EQUO COMPENSO E SERVIZI TECNICI - NON SUSSISTE CONTRASTO TRA CODICE APPALTI E DISCIPLINA DI SETTORE (41.15)
L’art. 36 del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, per le professioni dell’area tecnica, dispone infatti che l’organo giurisdizionale possa liquidare il compenso, rispetto ai parametri minimi e massimi previsti dalla tabella Z-1 allegata al decreto, con un aumento o una diminuzione del 60 per cento in ragione della natura dell'opera, del pregio della prestazione, dei risultati e dei vantaggi, anche non economici, conseguiti dal cliente, e dell'eventuale urgenza della prestazione.
L’art. 3 della legge n. 49 del 2023 definisce come iniquo il compenso che si ponga al di sotto della soglia minima così quantificata, in quanto tale suscettibile di dichiarazione giudiziale di nullità, su iniziativa del professionista, e di rideterminazione giudiziale secondo i parametri previsti dal decreto.
La normativa sui contratti pubblici non prevede invece analoghi meccanismi nell’individuazione del corrispettivo dovuto al professionista.
L’art. 41, comma 15, del D.lgs. n. 36 del 2023, nel testo ratione temporis applicabile alla fattispecie in esame, prevede che “nell’allegato I.13 sono stabilite le modalità di determinazione dei corrispettivi per le fasi progettuali da porre a base degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura […]”, commisurati al livello qualitativo delle prestazioni e delle attività relative alle varie fasi interessate, e che “i predetti corrispettivi sono utilizzati dalle stazioni appaltanti e dagli enti concedenti ai fini dell'individuazione dell'importo da porre a base di gara dell'affidamento”.
L’allegato I.13 richiamato dalla norma sopra citata, come chiarito dall’art. 1, reca la “disciplina le modalità di determinazione dei corrispettivi dovuti per le fasi progettuali da porre a base degli affidamenti dei servizi di ingegneria e architettura, determinati, mediante attualizzazione del quadro tariffario di cui alla tabella Z-2 del decreto del Ministro della giustizia 17 giugno 2016”.
A sua volta il decreto 17 giugno 2016 del Ministero della Giustizia, adottato di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, recante “Approvazione delle tabelle dei corrispettivi commisurati al livello qualitativo delle prestazioni di progettazione adottato ai sensi dell'art. 24, comma 8, del decreto legislativo n. 50 del 2016”, come chiarito dalla pronunce di appello sopra menzionate, ha il solo scopo di costituire per le stazioni appaltanti la base di riferimento ai fini dell’individuazione dell’importo da porre a base di gara, sul quale può svolgersi, in un’ottica proconcorrenziale, il ribasso proposto dagli operatori la cui sostenibilità giuridica ed economica può essere esaminata esclusivamente nel sub procedimento di verifica dell’anomalia.
Alla luce di tali premesse le censure proposte, che muovono dall’infondato presupposto dell’applicabilità della disciplina prevista dalla legge n. 49 del 2023 ai contratti pubblici, non possono trovare un riscontro favorevole, non potendosi configurare un contrasto tra la lex specialis e una disciplina imperativa che possa dar luogo al meccanismo di eterointegrazione contrattuale ai sensi degli articoli art. 1376 e 1339 cod. civ. nel senso prospettato dai ricorrenti.
Infatti “i due meccanismi divisati dal d.m. n. 140/2012 e dal D.I. 17 giugno 2016 pur recando un nucleo comune (la formula moltiplicatoria per il compenso) differiscono quanto a natura della fonte normativa (si tratta di due regolamenti ministeriali ben distinti, l’uno ministeriale, l’altro interministeriale), scopi (l’uno mira a disciplinare la liquidazione dei compensi equi, l’altro punta alla determinazione dei corrispettivi da porre a base di gara) e struttura (l’una si contraddistingue per un range di flessibilità, mentre l’altro definisce un importo fisso) legittimando una ricostruzione dicotomica nel senso che la prima fonte individua il minimum corrispettivo inderogabile (il compenso equo ribassabile sino al 60%), mentre la seconda individua il corrispettivo equo da porre a base di gara” ( in questi termini il punto 5.4, paragrafo iv, della parte in diritto della sentenza Consiglio di Stato, Sez. III, 27 gennaio 2025, n. 594).
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