n. 3208).
INTERDITTIVA ANTIMAFIA - INDIZI SINTOMATICI DI COLLEGAMENTO CON CRIMINALITA' ORGANIZZATA - SONO SUFFICIENTI
L’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del D.Lgs. n. 159/2011, presuppone “concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”.
Si tratta di una misura volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della P.A.: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore - pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione - meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni.
Tale provvedimento evidentemente non richiede, per la sua adozione, la prova di un fatto, ma solo la presenza di elementi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento dell’impresa con organizzazioni mafiose o di un condizionamento dell’impresa stessa da parte di queste.
Deve riscontrarsi la presenza di fatti sintomatici ed indizianti che, considerati e valutati nel loro complesso, inducano ad ipotizzare la sussistenza di un collegamento tra impresa e criminalità organizzata.
Ciò presuppone e comporta nello stesso tempo un’ampia potestà discrezionale in capo all’organo istruttore, cui spettano i compiti di polizia e di mantenimento dell’ordine pubblico, in relazione alla ricerca ed alla valutazione di tale elementi, da cui poter desumere eventuali connivenze e collegamenti di tipo mafioso.
Il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve dar conto in modo organico e coerente di quei fatti, aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, si possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussista (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I ter, 19.7.2017, n. 8737).
La misura dell’interdittiva antimafia, dunque, può essere emessa dall’Amministrazione in una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso, potendo basarsi anche sul solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 31.7.2017, n. 3827).
Il sindacato in sede giurisdizionale è così diretto soltanto ad accertare l’assenza di eventuali vizi della funzione, che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere, quanto all’accuratezza dell’istruttoria, alla completezza dei dati e fatti acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti stessi, alla sufficienza della motivazione ed alla logicità e ragionevolezza delle conclusioni rispetto ai presupposti ed elementi di fatto presi in considerazione
REQUISITI GENERALI - INTERDITTIVA ANTIMAFIA - POSSIBILITÀ E LIMITI DI UN’ESTENSIONE DELL’INTERDITTIVA BASATA SU STABILI COLLEGAMENTI SOCIETARI – ELEMENTI PROBATORI
Questa Sezione, dopo la sentenza n. 923/2016, ha approfondito la problematica, pervenendo (cfr. sent. n. 2774/2016 e n. 1103/2017, nel solco dei principi enunciati in modo sistematico dalla sent. n. 1743/2016) a conclusioni che precisano le possibilità ed i limiti di un’estensione dell’interdittiva basata su stabili collegamenti societari, in particolare affermando che:
- uno degli indici del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa - di per sé sufficiente a giustificare l’emanazione di una interdittiva antimafia - è identificabile nella instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un’impresa e una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale (cfr. al riguardo, ex multis, sent. n. 2232/2016), in ragione della valenza sintomatica attribuibile a cointeressenze economiche particolarmente pregnanti; queste, infatti, giustificano il convincimento, seppur in termini prognostici e probabilistici, che l’impresa controindicata trasmetta alla seconda il suo corredo di controindicazioni antimafia, potendosi presumere che la prima scelga come partner un soggetto già colluso o, comunque, permeabile agli interessi criminali a cui essa resta assoggettata (o che, addirittura, interpreta e persegue);
- soltanto là dove l’esame dei contatti tra le società riveli il carattere del tutto episodico, inconsistente o remoto delle relazioni d’impresa, deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia dalla prima alla seconda società.
Nella medesima prospettiva, riguardo all’esistenza di rapporti commerciali ed alla presenza di imprese controindicate nel cantiere, questa Sezione ha affermato (cfr. sent. n. 3576/2016) che:
- se si considera dal punto di vista delle esigenze della disciplina di prevenzione antimafia, può ritenersi che risponda alla comune diligenza, esigibile nei confronti di qualunque impresa, e che comunque sia corollario di qualsiasi efficiente gestione aziendale, il compiere verifiche in ordine alla affidabilità delle imprese con cui si intrattengono rapporti commerciali.
