Art. 84 Definizioni

1. La documentazione antimafia è costituita dalla comunicazione antimafia e dall'informazione antimafia.

2. La comunicazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67.

3. L'informazione antimafia consiste nell'attestazione della sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67, nonché, fatto salvo quanto previsto dall'articolo 91, comma 6, nell'attestazione della sussistenza o meno di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate indicati nel comma 4.

4. Le situazioni relative ai tentativi di infiltrazione mafiosa che danno luogo all'adozione dell'informazione antimafia interdittiva di cui al comma 3 sono desunte:

a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353, 353-bis, 603-bis, 629, 640-bis, 644, 648-bis, 648-ter del codice penale, dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, del codice di procedura penale e di cui all'articolo 12-quinquies del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356 ((, nonché dei delitti di cui agli articoli 2, 3 e 8 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74));

b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione;

c) salvo che ricorra l'esimente di cui all'articolo 4 della legge 24 novembre 1981, n. 689, dall'omessa denuncia all'autorità giudiziaria dei reati di cui agli articoli 317 e 629 del codice penale, aggravati ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, da parte dei soggetti indicati nella lettera b) dell'articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste;

d) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell'interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all'articolo 93 del presente decreto;

e) dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d);

f) dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l'intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia.

4-bis. La circostanza di cui al comma 4, lettera c), deve emergere dagli indizi a base della richiesta di rinvio a giudizio formulata nei confronti dell'imputato e deve essere comunicata, unitamente alle generalità del soggetto che ha omesso la predetta denuncia, dal procuratore della Repubblica procedente alla prefettura della provincia in cui i soggetti richiedenti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, hanno sede ovvero in cui hanno residenza o sede le persone fisiche, le imprese, le associazioni, le società o i consorzi interessati ai contratti e subcontratti di cui all'articolo 91, comma 1, lettere a) e c) o che siano destinatari degli atti di concessione o erogazione di cui alla lettera b) dello stesso comma 1.
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Giurisprudenza e Prassi

INFORMAZIONE INTERDITTIVA ANTIMAFIA - L'AGGIUDICAZIONE VA ANNULLATA IN AUTOTUTELA (80.2)

ANAC PARERE 2024

In presenza di una informazione interdittiva antimafia emessa dal Prefetto competente, la stazione appaltante, conformandosi al suddetto provvedimento, deve annullare in autotutela l'aggiudicazione disposta per perdita in capo al concorrente del requisito dell'assenza di tentativi di infiltrazione mafiosa.

INTERDITTIVA ANTIMAFIA E INDICI PROBATORI - CRITERIO DEL “PIÙ PROBABILE CHE NON”

TAR CALABRIA RC SENTENZA 2023

In linea generale, l’informativa antimafia, per come disciplinata dagli artt. 84 e ss. D.lgs. n. 159/2011, non si esaurisce nell’attestazione circa la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all’articolo 67 D.lgs. n. 159/2001 né nel mero accertamento di uno dei pregiudizi penali rientranti nell’ambito del cd. reati spia di cui all’art. 84 comma 4 citato D.lgs., traducendosi piuttosto in una valutazione altamente discrezionale, operata dal Prefetto, circa il pericolo di infiltrazione mafiosa, tendente a condizionare le scelte e gli indirizzi del soggetto giuridico attenzionato, desumibile dal coacervo degli elementi istruttori acquisiti i quali, complessivamente considerati, appaiono idonei a supportare la prognosi di permeabilità a condizionamenti, anche soltanto passivi, della criminalità organizzata.

Si tratta, in buona sostanza, di una misura preventiva, volta a garantire un ruolo di massima anticipazione all’azione di prevenzione in ordine ai pericoli di inquinamento mafioso.

Ne consegue, ai fini della legittimità dell’interdittiva, la necessità di un quadro indiziario idoneo, secondo il noto criterio del “più probabile che non”, a supportare un ragionevole convincimento sulla sussistenza di un “condizionamento mafioso”, non richiedendosi la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di riscontri sintomatici, in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento/condizionamento con organizzazioni mafiose.

Di tale valutazione discrezionale il Prefetto è tenuto a dare conto mediante la predisposizione, anche per relationem agli atti istruttori, di un congruo impianto motivazionale, necessario alla verifica giurisdizionale circa la non manifesta illogicità e ragionevolezza della valutazione inferenziale dallo stesso operata.

Quanto sopra trova riscontro in quel consolidato orientamento, anche della giurisprudenza di secondo grado, secondo cui «In sede di impugnazione di una interdittiva antimafia il giudice amministrativo è chiamato a valutare la gravità del quadro indiziario, posto a base della valutazione prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, e il suo sindacato sull’esercizio del potere prefettizio, con un pieno accesso ai fatti rivelatori del pericolo, consente non solo di sindacare l’esistenza o meno di questi fatti, che devono essere gravi, precisi e concordanti, ma di apprezzare la ragionevolezza e la proporzionalità della prognosi inferenziale che l’autorità amministrativa trae da quei fatti secondo un criterio che, necessariamente, è probabilistico per la natura preventiva, e non sanzionatoria, della misura in esame; il sindacato per eccesso di potere sui vizi della motivazione del provvedimento amministrativo, anche quando questo rimandi per relationem agli atti istruttori, scongiura il rischio che la valutazione del Prefetto divenga, appunto, una “pena del sospetto” e che la portata della discrezionalità amministrativa in questa materia, necessaria per ponderare l’esistenza del pericolo infiltrativo in concreto, sconfini nel puro arbitrio» (così Consiglio di Stato sez. III, 02/11/2020, n. 6740; v. anche Cons. Stato sez. III, 14 luglio 2020 n. 4548).

L’applicazione dei sopra esposti principi al caso in esame consente di escludere l’illegittimità della informativa prefettizia in contestazione, in quanto analiticamente motivata in ragione di un coacervo di elementi sintomatici i quali, complessivamente considerati, sono idonei a supportare il giudizio probabilistico di permeabilità dell’impresa attenzionata.



