Art. 122. Recesso dal contratto e valutazione del decimo

ARTICOLO ABROGATO DAL D.P.R. 5 OTTOBRE 2010, N. 207

1. La stazione appaltante ha il diritto di recedere in qualunque tempo dal contratto previo il pagamento dei lavori eseguiti e del valore dei materiali utili esistenti in cantiere, oltre al decimo dell'importo delle opere non eseguite.

2. Il decimo dell'importo delle opere non eseguite è calcolato sulla differenza tra l'importo dei quattro quinti del prezzo posto a base di gara, depurato del ribasso d'asta, e l'ammontare netto dei lavori eseguiti.

3. L'esercizio del diritto di recesso è preceduto da formale comunicazione all'appaltatore da darsi con un preavviso non inferiore a venti giorni, decorsi i quali la stazione appaltante prende in consegna i lavori ed effettua il collaudo definitivo.

4. I materiali il cui valore è riconosciuto dalla stazione appaltante a norma del comma 1 sono soltanto quelli già accettati dal direttore dei lavori prima della comunicazione dello scioglimento del contratto.

5. La stazione appaltante può trattenere le opere provvisionali e gli impianti che non siano in tutto o in parte asportabili ove li riteneva ancora utilizzabili. In tal caso essa corrisponde all'appaltatore, per il valore delle opere e degli impianti non ammortizzato nel corso dei lavori eseguiti, un compenso da determinare nella minor somma fra il costo di costruzione e il valore delle opere e degli impianti al momento dello scioglimento del contratto.

6. L'appaltatore deve rimuovere dai magazzini e dai cantieri i materiali non accettati dal direttore dei lavori e deve mettere i predetti magazzini e cantieri a disposizione della stazione appaltante nel termine stabilito; in caso contrario lo sgombero è effettuato d'ufficio ed a sue spese.

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Giurisprudenza e Prassi

RISOLUZIONE PER INADEMPIMENTO E RISARCIMENTO DANNI

LODO ARBITRALE 2010

La quantificazione del risarcimento del danno dovuto a seguito della risoluzione per inadempimento opera diversamente rispetto all'indennizzo in caso di recesso previsto dall'art. 134 del D.lgs 163 del 2006

RECESSO E QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO DANNI

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2009

L’utile economico che la giurisprudenza riconosce nella misura del 10% (con riferimento all’art. 345 della L. n. 2248/1865, all. F ora riprodotto dall’art. 122 del regolamento emanato con dpr n. 554/99), è applicabile solo nel caso in cui “l’impresa possa documentare di non aver potuto utilizzare le maestranze ed i mezzi, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri servizi. Nel caso in cui, invece, tale dimostrazione non sia stata offerta è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altri analoghi lavori o di servizi o di forniture, cosi' vedendo in parte ridotta la propria perdita di utilita'; in tale ipotesi il risarcimento puo' essere ridotto in via equitativa, in misura pari al 5% dell’offerta dell’impresa.

RISARCIMENTO DANNI

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2007

La Sezione osserva che il pregiudizio risarcibile (l’onere della cui dimostrazione incombe sempre sul ricorrente, presunto danneggiato) si compone, secondo la definizione data dall’art.1223 cod. civ., del danno emergente e del lucro cessante, ossia della diminuzione reale del patrimonio del privato, per effetto di esborsi connessi alla (inutile) partecipazione al procedimento di gara; nonché della perdita di un'occasione di guadagno o, comunque, di un'utilità economica connessa all'adozione o all'esecuzione del provvedimento illegittimo.

Per quanto riguarda l'onere della prova, per la prima voce di danno (quello emergente) da parte della stessa giurisprudenza si ritiene sufficiente che siano documentate le spese sostenute; per la seconda (lucro cessante) sussistono maggiori difficoltà, in quanto il privato deve dimostrare anche il mancato accrescimento della sua sfera patrimoniale nella misura che avrebbe raggiunto se il provvedimento amministrativo riconosciuto illegittimo non fosse stato adottato od eseguito.

In ogni caso, perché “sia ritualmente assolto l’onere della prova, è, tuttavia, necessario che il ricorrente danneggiato alleghi gli elementi di fatto e gli indizi sulla cui base possono individuarsi i parametri presuntivi di determinazione del danno”.