- sulla base della logica causale del ‘non improbabile’ o del ‘più probabile che non’, che deve orientare le valutazioni in ordine alla completezza e logicità della motivazione dell’interdittiva, ovvero all’attendibilità ed alla verosimiglianza della configurazione del tentativo da parte delle consorterie malavitose di condizionare l’autodeterminazione dell’impresa (cfr., al riguardo, le sentt. n. 2553/2016 e n. 1743/2016), la presenza di imprese considerate contigue alla criminalità organizzata è significativa della sussistenza di tale condizionamento;
- non è necessario verificare se ciò sia stato determinato da una scelta dettata dall’esigenza di poter eseguire l’appalto senza difficoltà, da una negligente tolleranza, oppure dalla imposizione dell’interferenza da parte delle imprese controindicate, essendo comunque il risultato riconducibile alla fattispecie prevista dagli artt. 84 e 91 del d.lgs. 159/2011.
(..) Non sono condivisibili nemmeno altri assunti, collegati al precedente, che emergono dall’appello.
Non è infatti necessaria l’indicazione del modo con cui l’infiltrazione si è in concreto realizzata, essendo sufficienti, come esposto, seri elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata. (cfr., per una ricostruzione sistematica, Cons. Stato, III, n. 1743/2016; di recente, sinteticamente, idem, n. 669/2017 e n. 256/2017; vedi anche, idem, n. 1559/2017 e n. 1131/2017).
E, come già esposto, il criterio civilistico del “più probabile che non” si pone quale regola, garanzia e, insieme, strumento di controllo, fondato anche su irrinunciabili dati dell’esperienza, della valutazione prefettizia e, in particolare, consente di verificare la correttezza dell’inferenza causale che da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo una logica che nulla ha a che fare con le esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove vige la regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale (cfr., di recente e riassuntivamente, Cons. Stato, III, n. 565/2017; vedi anche, idem, n. 1559/2017 e n. 1131/2017).
Né è necessario che il tentativo di infiltrazione si dimostri in atto, essendo sufficiente che gli elementi indiziari mantengano attualmente il loro significato presuntivo.
E’ stato infatti affermato (cfr. Cons. Stato, III, n. 2510/2017 - con riferimento alla rilevanza delle condanne, ma espressione di un principio generale concernente il significato del requisito della “attualità” degli elementi a base dell’interdittiva) che:
- il “venir meno delle circostanze rilevanti” di cui all’art. 91, comma 5, del d. lgs. 159/2011, non dipende dal mero trascorrere del tempo, in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica, o perché ne controbilanciano, smentiscono e in ogni caso superano la valenza sintomatica o perché ne rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo (e pertanto, pur dopo il decorso del termine di un anno dall’emanazione di un precedente atto ad effetto interdittivo, il Prefetto ben potrà e, anzi, dovrà emettere una ulteriore interdittiva, ove non siano venute meno le circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento del tentativo di infiltrazione mafiosa, salvo sempre il potere/dovere di riesaminare i fatti nuovi, in sede di aggiornamento, anche su documentata richiesta dal soggetto interessato, come prevede l’art. 91, comma 5, cit. – cfr., di recente, anche Cons. Stato, III, n. 739/2017);
- l’attualità degli elementi indizianti, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, permane tuttavia inalterata fino al sopraggiungere di fatti nuovi ed ulteriori rispetto ad una precedente valutazione di presenza di tentativi siffatti, che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo; il superamento del rischio di inquinamento mafioso è da ricondursi non tanto al trascorrere del tempo dall’ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, bensì al sopraggiungere di fatti positivi che persuasivamente e fattivamente introducano elementi di inattendibilità della situazione rilevata in precedenza (cfr., di recente, anche Cons. Stato, III, n. 1084/2017).
Infine, da un’assoluzione sopravvenuta si traggono elementi utili a valutare l’apprezzamento compiuto ex ante dalla Prefettura, ma occorre valutare i contenuti dell’accertamento compiuto dal giudice penale, e la sopravvenienza favorevole potrebbe giustificare un riesame dell’informazione antimafia, ma non anche dimostrare l’erroneità della valutazione compiuta ai fini della sua adozione (cfr. Cons. Stato, III, n. 1107/2017).