INTERDITTIVA ANTIMAFIA - NON SI APPLICA AL LIBERO PROFESSIONISTA CHE OPERA COME PERSONA FISICA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2023

Con l’unico, articolato motivo di gravame le amministrazioni appellanti censurano la decisione impugnata in relazione al punto, sopra richiamato, della (im)possibilità di adottare un provvedimento antimafia a contenuto interdittivo nei confronti di un soggetto giuridico che non eserciti attività d’impresa. La questione infatti oggetto di contenzioso non è propriamente quella della esclusione o meno dei contratti dei liberi professionisti, ma quella dell’assoggettabilità di tale ultima categoria alla disciplina dell’istituto dell’informativa (posto che, prima di potersene affermare l’esclusione in determinati casi, occorre aver risolto positivamente il quesito – logicamente presupposto - relativo all’astratta inclusione).

Il problema impone dunque anzitutto l’esame della delimitazione delle categorie di soggetti che possono essere attinti dal provvedimento limitativo della loro capacità giuridica speciale.

In tali categorie, tassativamente individuate dalla disposizione primaria (pur nel contesto di una previsione dai confini applicativi piuttosto estesi), non rientrano i liberi professionisti che non siano organizzati in forma d’impresa.

Il principio di tassatività - che deve regolare l’esercizio del potere (in punto di ricognizione dei possibili destinatari del provvedimento interdittivo) - impedisce che l’incapacità giuridica relativa recata dal provvedimento afflittivo di cui si tratta possa essere – per soggetti non contemplati come destinatari dalla disposizione attributiva del potere - un effetto non espressamente previsto dalla legge, ma desunto per implicito da un’interpretazione sistematica (peraltro, come si dirà, ancorata a parametri disomogenei, quali il valore e l’oggetto dei contratti) che comporti la conseguenza dell’ampliamento dell’ambito soggettivo di applicazione della stessa.

Il principio di legalità impone inoltre che nell’esegesi di una simile disposizione il dato letterale non venga superato, in senso afflittivo e limitativo delle libertà dei soggetti interessati, da un’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione non espressamente contemplata dal legislatore (in questo senso, oltre al richiamato provvedimento cautelare reso nel corso del presente giudizio, si veda anche l’ordinanza della Sezione n. 3254/2022).

INTERDITTIVA ANTIMAFIA E COMUNICAZIONE ANTIMAFIA - CONTROLLO GIUDIZIARIO

CORTE CASSAZIONE SENTENZA 2021

"L'accertamento dello stato di condizionamento e di infiltrazione non puo' (...) essere soltanto funzionale a fotografare lo stato attuale di pericolosita' oggettiva in cui versi la realta' aziendale a causa delle relazioni esterne patologiche, quanto piuttosto a comprendere e a prevedere le potenzialita' che quella realta' ha di affrancarsene seguendo l'iter che la misura alternativa comporta". Pertanto, "sebbene sia indubbio che il tribunale non abbia potere di sindacato sulla legittimita' della interdittiva antimafia adottata dal prefetto, per la evidente autonomia dei mandati delle due giurisdizioni, e' anche vero che l'intera gamma delle situazioni richiamate dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34-bis, comma 6, e' devoluta alla sua cognizione, dovendosi esso esprimere non solo sulla applicabilita' del controllo giudiziario "di cui al comma 2, lettera b)", articolo citato - cioe' quello che prevede la nomina del giudice delegato e dell'amministratore giudiziario con poteri di controllo - ma anche di verificare il ricorso dei relativi presupposti - e cioe' la occasionalita' della agevolazione ai soggetti mafiosi e non ivi previsti, il pericolo concreto di infiltrazioni mafiose e la sua intensita' - e saggiare la sussistenza delle condizioni per applicare uno o piu' degli obblighi informativi ed anche gestionali previsti dall'articolo 34-bis, comma 3".

Del resto il Consiglio di Stato anche di recente (Cons. Stato, AP n. 12 del 2017; Cons. Stato, sez. 3, 3 maggio 2016 n. 1743) ha rilevato che l'interdittiva antimafia e' misura volta - ad un tempo - alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica Amministrazione. Con il provvedimento in parola si mira, infatti, a prevenire tentativi di infiltrazione mafiosa nelle imprese, volti a condizionare le scelte e gli indirizzi della Pubblica Amministrazione e si esercita una funzione di tutela sia dei principi di legalita', imparzialita' e buon andamento, riconosciuti dall'articolo 97 Cost., sia dello svolgimento leale e corretto della concorrenza tra le stesse imprese nel mercato, sia, infine, del corretto utilizzo delle risorse pubbliche (Cons. Stato, sez. 3, 31 dicembre 2014 n. 6465).

L'interdittiva, secondo il Consiglio di Stato, determina dunque una particolare forma di incapacita' giuridica ex lege parziale del destinatario ad essere titolare di quelle situazioni giuridiche soggettive (diritti soggettivi, interessi legittimi) che determinino (sul proprio cd. lato esterno) rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione (Cons. Stato, sez. 4, 20 luglio 2016 n. 3247). Parziale, in quanto limitata a specifici rapporti giuridici con la Pubblica Amministrazione e tendenzialmente temporanea, con la conseguenza che al soggetto persona fisica o giuridica - e' precluso avere con la Pubblica Amministrazione rapporti riconducibili a quanto disposto dal Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 67.

Del tutto diversa, quanto a presupposti, natura e finalita' e' la comunicazione Decreto Legislativo n. 159 del 2011, ex articolo 84, comma 2, che, invece, consiste in un'attestazione circa la sussistenza o meno di una delle cause di decadenza, sospensione o di divieto di cui al precedente articolo 67 cit. Il rilascio della comunicazione antimafia liberatoria,,e' immediatamente conseguente alla consultazione della banca dati nazionale unica, quando non emerge, a carico dei soggetti ivi censiti, la sussistenza delle citate cause di decadenza, sospensione o divieto (articolo 88, comma 1, Decreto Legislativo cit.).

La comunicazione antimafia e', dunque, il risultato di un'attivita' amministrativa vincolata, volta al mero accertamento delle cause di decadenza o divieto di cui all'articolo 67 cod. antimafia, che non prevede l'intervento del giudice della prevenzione.

