Giurisprudenza e Prassi

RISOLUZIONE CONTRATTUALE CONTESTATA IN GIUDIZIO – MANCATA DICHIARAZIONE – LEGITTIMITA’ (80.5.C)

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2020

Dalla documentazione versata in atti emerge che la risoluzione non dichiarata era imputabile al presunto inadempimento del raggruppamento di cui faceva parte l’odierna appellante, che la Società aveva proposto ricorso, ancora pendente, avverso il provvedimento di risoluzione dinanzi al Tribunale delle Imprese di Roma e che, nonostante la medesima risoluzione, l’Agenzia delle Entrate aveva effettivamente continuato a riporre fiducia nella A sottoscrivendo con la stessa un nuovo contratto d’appalto, dell’importo di euro 144.119,62 oltre IVA, della durata di 18 mesi a decorrere da gennaio 2018 e prorogato fino al 31 dicembre 2019.

In ragione delle circostanze ora richiamate non può ritenersi che l’appellante abbia dolosamente taciuto un proprio precedente contrattuale qualificabile come grave illecito professionale, in quanto la stessa costituiva solo una possibile qualificazione dei fatti pregressi, qualificazione che solo una decisione giudiziaria o un’interpretazione amministrativa avrebbero potuto confermare. Va al riguardo ricordato che secondo la giurisprudenza in materia: «La dichiarazione resa dall’operatore economico nella domanda di partecipazione circa le pregresse vicende professionali suscettibili di integrare «gravi illeciti professionali» può essere omessa, reticente o completamente falsa; è configurabile omessa dichiarazione quando l’operatore economico non riferisce di alcuna pregressa condotta professionale qualificabile come «grave illecito professionale»; è configurabile dichiarazione reticente quando le pregresse vicende sono solo accennate senza la dettagliata descrizione necessaria alla stazione appaltante per poter compiutamente apprezzarne il disvalore nell'ottica dell'affidabilità del concorrente; è, infine, configurabile la falsa dichiarazione se l'operatore rappresenta una circostanza di fatto diversa dal vero; la distinzione tra le tre fattispecie non risiede, dunque, nell’oggetto della dichiarazione che è sempre lo stesso (la pregresse vicende professionali dell’operatore economico), quanto, piuttosto, nella condotta di quest’ultimo; e ciò vale a meglio spiegare anche il regime giuridico: solo alla condotta che integra una falsa dichiarazione consegue l’automatica esclusione dalla procedura di gara poiché depone in maniera inequivocabile nel senso dell’inaffidabilità e della non integrità dell’operatore economico, mentre, ogni altra condotta, omissiva o reticente che sia, comporta l’esclusione dalla procedura solo per via di un apprezzamento da parte della stazione appaltante che sia prognosi sfavorevole sull’affidabilità dello stesso» (Cons. Stato, sez. V, 12 aprile 2019, n. 2407).

Con più specifico riguardo al caso di specie, si afferma che «Il concetto di “falso”, nell’ordinamento vigente, si desume dal codice penale, nel senso di attività o dichiarazione consapevolmente rivolta a fornire una rappresentazione non veritiera. Dunque, il falso non può essere meramente colposo, ma deve essere doloso» (Cons. Stato, sez. VI, 20 luglio 2009, n. 4504).

Nel caso di specie non si può ritenere provato che la dichiarazione resa dalla A in fase di compilazione del DGUE (“Parte III”, punto “C: Motivi legati a insolvenza, conflitto di interessi o illeciti professionali”) fosse non veritiera nei termini ora precisati. Ciò, innanzitutto, per la considerazione che le domande formulate nel documento di gara richiedevano che l’operatore economico prendesse posizione in merito alla qualificazione giuridica delle precedenti vicende contrattuali in termini di grave illecito professionale, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità o di significative e persistenti carenze nell’esecuzione del contratto tali da causarne la risoluzione, rispettivamente ai sensi delle sopra citate lettere c) e c-ter) dell’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 50 del 2016, in contrasto tuttavia con la contestazione sollevata nella competente sede giurisdizionale.

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