Del resto, il bilanciamento tra i valori costituzionali rilevanti in materia – l’esigenza, da un lato, di preservare i rapporti economici dalle infiltrazioni mafiose in attuazione del superiore principio di legalità sostanziale e, dall’altro, la libertà di impresa – trova nella previsione dell’aggiornamento, ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d.lgs. 159/2011, un punto di equilibrio fondamentale e uno snodo della disciplina in materia, sia in senso favorevole che sfavorevole all’impresa, poiché impone all’autorità prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti – se non noti – e consente all’impresa stessa di rappresentarli all’autorità stessa, laddove da questa non conosciuti (cfr., di recente, Cons. Stato, III, n. 565/2017 e n. 4121/2016).
INFORMATIVA ANTIMAFIA - PRINCIPI DESUMIBILI DALLA NORMATIVA
Secondo la più recente giurisprudenza di questa Sezione, in materia trovano applicazione i seguenti principi (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743):
- l'informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»;
- quanto alla ratio dell'istituto dell’interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta - ad un tempo - alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l'interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore - pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione - meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti ‘affidabile’) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;
- ai fini dell'adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione 'parcellizzata' di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;
- è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né - tanto meno - occorre l'accertamento di responsabilità penali, quali il ‘concorso esterno’ o la commissione di reati aggravati ai sensi dell'art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell'informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;
- il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più ‘probabile che non’, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;
- pertanto, gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;
- quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l'Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del ‘più probabile che non’, che l'impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto;
- nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all'interno della famiglia si può verificare una ‘influenza reciproca’ di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;
- una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch'egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della 'famiglia', sicché in una 'famiglia' mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l'influenza del 'capofamiglia' e dell'associazione;
- hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l'Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l'esistenza - su un'area più o meno estesa - del controllo di una 'famiglia' e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).
INFORMATIVA ANTIMAFIA - FINALITA'
L’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata».
Per quanto riguarda la ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, va premesso che si tratta di una misura volta – ad un tempo - alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge.
Il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al d. lgs. n. 159 del 2011 – come già avevano disposto l’art. 4 del d.lg. 8 agosto 1994, n. 490, e il d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 – ha tipizzato un istituto mediante il quale, con un provvedimento costitutivo, si constata una obiettiva ragione di insussistenza della perdurante «fiducia sulla affidabilità e sulla moralità dell’imprenditore», che deve costantemente esservi nei rapporti contrattuali di cui sia parte una amministrazione (e di per sé rilevante per ogni contratto d’appalto, ai sensi dell’art. 1674 c.c.) ovvero comunque deve sussistere, affinché l’imprenditore risulti meritevole di conseguire un titolo abilitativo, ovvero di conservarne gli effetti.
Nell’attribuire il relativo potere ad un organo periferico del Ministero dell’Interno e nel prevedere il dovere di tutte le altre Amministrazioni di emanare i relativi atti consequenziali, il legislatore ha tenuto conto sia delle competenze generali delle Prefetture in ordine alla gestione dell’ordine pubblico ed al coordinamento delle Forze dell’ordine, sia dell’esigenza che non sia ciascuna singola Amministrazione – di per sé non avente i necessari mezzi ed esperienze – a porre in essere le relative complesse attività istruttorie e ad emanare singoli provvedimenti ad hoc sulla perdurante sussistenza o meno del «rapporto di fiducia».
INFORMATIVA ANTIMAFIA - INDICI SINTOMATICI TENTATIVI DI INFILTRAZIONE MAFIOSA
Il paradigma legale di riferimento, codificato, in particolare, dagli artt. 84 e 91 del d.lgs. n.159 del 2011, resta volutamente elastico, nella misura in cui affida al Prefetto l’apprezzamento di indici sintomatici “…di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle societa'…” (art.84, comma 3, d.lgs. cit.) e, quindi, la formulazione di un giudizio prognostico dell’inquinamento della gestione dell’impresa da parte di organizzazioni criminali di stampo mafioso.
Quanto la pertinente attivita' provvedimentale resti connotata da elevati profili di discrezionalita', lo si desume dall’analisi del lessico usato dal legislatore per regolarla: l’uso dell’aggettivo “eventuali” e del sostantivo “tentativi” indicano, in particolare, la configurazione di presupposti del tutto incerti, ai fini della giustificazione della misura, sicchè la delibazione prefettizia si risolve, a ben vedere, nell’analisi di indizi sintomatici del pericolo di infiltrazione della criminalita' organizzata nell’amministrazione della societa' e nella conseguente formulazione di un giudizio probabilistico della mera possibilita' del condizionamento mafioso.