Ne deriva che nessuna disparita' di trattamento puo' ravvisarsi nella previsione della norma che sancisce, per l'ammissibilita' della misura del controllo, su domanda della parte privata, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 34 bis, comma 6, il presupposto che l'impresa sia destinataria di informazione antimafia interdittiva, ai sensi dell'articolo 84, comma 4, cit..

L'istanza della parte privata, invero attiva un procedimento giurisdizionale, essendo finalizzata all'applicazione di una misura rappresentata dal controllo giudiziario dell'azienda, nel particolare caso, introdotto dal legislatore con L. n. 161 del 17 ottobre che 2017, che vuole la misura di prevenzione applicata su domanda non della parte pubblica (ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articoli 5 e 17) ma della parte privata, rappresentata da una impresa destinataria di informazione antimafia interdittiva. Tanto, con la specifica finalita' di potenziale recupero dell'ente ove sia stata verificata l'esistenza di un pericolo di infiltrazione mafiosa nell'attivita' di impresa (con agevolazione eventualmente solo occasionale) con applicazione in tal caso del controllo di cui all'articolo 34-bis, nelle forme e con le modalita' di cui al comma 2 della medesima disposizione.




INFORMATIVA ANTIMAFIA - INAPPLICABILE NEI RAPPORTI TRA PRIVATI

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2020

Il comma 1 dell’art. 83 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, infatti, ha individuato i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia di cui all'art. 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel precedente art. 67. Si tratta delle Pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonchè i concessionari di lavori o di servizi pubblici. A tali soggetti si aggiungono, in virtù del successivo comma 2, i contraenti generali previsti dal Codice die contratti pubblici.

Si tratta dunque di soggetti pubblici. Nel caso all’esame del Collegio, invece, la richiesta alla Prefettura di comunicazione antimafia è stata avanzata da …, quindi da un soggetto di indubbia natura privata.

Aggiungasi, ed il rilievo è assorbente di qualsiasi altra considerazione, che tale documentazione può essere utilizzata solo nei rapporti tra una Pubblica amministrazione ed il privato e non, come nella specie, nei rapporti tra privati.

É ben vero che la Sezione (2 settembre 2019, n. 6057; 2017, n. 565 e 2017, n. 1109 del 2017) ha affermato che le informazioni antimafia si applicano anche ai provvedimenti autorizzatori e alle attività soggette a s.c.i.a.. L’art. 89, comma 2, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede espressamente, alla lett. a), che l’autocertificazione, da parte dell’interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione, di cui all’art. 67, riguarda anche “attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla Pubblica amministrazione”. La Sezione ha quindi ritenuto che, per lo stesso tenore letterale del dettato normativo e per espressa volontà del legislatore antimafia, le attività soggette a s.c.i.a. non sono esenti dai controlli antimafia, e che il Comune ben possa, e anzi debba, verificare che l’autocertificazione dell’interessato sia veridica e richiedere al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria o revocare la s.c.i.a. in presenza di una informazione antimafia comunque comunicatagli o acquisita dal Prefetto.

Si tratta però, pur sempre, di un potere di controllo o di un legame, prefigurato dalla legge, tra la Pubblica amministrazione e il privato.

SINDACATO DEL GIUDICE AMMINISTRATIVO SULLE MISURE INTERDITTIVE

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2019

La costante giurisprudenza di questo Consiglio di Stato ha già chiarito che il pericolo di infiltrazione mafiosa deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, tipica dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa (v., per tutte, Cons. St., sez. III, 30 gennaio 2019, n. 758; Cons. St., sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743 e la giurisprudenza successiva di questa Sezione, tutta conforme, da aversi qui per richiamata).

Lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, del d. lgs. n. 159 del 2011 (qui in avanti, per brevità, anche codice antimafia) – riconosce quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di «eventuali tentativi» di infiltrazione mafiosa «tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate».

Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di queste ad influenzare la gestione dell’impresa sono all’evidenza tutte nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzate, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori. Il pericolo – anche quello di infiltrazione mafiosa – è per definizione la probabilità di un evento e, cioè, l’elevata possibilità e non mera possibilità, la semplice eventualità che esso si verifichi.

Il diritto amministrativo della prevenzione antimafia in questa materia non sanziona perciò fatti, penalmente rilevanti, né reprime condotte illecite, ma mira a scongiurare una minaccia per la sicurezza pubblica, l’infiltrazione mafiosa nell’attività imprenditoriale, e la probabilità che siffatto “evento” si realizzi.

Il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, non può tuttavia sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che “può” – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata».

E tuttavia il d. lgs. n. 159 del 2011 prevede anche, nell’art. 84, comma 4, lett. d), ingiustamente svalutato dall’appellante, che gli elementi sintomatici dell’infiltrazione mafiosa, anche al di là di quelli previsti dall’art. 91, comma 6, possano essere desunti anche «dagli accertamenti disposti dal prefetto», come è accaduto nel caso di specie.

Non ha perciò pregio la tesi dell’appellante, quando afferma che nel caso di specie l’informazione antimafia non si fonderebbe sulle condizioni tassativamente previste dagli artt. 84 e 91 del d. lgs. n. 159 del 2011 per l’emissione del provvedimento interdittivo, in quanto è pacifico e risulta per tabulas che, nel caso di specie, la Prefettura abbia svolto accertamenti ai sensi dall’art. 84, comma 4, lett. d), acquisendo dettagliate relazioni dalle Forze di polizia, e sulla base di tali accertamenti sia pervenuta alla conclusione ragionevole della permeabilità mafiosa.

INTERDITTIVA ANTIMAFIA – SOPRAVVENIENZA DI FATTI FAVOREVOLI - VERIFICHE

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2019

Con riguardo all’ampio lasso di tempo trascorso dai fatti ritenuti sintomatici di un rischio di permeabilità mafiosa, deve osservarsi che la giurisprudenza ha costantemente evidenziato (cfr., ex plurimis, Cons. Stato, V, n. 4602/2015; III, n. 292/2012; VI, n. 7002/2011) che, col decorso dell’anno, la misura interdittiva che rileva il pericolo di condizionamento mafioso non perde efficacia.

Il “venir meno delle circostanze rilevanti” di cui all’art. 91, comma 5, del d.lgs. n. 159 del 2011, non dipende, infatti, dal mero trascorrere del tempo, in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica (o perché ne controbilanciano, smentiscono e in ogni caso superano la valenza sintomatica, o perché rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo).

