ART. 26. (Disciplina economica dell'esecuzione dei lavori pubblici).

ARTICOLO ABROGATO DAL D.LGS. 12 APRILE 2006, N. 163

1. Le amministrazioni aggiudicatrici concedono ed erogano all'appaltatore, entro quindici giorni dalla data di effettivo inizio dei lavori, accertata dal responsabile del procedimento, un'anticipazione sull'importo contrattuale per un valore pari al 10 per cento dell'importo stesso, che è gradualmente recuperata in corso d'opera. Sul relativo importo, in caso di mancata erogazione, decorrono gli interessi di mora previsti dal capitolato generale.

2. L'articolo 33 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, è abrogato.

3. Per i lavori pubblici affidati dalle amministrazioni aggiudicatrici e dagli altri enti aggiudicatori o realizzatori non è ammesso procedere alla revisione dei prezzi e non si applica il primo comma dell'articolo 1664 del codice civile.

4. Per i lavori di cui al comma 3 si applica il prezzo chiuso, consistente nel prezzo dei lavori al netto del ribasso d'asta, aumentato di una percentuale da applicarsi, nel caso in cui la differenza tra il tasso di inflazione reale e il tasso di inflazione programmato nell'anno precedente sia superiore al 2 per cento, all'importo dei lavori ancora da eseguire per ogni anno intero previsto per l'ultimazione dei lavori stessi. Tale percentuale è fissata, con decreto del Ministro dei lavori pubblici da emanare entro il 30 giugno di ogni anno, nella misura eccedente la predetta percentuale del 2 per cento. In sede di prima applicazione della presente legge, il decreto è emanato entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore della legge stessa.

5. Le disposizioni di cui alla legge 21 febbraio 1991, n. 52, sono estese ai crediti verso le pubbliche amministrazioni derivanti da contratti di appalto di lavori pubblici, di concessione di lavori pubblici e da contratti di progettazione nell'ambito della realizzazione di lavori pubblici.

6. I progettisti e gli esecutori di lavori pubblici sono soggetti a penali per il ritardato adempimento dei loro obblighi contrattuali. L'entità delle penali e le modalità di versamento sono disciplinate dal regolamento.



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Giurisprudenza e Prassi

LAVORI DI MANUTENZIONE E SERVIZI DI MANUTENZIONE - DIFFERENTE REGIME PER LA REVISIONE PREZZI

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2024

Secondo i giudici, la motivazione della sentenza impugnata, sebbene sintetica, tiene conto delle emergenze processuali e quindi, nel condividere le conclusioni del verificatore, argomenta sulle ragioni che inducono a qualificare l’appalto, sostenendo che “il fatto che il codice degli appalti non preveda la revisione dei prezzi per un appalto di lavori deriva dalla circostanza che l’appalto dei lavori può avere anche una lunga durata se l’opera da realizzare è di particolare complessità, ma non prevede certo un’esecuzione periodica come, invece, può verificarsi per gli appalti di forniture e di servizi”.

Né si può predicare un vizio motivazionale della decisione non essendo stata specificamente allegata dall’appellante una precisa circostanza di fatto, di natura decisiva, che il giudice del merito abbia omesso di considerare.

Nell’economia complessiva dell’appalto per cui è causa gli obblighi essenziali posti a carico dell’appaltatore sono consistiti in un appalto di lavori, mentre le prestazioni accessorie, pur valorizzate dalla società appellante nei propri scritti difensivi e nelle censure prospettate in appello, hanno rivestito effettivamente carattere complementare. Né si può sostenere, come invece prospetta la ricorrente, la natura mista del negozio, ritenuto che la società -OMISSIS- si è limitata solo ad allegare, senza alcun idoneo supporto probatorio, che ‘i lavori’ hanno riguardato altre prestazioni, quale la fornitura di soli materiali e/o soli mezzi, e/o sola manodopera, senza specificare (e provare) se tali prestazioni hanno assunto o meno un rilievo inferiore al 50% per cento, così come prevedono gli artt. 26, commi 3 e 4 bis e 2, comma 1, della legge n. 109 del 1994.

L’ANAC, nel parere precontenzioso n. 756 del 5 settembre 2018, precisa che: “La distinzione, nell’ambito della manutenzione, tra servizi (di manutenzione) e lavori (di manutenzione) è stata oggetto di una intensa attività interpretativa che condotto l’Autorità, unitamente alla giurisprudenza, ad osservare come il concetto di ‘manutenzione’ rientri nell’ambito dei lavori pubblici qualora l’attività dell’appaltatore comporti un’azione prevalente ed essenziale di modificazione della realtà fisica (c.d.quid novi) che prevede l’utilizzazione, la manipolazione e l’installazione di materiale aggiuntivi e sostitutivi non inconsistenti sul piano strutturale e funzionale (pareri di precontenzioso del 13 giugno 2008, n. 184, del 21 maggio 2008, n. 151, del 3 ottobre 2007, n. 55; Consiglio di Stato, sez. VI, 16 dicembre 1998, n. 1680; Consiglio di Stato, sez. V, 4 maggio 2001, n. 1518, e Consiglio di Stato, sez. IV, 21 febbraio 2005, n. 537). Viceversa, qualora tali azioni non si traducano in una essenziale/ significativa modificazione dello stato fisico del bene, l’attività si configura come prestazione di servizi”.