Si tratta, in altri termini, di una fattispecie del tutto peculiare: mentre, infatti, l’attivita' provvedimentale resta, in via generale, strutturata e regolata dalla definizione esatta, ad opera della disposizione legislativa attributiva del potere nella specie esercitato, dei presupposti stabiliti per la legittima adozione dell’atto in cui si esplica la funzione, che, per quanto connotato da scelte discrezionali, resta strettamente vincolato alla preliminare verifica della sussistenza delle condizioni che ne autorizzano l’assunzione, quella attinente alle informative antimafia risulta, al contrario, configurata dallo stesso legislatore come fondata su valutazioni necessariamente opinabili, siccome attinenti all’apprezzamento di rischi e non all’accertamento di fatti, e non, quindi, ancorata alla stringente analisi della ricorrenza di chiari presupposti, di fatto e di diritto, costitutivi e regolativi della potesta' esercitata.
E’ proprio la segnalata funzione anticipatoria della soglia di contrasto alla criminalita' organizzata che impedisce, a ben vedere, la previsione di parametri di azione piu' stringenti e cogenti e che impone, quindi, la disciplina della potesta' considerata in termini cosi' laschi, trattandosi di precludere ad imprese che rischiano di essere (e non che sicuramente sono) condizionate dai clan mafiosi di accedere a rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni.
INFORMATIVA PREFETTIZIA - BASA SU ELEMENTI INDIZIARI
La norma introduttiva dell'informativa prefettizia esprime, quindi, la ratio di anticipare la soglia di difesa sociale ai fini di una tutela avanzata nel campo del contrasto della criminalita' organizzata, in guisa da prescindere dal livello di rilevanza probatoria tipica del diritto penale e del diritto processuale in genere, per cercare di cogliere l'affidabilita' dell'impresa affidataria dei lavori complessivamente intesa, con la conseguenza che le cautele antimafia non obbediscono a finalita' di accertamento di responsabilita', bensi' di massima anticipazione dell'azione di prevenzione, rispetto alla quale sono per legge rilevanti fatti e vicende anche solo sintomatici ed indiziari, al di la' dell'individuazione di responsabilita' penali (cosi' Consiglio di Stato, Sez. III n. 2058 e sez. VI, n. 2867 del 2006 cit.) ".
COMPETENZA IMPUGNATIVA INFORMATIVA ANTIMAFIA
Esplicando l’informativa, alla stregua dello jus superveniens, effetti ultraregionali, competente a conoscere dell’impugnazione della stessa è il T.A.R. del luogo ove ha sede la prefettura che ha adottato l’atto; detto T.A.R. rimane competente anche in caso di contestuale impugnazione sia dell’informativa che degli atti applicativi adottati dalla stazione appaltante. Non trova infatti, applicazione il comma 4 bis dell’ art. 13 c.p.a. ove è stabilito che “la competenza territoriale relativa al provvedimento da cui deriva l’interesse a ricorrere attrae a se' anche quella relativa agli atti presupposti allo stesso provvedimento, tranne che si tratti di atti normativi o generali“.
L’informativa prefettizia non puo', infatti, considerarsi “atto presupposto” rispetto alle determinazioni della stazione appaltante o dell’ente che ha concesso benefici economici, stante la sua autonoma efficacia lesiva per gli immediati effetti negativi nei confronti dell’impresa (si considerino, oltre al pregiudizio morale, la perdita della capacita' di essere parte in rapporti in essere con la pubblica amministrazione, nonche' in ordine alla stipula di contratti futuri, Ad. Plen. n. 29 del 2013); l’atto prefettizio ha, quindi, effetti ultraregionali per cui, in caso di impugnazione della sola informativa, il T.A.R. territorialmente competente è quello ove ha sede l’autorita' che lo ha emesso, ex art. 13, comma 1, primo periodo; essendo, inoltre, l’informativa atto immediatamente impugnabile, non puo' trovare applicazione l’art. 13, comma 4 bis c.p.a. e quindi, in caso di impugnazione contestuale di tale atto e dei susseguenti atti applicativi adottati dalla stazione appaltante, è sempre competente il Tribunale ove ha sede l’autorita' che ha emesso la misura di prevenzione.