Sul piano letterale, la clausola rebus sic stantibus prevista dall’art. 86, comma 2, del d.lgs. n. 159 del 2011 comporta che in caso di sopravvenienza di fatti favorevoli all’imprenditore (ad es. in relazione ai casi di modificazioni degli assetti societari e gestionali dell’impresa, in ipotesi capaci di modificare la valutazione alla base dell’informativa) l’Amministrazione verifichi nuovamente se persistano ragioni di sicurezza e di ordine pubblico tali da prevalere sull’iniziativa e sulla libertà di impresa del soggetto inciso.

VALUTAZIONE PREFETTIZIA IN TEMA DI TENTATIVO DI INFILTRAZIONE MAFIOSA – INSUFFICIENZA SEMPLICI SOSPETTI PRIVI DI RISCONTRO FATTUALE (80.2)

TAR CALABRIA CZ SENTENZA 2019

L'ampia discrezionalità della valutazione prefettizia in tema di tentativo di infiltrazione mafiosa comporta, conseguentemente, che essa sia sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesti vizi di eccesso di potere per illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti (Cons. Stato, n. 1328 del 2016 e n. 4527 del 2014; TAR Campania, Napoli, n. 5297 del 2015), rimanendo estraneo al sindacato di legittimità del g.a. l'accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, assunti a base del provvedimento (in termini Cons. Stato, n. 4724 del 2001), i quali possono essere reprensibili unicamente sotto il profilo della sua logicità in relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons. Stato n. 7260 del 2010).

Inoltre il sindacato del giudice amministrativo va condotto sull'atto complessivamente considerato e non va parcellizzato nella disamina di ogni singolo elemento di fatto preso in considerazione dall'Amministrazione come sintomatico del pericolo di infiltrazione mafiosa, non venendo in rilievo, nel caso, la necessità di accertare singole e individuate responsabilità come invece necessariamente avviene nel processo penale, ma piuttosto l'esigenza, prevalente rispetto ad altre pur connesse ad interessi a rilievo costituzionale (come la libertà di iniziativa economica e la libertà di impresa), di porre un argine significativamente preventivo al pernicioso fenomeno del condizionamento mafioso dell'attività economica del paese (Tar Campania, Napoli, n. 1179 del 2016). Pertanto, gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

Al contrario, però, non possono reputarsi sufficienti fattispecie fondate sul semplice sospetto o su mere congetture prive di riscontro fattuale, occorrendo l'individuazione di idonei e specifici elementi di fatto, obiettivamente sintomatici e rivelatori di concrete connessioni o collegamenti con la criminalità organizzata (cfr. Tar Calabria, Catanzaro, n. 479 del 2010; TAR Sicilia, Palermo, n. 38 del 2006; TAR Campania, Napoli, n. 115 del 2004).

ISCRIZIONE WHITE LIST – DINIEGO – ANALOGIA CON INTERDITTIVA ANTIMAFIA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2019

Il diniego di iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori non soggetti a tentativo di infiltrazione mafiosa é disciplinato dagli stessi principi che regolano l’interdittiva antimafia, in quanto si tratta di misure volte alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della Pubblica amministrazione (Cons. St., sez. I, 1 febbraio 2019, n. 337; id. 21 settembre 2018, n. 2241).

Ha chiarito la Sezione (24 gennaio 2018, n. 492) che le disposizioni relative all'iscrizione nella cd. white list formano un corpo normativo unico con quelle dettate dal codice antimafia per le relative misure antimafia (comunicazioni ed informazioni), tanto che, come chiarisce l'art. 1, comma 52-bis, della l. n. 190 del 2012, introdotto dall'art. 29, comma 1, d.l. n. 90 del 2014 convertito, con modificazioni, dalla l. n. 114 del 2014, "l'iscrizione nell'elenco di cui al comma 52 tiene luogo della comunicazione e dell'informazione antimafia liberatoria anche ai fini della stipula, approvazione o autorizzazione di contratti o subcontratti relativi ad attività diverse da quelle per la quali essa è stata disposta"; “l'unicità e l'organicità del sistema normativo antimafia vietano all'interprete una lettura atomistica, frammentaria e non coordinata dei due sottosistemi - quello della cd. white list e quello delle comunicazioni antimafia - che, limitandosi ad un criterio formalisticamente letterale e di cd. stretta interpretazione, renda incoerente o addirittura vanifichi il sistema dei controlli antimafia”.

Come di recente ribadito dalla Sezione (30 gennaio 2019, n. 758, riprendendo un ormai consolidato orientamento del giudice di appello), l’informazione antimafia implica una valutazione discrezionale da parte dell’autorità prefettizia in ordine al pericolo di infiltrazione mafiosa, capace di condizionare le scelte e gli indirizzi dell’impresa. Tale pericolo deve essere valutato secondo un ragionamento induttivo, di tipo probabilistico, che non richiede di attingere un livello di certezza oltre ogni ragionevole dubbio, ti-OMISSIS-dell’accertamento finalizzato ad affermare la responsabilità penale, e quindi fondato su prove, ma implica una prognosi assistita da un attendibile grado di verosimiglianza, sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sì da far ritenere “più probabile che non”, appunto, il pericolo di infiltrazione mafiosa.

Ha aggiunto la Sezione (n. 758 del 2019) che lo stesso legislatore – art. 84, comma 3, d.lgs. n. 159 del 2011 – ha riconosciuto quale elemento fondante l’informazione antimafia la sussistenza di “eventuali tentativi” di infiltrazione mafiosa “tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”. Eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa e tendenza di questi ad influenzare la gestione dell’impresa sono nozioni che delineano una fattispecie di pericolo, propria del diritto della prevenzione, finalizzato, appunto, a prevenire un evento che, per la stessa scelta del legislatore, non necessariamente è attuale, o inveratosi, ma anche solo potenziale, purché desumibile da elementi non meramente immaginari o aleatori.

Il pericolo di infiltrazione mafiosa è, dunque, la probabilità che si verifichi l’evento.