ACCESSO AGLI ATTI - AMMISSIBILITA' E LIMITI

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2007

E’ jus receptum che le regole di trasparenza si applicano non solo alle pubbliche amministrazioni in senso stretto, ma anche ai soggetti privati chiamati all’espletamento di compiti di interesse pubblico, come i concessionari di pubblici servizi, società pubbliche ad azionariato pubblico, etc.; in particolare, è stato più volte precisato che l’attività amministrativa, cui si correla il diritto di accesso di cui agli articoli 22 e seguenti della legge 7 agosto 1990, n. 241, concerne non solo quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che, pur non costituendo direttamente gestione del servizio, sia collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità anche sul versante soggettivo, dall’intensa conformazione pubblicistica; del resto anche gli atti disciplinati dal diritto privato rientrano nell’attività di amministrazione degli interessi della collettività e dunque sono soggetti ai principi di trasparenza e di imparzialità, non avendo in tal senso la legge stabilito alcuna deroga o zona franca.

La giurisprudenza ha già riconosciuto in situazioni del tutto analoghe il diritto all’accesso, precisando – ad esempio - che la ditta subappaltatrice dell’impresa titolare di un contratto di appalto di opere pubbliche (nella specie, lavori di ristrutturazione del centro storico di un comune) ha diritto di acceso, ai sensi dell’articolo 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, alla copia del registro di contabilità, trattandosi di documentazione che, seppure afferente a rapporti interni tra stazione appaltante e appaltatore (e quindi formalmente privatistica), attiene tuttavia al contratto e all’esecuzione dei lavori e quindi ad un ambito di rilevanza pubblicistica, giacché attraverso l’esecuzione delle opere l’amministrazione mira essenzialmente a perseguire le proprie finalità istituzionali; è stato altresì ammesso il diritto di accesso anche con riferimento agli atti utilizzati ai fini dell’esercizio del diritto di recesso ex art. 122 del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, da qualificarsi come documenti amministrativi ai sensi dell’articolo 22 della legge 7 agosto 1990, n. 241, e, quindi, non sottratti all’obbligo di ostensione.

Quanto alla dedotta interferenza della domanda di accesso con altri giudizi civili pendenti tra le parti, è stato pertanto chiarito che il diritto di accesso ai documenti non è ostacolato dalla pendenza di un giudizio civile o amministrativo nel corso del quale gli stessi documenti potrebbero essere stati richiesti; ciò senza contare che la società appellata ha contestato la completezza e la esaustività dei documenti che sono stati depositati dalla società appellante nel giudizio civile pendente tra le parti innanzi al Tribunale di Firenze, sezione distaccata di Pontassieve.

Del tutto incomprensibile è il richiamo al comma 7 dell’articolo 24 della legge 7 agosto 1990, n. 241, che impone garanzie in caso di accesso ai documenti contenenti dati sensibili e giudiziari, in caso di dati idonei a rilevare lo stato di salute e la vita sessuale che non si rinvengono (o comunque non sono stati rappresentati) nel caso in esame.

RISARCIMENTO DANNI PER ILLEGITTIMA ESCLUSIONE DELL'OPERATORE ECONOMICO

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2007

L’illegittimità dell’esclusione dell’operatore economico dall’aggiudicazione comporta la richiesta di risarcimento dei danni. La quantificazione del danno risarcibile è pari al 5% dell’offerta indicata. Questa percentuale è stata indicata dall’impresa. E ciò in applicazione del criterio corrente in giurisprudenza che applica in via analogica l'art. 345 della legge 20 marzo 1865, n. 2248, allegato F, sulle opere pubbliche, ora sostanzialmente riprodotto dall'art. 122 del regolamento emanato con D.P.R. n. 554/99. Il danno emergente può essere liquidato in via equitativa nella misura del 2% del prezzo offerto: la relativa voce comprende (a) le spese o costi sostenuti per la preparazione dell'offerta e per la partecipazione alla procedura di aggiudicazione (art. 2, comma 7, della direttiva del Consiglio delle Comunità Europee del 25 febbraio 1992, 92/13/CEE) e (b) il pregiudizio per la perdita di chance legata all'impossibilità di far valere, nelle future contrattazioni, il requisito economico legato all'esecuzione dei lavori. La determinazione in misura equitativa è giustificata dalla vicinanza della sede dell’impresa a quella dei lavori.

DETERMINAZIONE DANNO EQUIVALENTE

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2007

Nella determinazione del danno per equivalente, la Sezione ha ritenuto che anche nell’ipotesi di risarcimento dovuto a seguito dell'annullamento della aggiudicazione di un appalto di servizi o forniture, il lucro cessante debba essere determinato in misura pari al 10% del valore della fornitura, in applicazione analogica dell'art. 345, l. 2248 del 1865 all. F, sulle opere pubbliche, ora sostanzialmente riprodotto dall'art. 122 del regolamento emanato con D.P.R. n. 554/99.