Nella specie, la modesta rilevanza delle prestazioni accessorie e la sostanziale modifica della realtà fisica, come è dato evincere dai certificati di collaudo prodotti dalla società appellante, consentono di ricondurre certamente l’appalto in questione all’appalto di lavori, per il quale, per la legge ratione temporis applicabile, non è consentita la revisione prezzi.

CESSIONE CREDITI - APPLICAZIONE CODICE CIVILE

CASSAZIONE CIVILE SENTENZA 2007

La Corte di Cassazione ha affermato che per i crediti derivanti da contratto di appalto di lavori pubblici stipulati nel vigore della legge 109/1994 restano valide le norme speciali che regolavano in precedenza la cessione dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione (art. 9, allegato E, artt. 351 e 355, allegato F, della legge 20 marzo 1865, n. 2248; artt. 69 e 70 del r.d. 18 novembre del 1923 n. 2440).

Analizzando la fattispecie della cessione dei crediti nei confronti della pubblica amministrazione, la Corte ha ritenuto opportuno chiarire che tale disciplina ha natura derogatoria rispetto alla comune disciplina della cessione dei crediti prevista dal codice civile, “la cui ratio va individuata nella necessità di evitare che, durante l’esecuzione del contratto, possano venire meno i mezzi finanziari al soggetto obbligato alla prestazione a favore della P.A. A sua volta, la disciplina della cessione dei crediti di impresa di cui alla Legge n. 52 del 1991 costituisce una normativa derogatoria rispetto alla disciplina comune in tema di cessione di crediti quale risultante dal c.c., tanto che l’art 1, comma 2, della Legge citata, prevede espressamente che, in caso di non applicabilità della disciplina di cui al comma 1 per le cessioni prive dei requisiti prescritti dal medesimo comma, “resta salva l’applicazione delle norme del codice civile”.

Deve quindi ritenersi che la L. n. 109 del 1994, art 26, comma 5, nel rendere applicabile ai contratti di appalto di lavori pubblici la disciplina della L. 52 del 1991, abbia inteso rendere operante la disciplina derogatoria posta da tale legge per i crediti di impresa, ma non anche procedere all’abrogazione delle norme speciali che regolavano in precedenza la cessione dei crediti nei confronti della p.a., rendendo applicabile, per le cessioni non rispondenti alle prescrizioni di cui alla L. 52 del 1991, la disciplina codicistica.

Il Collegio chiarisce che nonostante la decisione in oggetto riguardasse i contratti stipulati nella vigenza della legge 109/1994, essa appare di stretta attualità poiché il rinvio alla legge 52/1991 non è venuto meno per effetto dell’abrogazione della legge Merloni da parte del D. Lgs. 163/2006. L’art. 117 del decreto infatti, oltre a dettare delle disposizioni ulteriori specifiche, rinvia all’art. 1 della legge 52/1991, in modo analogo al rinvio operato dal comma 5 dell’art. 26 della legge 109/1994. Tale articolo nel confermare la cedibilità dei crediti nei confronti della P.A. derivanti dall’esecuzione di appalti per lavori pubblici, ribadisce la necessità che il cessionario sia una impresa qualificata (comma 1, periodo 2) e, per l’eventualità che il cessionario non sia in possesso dei prescritti requisiti non prevede l’applicabilità delle norme generali del c.c., cosi come invece disposto dalla L. n. 52 del 1991, art. 1, comma 2, per la cessione dei crediti di impresa in genere.

REVISIONE PREZZI

CORTE COSTITUZIONALE SENTENZA 2006

Alla luce della evoluzione normativa, deve ritenersi che la disciplina statale, e, in particolare, l'art. 26 della legge n. 109 del 1994, come modificato dalla legge n. 311 del 2004, possegga i caratteri sostanziali identificativi delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, al di là della autoqualificazione effettuata dall'art. 1 della stessa legge n. 109 del 1994, secondo il quale «i principi desumibili dalle disposizioni» contenuti nella predetta legge «costituiscono norme fondamentali di riforma economico-sociale».

È indubbio, infatti, che l'istituto della revisione prezzi risponda ad un interesse unitario, afferendo a scelte legislative di carattere generale che implicano «valutazioni politiche e riflessi finanziari, che non tollerano discipline differenziate nel territorio».

Ne consegue che al legislatore statale, nella materia de qua, deve riconoscersi, nella regolamentazione del settore, il potere di vincolare la potestà legislativa primaria anche delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome.

REVISIONE PREZZI

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2006

L’art. 26, comma 4, della legge n. 109 del 1994, va infatti inteso nel senso che il decreto ministeriale previsto dalla sua seconda parte, al fine di fissare l’eventuale percentuale di aumento del prezzo dei lavori al netto del ribasso d’asta (c.d. “prezzo chiuso”), determinata nella misura eccedente la percentuale del 2% di differenza tra tasso di inflazione reale e tasso di inflazione programmato nell’anno precedente, vada comunque annualmente emanato da parte dell’Amministrazione competente. Si deve infatti ritenere che, anno per anno, spetti necessariamente all’Amministrazione di effettuare il rilievo dello scostamento tra inflazione programmata e inflazione reale, perché solo ove tale operazione sia compiuta è possibile affermare o negare che la seconda abbia avuto una eccedenza percentuale rispetto alla prima superiore al 2%. Dall’inevitabile effettuazione di tale operazione, che risulta in un incombente imposto dal dettato della norma in questione con riferimento ad un’epoca anteriore al 30 giugno di ogni anno, discende che l’attività comunque posta a carico dell’Amministrazione debba poi essere esternata nel decreto del Ministero dei lavori pubblici da emanare entro la data suddetta.