PERICOLO DI INFILTRAZIONE MAFIOSA – ELEMENTI FATTUALI

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2019

Il pericolo dell’infiltrazione mafiosa, quale emerge dalla legislazione antimafia, non può sostanziarsi in un sospetto della pubblica amministrazione o in una vaga intuizione del giudice, che consegnerebbero questo istituto, pietra angolare del sistema normativo antimafia, ad un diritto della paura, ma deve ancorarsi a condotte sintomatiche e fondarsi su una serie di elementi fattuali, taluni dei quali tipizzati dal legislatore (art. 84, comma 4, del d. lgs. n. 159 del 2011: si pensi, per tutti, ai cc.dd. delitti spia), mentre altri, “a condotta libera”, sono lasciati al prudente e motivato apprezzamento discrezionale dell’autorità amministrativa, che «può» – si badi: può – desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa, ai sensi dell’art. 91, comma 6, del d. lgs. n. 159 del 2011, da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all’attività delle organizzazioni criminali «unitamente a concreti elementi da cui risulti che l’attività di impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata».

INFORMATIVA ANTIMAFIA – COMUNICAZIONE ANTIMAFIA – DIFFERENZA – INDIVIDUAZIONE

TAR TOSCANA SENTENZA 2018

L’informazione, a differenza della comunicazione, si fonda su una valutazione ampiamente discrezionale circa la sussistenza o meno di tentativi di infiltrazione mafiosa, che muove dall’analisi e dalla valorizzazione di specifici elementi fattuali i quali rappresentano obiettivi indici sintomatici di connessioni o collegamenti con associazioni criminali. L’art. 84, comma 4, d.lgs. n. 159 del 2011 prevede che tali elementi vengano desunti dal contenuto di atti giudiziari; da accertamenti di polizia o da vicende imprenditoriali particolarmente sintomatiche di un intento elusivo; l’art. 91, comma 6, del medesimo decreto prevede poi che il Prefetto possa desumere il tentativo di infiltrazione mafiosa anche da provvedimenti di condanna non definitiva per reati strumentali all'attività delle organizzazioni criminali, unitamente ad altri elementi dai quali emerga che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata.

(…) Ha ricordato il Tar che il giudizio deve essere prognostico, secondo la logica del "più probabile che non", anche se non necessariamente fondato su elementi certi come la condanna per reati associativi di tipo mafioso di componenti o organi della società, ma basato su indizi la cui valutazione faccia ragionevolmente ritenere che l’attività imprenditoriale venga condizionata da soggetti mafiosi, anche se per interposta persona (Cons. St., sez. III, 28 dicembre 2016, n. 5509; id. 29 dicembre 2016, n. 5533).

(…) La discrezionalità amministrativa è particolarmente ampia, ma non può essere esercitata sulla base del mero sospetto bensì attraverso l’enucleazione di idonei e specifici elementi di fatto i quali, nel loro complesso, siano obiettivamente sintomatici e rivelatori del rischio di collegamenti con la criminalità (Cons. St., sez. III, 29 febbraio 2016, n. 868). La valutazione giudiziale di questi elementi deve essere particolarmente attenta poiché il provvedimento de quo, come sopraesposto, crea una speciale incapacità incidente sulla libertà di impresa che è valore costituzionalmente garantito.

INTERDITTIVA ANTIMAFIA - INDIZI SINTOMATICI DI COLLEGAMENTO CON CRIMINALITA' ORGANIZZATA - SONO SUFFICIENTI

TAR PUGLIA BA SENTENZA 2017

L’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del D.Lgs. n. 159/2011, presuppone “concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata”.

Si tratta di una misura volta alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della P.A.: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore - pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione - meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le Pubbliche Amministrazioni.

Tale provvedimento evidentemente non richiede, per la sua adozione, la prova di un fatto, ma solo la presenza di elementi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento dell’impresa con organizzazioni mafiose o di un condizionamento dell’impresa stessa da parte di queste.

Deve riscontrarsi la presenza di fatti sintomatici ed indizianti che, considerati e valutati nel loro complesso, inducano ad ipotizzare la sussistenza di un collegamento tra impresa e criminalità organizzata.

Ciò presuppone e comporta nello stesso tempo un’ampia potestà discrezionale in capo all’organo istruttore, cui spettano i compiti di polizia e di mantenimento dell’ordine pubblico, in relazione alla ricerca ed alla valutazione di tale elementi, da cui poter desumere eventuali connivenze e collegamenti di tipo mafioso.

Il quadro indiziario dell’infiltrazione mafiosa posto a base dell’informativa deve dar conto in modo organico e coerente di quei fatti, aventi le caratteristiche di gravità, precisione e concordanza, dai quali, sulla base della regola causale del “più probabile che non”, si possa pervenire in via presuntiva alla conclusione ragionevole che tale rischio sussista (cfr. T.A.R. Lazio, Roma, Sez. I ter, 19.7.2017, n. 8737).

La misura dell’interdittiva antimafia, dunque, può essere emessa dall’Amministrazione in una logica di anticipazione della soglia di difesa dell’ordine pubblico economico e non postula, come tale, l’accertamento in sede penale di uno o più reati che attestino il collegamento o la contiguità dell’impresa con associazioni di tipo mafioso, potendo basarsi anche sul solo rilievo di elementi sintomatici che dimostrino il concreto pericolo di infiltrazioni della criminalità organizzata (cfr. Consiglio di Stato, Sez. III, 31.7.2017, n. 3827).

Il sindacato in sede giurisdizionale è così diretto soltanto ad accertare l’assenza di eventuali vizi della funzione, che possano essere sintomo di un non corretto esercizio del potere, quanto all’accuratezza dell’istruttoria, alla completezza dei dati e fatti acquisiti, alla non travisata valutazione dei fatti stessi, alla sufficienza della motivazione ed alla logicità e ragionevolezza delle conclusioni rispetto ai presupposti ed elementi di fatto presi in considerazione

REQUISITI GENERALI - INTERDITTIVA ANTIMAFIA - POSSIBILITÀ E LIMITI DI UN’ESTENSIONE DELL’INTERDITTIVA BASATA SU STABILI COLLEGAMENTI SOCIETARI – ELEMENTI PROBATORI

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2017

Questa Sezione, dopo la sentenza n. 923/2016, ha approfondito la problematica, pervenendo (cfr. sent. n. 2774/2016 e n. 1103/2017, nel solco dei principi enunciati in modo sistematico dalla sent. n. 1743/2016) a conclusioni che precisano le possibilità ed i limiti di un’estensione dell’interdittiva basata su stabili collegamenti societari, in particolare affermando che:

- uno degli indici del tentativo di infiltrazione mafiosa nell’attività d’impresa - di per sé sufficiente a giustificare l’emanazione di una interdittiva antimafia - è identificabile nella instaurazione di rapporti commerciali o associativi tra un’impresa e una società già ritenuta esposta al rischio di influenza criminale (cfr. al riguardo, ex multis, sent. n. 2232/2016), in ragione della valenza sintomatica attribuibile a cointeressenze economiche particolarmente pregnanti; queste, infatti, giustificano il convincimento, seppur in termini prognostici e probabilistici, che l’impresa controindicata trasmetta alla seconda il suo corredo di controindicazioni antimafia, potendosi presumere che la prima scelga come partner un soggetto già colluso o, comunque, permeabile agli interessi criminali a cui essa resta assoggettata (o che, addirittura, interpreta e persegue);

- soltanto là dove l’esame dei contatti tra le società riveli il carattere del tutto episodico, inconsistente o remoto delle relazioni d’impresa, deve escludersi l’automatico trasferimento delle controindicazioni antimafia dalla prima alla seconda società.

Nella medesima prospettiva, riguardo all’esistenza di rapporti commerciali ed alla presenza di imprese controindicate nel cantiere, questa Sezione ha affermato (cfr. sent. n. 3576/2016) che:

- se si considera dal punto di vista delle esigenze della disciplina di prevenzione antimafia, può ritenersi che risponda alla comune diligenza, esigibile nei confronti di qualunque impresa, e che comunque sia corollario di qualsiasi efficiente gestione aziendale, il compiere verifiche in ordine alla affidabilità delle imprese con cui si intrattengono rapporti commerciali.

- sulla base della logica causale del ‘non improbabile’ o del ‘più probabile che non’, che deve orientare le valutazioni in ordine alla completezza e logicità della motivazione dell’interdittiva, ovvero all’attendibilità ed alla verosimiglianza della configurazione del tentativo da parte delle consorterie malavitose di condizionare l’autodeterminazione dell’impresa (cfr., al riguardo, le sentt. n. 2553/2016 e n. 1743/2016), la presenza di imprese considerate contigue alla criminalità organizzata è significativa della sussistenza di tale condizionamento;

- non è necessario verificare se ciò sia stato determinato da una scelta dettata dall’esigenza di poter eseguire l’appalto senza difficoltà, da una negligente tolleranza, oppure dalla imposizione dell’interferenza da parte delle imprese controindicate, essendo comunque il risultato riconducibile alla fattispecie prevista dagli artt. 84 e 91 del d.lgs. 159/2011.

(..) Non sono condivisibili nemmeno altri assunti, collegati al precedente, che emergono dall’appello.

Non è infatti necessaria l’indicazione del modo con cui l’infiltrazione si è in concreto realizzata, essendo sufficienti, come esposto, seri elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell’attività imprenditoriale della criminalità organizzata. (cfr., per una ricostruzione sistematica, Cons. Stato, III, n. 1743/2016; di recente, sinteticamente, idem, n. 669/2017 e n. 256/2017; vedi anche, idem, n. 1559/2017 e n. 1131/2017).

E, come già esposto, il criterio civilistico del “più probabile che non” si pone quale regola, garanzia e, insieme, strumento di controllo, fondato anche su irrinunciabili dati dell’esperienza, della valutazione prefettizia e, in particolare, consente di verificare la correttezza dell’inferenza causale che da un insieme di fatti sintomatici, di apprezzabile significato indiziario, perviene alla ragionevole conclusione di permeabilità mafiosa, secondo una logica che nulla ha a che fare con le esigenze del diritto punitivo e del sistema sanzionatorio, laddove vige la regola della certezza al di là di ogni ragionevole dubbio per pervenire alla condanna penale (cfr., di recente e riassuntivamente, Cons. Stato, III, n. 565/2017; vedi anche, idem, n. 1559/2017 e n. 1131/2017).

Né è necessario che il tentativo di infiltrazione si dimostri in atto, essendo sufficiente che gli elementi indiziari mantengano attualmente il loro significato presuntivo.

E’ stato infatti affermato (cfr. Cons. Stato, III, n. 2510/2017 - con riferimento alla rilevanza delle condanne, ma espressione di un principio generale concernente il significato del requisito della “attualità” degli elementi a base dell’interdittiva) che:

- il “venir meno delle circostanze rilevanti” di cui all’art. 91, comma 5, del d. lgs. 159/2011, non dipende dal mero trascorrere del tempo, in sé, ma dal sopraggiungere di obiettivi elementi diversi o contrari che ne facciano venir meno la portata sintomatica, o perché ne controbilanciano, smentiscono e in ogni caso superano la valenza sintomatica o perché ne rendono remoto, e certamente non più attuale, il pericolo (e pertanto, pur dopo il decorso del termine di un anno dall’emanazione di un precedente atto ad effetto interdittivo, il Prefetto ben potrà e, anzi, dovrà emettere una ulteriore interdittiva, ove non siano venute meno le circostanze rilevanti ai fini dell’accertamento del tentativo di infiltrazione mafiosa, salvo sempre il potere/dovere di riesaminare i fatti nuovi, in sede di aggiornamento, anche su documentata richiesta dal soggetto interessato, come prevede l’art. 91, comma 5, cit. – cfr., di recente, anche Cons. Stato, III, n. 739/2017);

- l’attualità degli elementi indizianti, da cui trarre la sussistenza dei tentativi di infiltrazione mafiosa, permane tuttavia inalterata fino al sopraggiungere di fatti nuovi ed ulteriori rispetto ad una precedente valutazione di presenza di tentativi siffatti, che evidenzino il venir meno della situazione di pericolo; il superamento del rischio di inquinamento mafioso è da ricondursi non tanto al trascorrere del tempo dall’ultima verifica effettuata senza che sia emersa alcuna evenienza negativa, bensì al sopraggiungere di fatti positivi che persuasivamente e fattivamente introducano elementi di inattendibilità della situazione rilevata in precedenza (cfr., di recente, anche Cons. Stato, III, n. 1084/2017).

Infine, da un’assoluzione sopravvenuta si traggono elementi utili a valutare l’apprezzamento compiuto ex ante dalla Prefettura, ma occorre valutare i contenuti dell’accertamento compiuto dal giudice penale, e la sopravvenienza favorevole potrebbe giustificare un riesame dell’informazione antimafia, ma non anche dimostrare l’erroneità della valutazione compiuta ai fini della sua adozione (cfr. Cons. Stato, III, n. 1107/2017).

Del resto, il bilanciamento tra i valori costituzionali rilevanti in materia – l’esigenza, da un lato, di preservare i rapporti economici dalle infiltrazioni mafiose in attuazione del superiore principio di legalità sostanziale e, dall’altro, la libertà di impresa – trova nella previsione dell’aggiornamento, ai sensi dell’art. 91, comma 5, del d.lgs. 159/2011, un punto di equilibrio fondamentale e uno snodo della disciplina in materia, sia in senso favorevole che sfavorevole all’impresa, poiché impone all’autorità prefettizia di considerare i fatti nuovi, laddove sopravvenuti, o anche precedenti – se non noti – e consente all’impresa stessa di rappresentarli all’autorità stessa, laddove da questa non conosciuti (cfr., di recente, Cons. Stato, III, n. 565/2017 e n. 4121/2016).

WHITE LIST - PROVA DEL CONDIZIONAMENTO MAFIOSO - REGOLA DEL "PIÙ PROBABILE CHE NON" O DELLA C.D PROBABILITÀ CRUCIALE

CONSIGLIO DI STATO SEGNALAZIONE 2017

Poiché l’iscrizione nella white list ha l’effetto di soddisfare i requisiti per la comunicazione e l’informazione antimafia e il presupposto per l’iscrizione è che l’impresa non sia soggetta a “tentativi di infiltrazione mafiosa”, è corretto affermare che lo standard di accertamento richiesto è analogo a quello che presiede alle informative antimafia, ancorato al principio del “più probabile che non”, in contrapposizione al principio “al di là del ragionevole dubbio”, che caratterizza altre esperienze processuali, come quella del giudizio penale.

In questo senso, si deve affermare che l’ipotesi raggiunge la soglia “al di là del ragionevole dubbio” quando sia l’unica in grado di giustificare tutti i risultati ottenuti nell’indagine, o comunque sia nettamente preferibile rispetto ad ogni ipotesi alternativa astrattamente esistente.

Il criterio di netta preferibilità si misura sull’esistenza di ipotesi alternative meramente astratte (come tali – per gli insanabili limiti della conoscenza umana – non escludibili in assoluto), laddove l’esistenza di spiegazioni divergenti, fornite di un qualche elemento concreto, implica un ragionevole dubbio.

In definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, ma al fine di ritenere provato un determinato fatto (nella specie il rischio di condizionamento mafioso, precisamente “la sussistenza di tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate” ai sensi dell’art. 84, comma 3 d.lgs. 159/2013), gli è sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale.

In siffatto quadro da un lato i collegamenti familiari sono senz’altro utilizzabili ai fini della prova del condizionamento mafioso sono di per sé insufficienti, giacché ogni elemento che riposa su una affidabile regola di inferenza (legge universale, legge statistica o, come nella specie, massima di esperienza socio-criminale, tratta dall’osservazione della fenomenologia mafiosa) è astrattamente idoneo ad essere impiegato nel ragionamento giudiziario, e, ancor prima, nell’accertamento operato dall’Autorità amministrativa, dall’altro lato essi di per sé soli sono insufficienti.

WHITE LIST - PROVA DELLA PERMEABILITÀ MAFIOSA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2017

La formulazione della prognosi di permeabilità non può essere ancorata al mero dato formale dei passaggi societari, ma deve necessariamente addentrarsi nell’analisi della storia e dell’evoluzione della partnership, al fine di comprendere, alla luce anche dei tempi e delle modalità dei passaggi societari, nonché degli altri elementi extra societari di rilievo e del contesto di operatività, se siffatta partnership possa essere indice di condivisione di obiettivi e metodi. Ed infatti, la giurisprudenza è costante nell’affermare che l’interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall'analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa (cfr. Cons. Stato, sez. III, 5 febbraio 2016, n. 463).

CONDIZIONAMENTO MAFIOSO - PROVA - CRITERIO DEL "PIÙ PROBABILE CHE NON" - RELAZIONI FAMILIARI - INSUFFICIENZA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2017

Il criterio del cd "più probabile che non" non può giungere ad affermare che l'imprenditore il quale abbia rapporti di parentela, anche molto prossimi, con un indiziato di appartenenza mafiosa, sia permeabile all'infiltrazione della criminalità organizzata se alla mera relazione familiare non si accompagnino, in concreto, anche elementi indicativi di stretti collegamenti per affari o, comunque, per interessi comuni (da ultimo, Cons. Stato, sez. III, sent. n. 5437 del 2015).

INFORMATIVA ANTIMAFIA - PRINCIPI DESUMIBILI DALLA NORMATIVA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2016

Secondo la più recente giurisprudenza di questa Sezione, in materia trovano applicazione i seguenti principi (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743):

- l'informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l'attività d'impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata»;

- quanto alla ratio dell'istituto dell’interdittiva antimafia, si tratta di una misura volta - ad un tempo - alla salvaguardia dell'ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: l'interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore - pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione - meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti ‘affidabile’) e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge;

- ai fini dell'adozione del provvedimento interdittivo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione 'parcellizzata' di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua rilevanza nel suo legame sistematico con gli altri;

- è estranea al sistema delle informative antimafia, non trattandosi di provvedimenti nemmeno latamente sanzionatori, qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (né - tanto meno - occorre l'accertamento di responsabilità penali, quali il ‘concorso esterno’ o la commissione di reati aggravati ai sensi dell'art. 7 della legge n. 203 del 1991), poiché simile logica vanificherebbe la finalità anticipatoria dell'informativa, che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire, nemmeno in modo indiretto, una condotta penalmente rilevante;

- il rischio di inquinamento mafioso deve essere valutato in base al criterio del più ‘probabile che non’, alla luce di una regola di giudizio, cioè, che ben può essere integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall'osservazione dei fenomeni sociali, qual è, anzitutto, anche quello mafioso;

- pertanto, gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, addirittura e per converso, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione;

- quanto ai rapporti di parentela tra titolari, soci, amministratori, direttori generali dell'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici, contigui alle associazioni mafiose, l'Amministrazione può dare loro rilievo laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del ‘più probabile che non’, che l'impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto;

- nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all'interno della famiglia si può verificare una ‘influenza reciproca’ di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza;

- una tale influenza può essere desunta non dalla considerazione (che sarebbe in sé errata e in contrasto con i principi costituzionali) che il parente di un mafioso sia anch'egli mafioso, ma per la doverosa considerazione, per converso, che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della 'famiglia', sicché in una 'famiglia' mafiosa anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l'influenza del 'capofamiglia' e dell'associazione;

- hanno dunque rilevanza circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale) e rilevano le peculiari realtà locali, ben potendo l'Amministrazione evidenziare come sia stata accertata l'esistenza - su un'area più o meno estesa - del controllo di una 'famiglia' e del sostanziale coinvolgimento dei suoi componenti (a fortiori se questi non risultino avere proprie fonti legittime di reddito).

INFORMATIVA ANTIMAFIA - FINALITA'

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2016

L’informativa antimafia, ai sensi degli artt. 84, comma 4, e 91, comma 6, del d. lgs. n. 159/2011, presuppone «concreti elementi da cui risulti che l’attività d’impresa possa, anche in modo indiretto, agevolare le attività criminose o esserne in qualche modo condizionata».

Per quanto riguarda la ratio dell’istituto della interdittiva antimafia, va premesso che si tratta di una misura volta – ad un tempo - alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione: nella sostanza, l’interdittiva antimafia comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge.

Il Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione di cui al d. lgs. n. 159 del 2011 – come già avevano disposto l’art. 4 del d.lg. 8 agosto 1994, n. 490, e il d.P.R. 3 giugno 1998, n. 252 – ha tipizzato un istituto mediante il quale, con un provvedimento costitutivo, si constata una obiettiva ragione di insussistenza della perdurante «fiducia sulla affidabilità e sulla moralità dell’imprenditore», che deve costantemente esservi nei rapporti contrattuali di cui sia parte una amministrazione (e di per sé rilevante per ogni contratto d’appalto, ai sensi dell’art. 1674 c.c.) ovvero comunque deve sussistere, affinché l’imprenditore risulti meritevole di conseguire un titolo abilitativo, ovvero di conservarne gli effetti.

Nell’attribuire il relativo potere ad un organo periferico del Ministero dell’Interno e nel prevedere il dovere di tutte le altre Amministrazioni di emanare i relativi atti consequenziali, il legislatore ha tenuto conto sia delle competenze generali delle Prefetture in ordine alla gestione dell’ordine pubblico ed al coordinamento delle Forze dell’ordine, sia dell’esigenza che non sia ciascuna singola Amministrazione – di per sé non avente i necessari mezzi ed esperienze – a porre in essere le relative complesse attività istruttorie e ad emanare singoli provvedimenti ad hoc sulla perdurante sussistenza o meno del «rapporto di fiducia».

INFORMATIVA ANTIMAFIA - INDICI SINTOMATICI TENTATIVI DI INFILTRAZIONE MAFIOSA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2015

Il paradigma legale di riferimento, codificato, in particolare, dagli artt. 84 e 91 del d.lgs. n.159 del 2011, resta volutamente elastico, nella misura in cui affida al Prefetto l’apprezzamento di indici sintomatici “…di eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte o gli indirizzi delle societa'…” (art.84, comma 3, d.lgs. cit.) e, quindi, la formulazione di un giudizio prognostico dell’inquinamento della gestione dell’impresa da parte di organizzazioni criminali di stampo mafioso.

Quanto la pertinente attivita' provvedimentale resti connotata da elevati profili di discrezionalita', lo si desume dall’analisi del lessico usato dal legislatore per regolarla: l’uso dell’aggettivo “eventuali” e del sostantivo “tentativi” indicano, in particolare, la configurazione di presupposti del tutto incerti, ai fini della giustificazione della misura, sicchè la delibazione prefettizia si risolve, a ben vedere, nell’analisi di indizi sintomatici del pericolo di infiltrazione della criminalita' organizzata nell’amministrazione della societa' e nella conseguente formulazione di un giudizio probabilistico della mera possibilita' del condizionamento mafioso.

Si tratta, in altri termini, di una fattispecie del tutto peculiare: mentre, infatti, l’attivita' provvedimentale resta, in via generale, strutturata e regolata dalla definizione esatta, ad opera della disposizione legislativa attributiva del potere nella specie esercitato, dei presupposti stabiliti per la legittima adozione dell’atto in cui si esplica la funzione, che, per quanto connotato da scelte discrezionali, resta strettamente vincolato alla preliminare verifica della sussistenza delle condizioni che ne autorizzano l’assunzione, quella attinente alle informative antimafia risulta, al contrario, configurata dallo stesso legislatore come fondata su valutazioni necessariamente opinabili, siccome attinenti all’apprezzamento di rischi e non all’accertamento di fatti, e non, quindi, ancorata alla stringente analisi della ricorrenza di chiari presupposti, di fatto e di diritto, costitutivi e regolativi della potesta' esercitata.

E’ proprio la segnalata funzione anticipatoria della soglia di contrasto alla criminalita' organizzata che impedisce, a ben vedere, la previsione di parametri di azione piu' stringenti e cogenti e che impone, quindi, la disciplina della potesta' considerata in termini cosi' laschi, trattandosi di precludere ad imprese che rischiano di essere (e non che sicuramente sono) condizionate dai clan mafiosi di accedere a rapporti contrattuali con le pubbliche amministrazioni.