Art. 112 - Disposizioni generali sul giudizio di ottemperanza

1. I provvedimenti del giudice amministrativo devono essere eseguiti dalla pubblica amministrazione e dalle altre parti.

2. L'azione di ottemperanza può essere proposta per conseguire l'attuazione:

a) delle sentenze del giudice amministrativo passate in giudicato;

b) delle sentenze esecutive e degli altri provvedimenti esecutivi del giudice amministrativo;

c) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati del giudice ordinario, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato;

d) delle sentenze passate in giudicato e degli altri provvedimenti ad esse equiparati per i quali non sia previsto il rimedio dell'ottemperanza, al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi alla decisione;

e) dei lodi arbitrali esecutivi divenuti inoppugnabili al fine di ottenere l'adempimento dell'obbligo della pubblica amministrazione di conformarsi, per quanto riguarda il caso deciso, al giudicato.

3. Puo' essere proposta, anche in unico grado dinanzi al giudice dell'ottemperanza, azione di condanna al pagamento di somme a titolo di rivalutazione e interessi maturati dopo il passaggio in giudicato della sentenza, nonche' azione di risarcimento dei danni connessi all'impossibilita' o comunque alla mancata esecuzione in forma specifica, totale o parziale, del giudicato o alla sua violazione o elusione. comma così sostituito dal DLgs 195/2011 in vigore dall’8/12/2011

4. soppresso comma soppresso dal DLgs 195/2011 in vigore dall’8/12/2011

5. Il ricorso di cui al presente articolo può essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza.
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Giurisprudenza e Prassi

CHIARIMENTI IN SEDE DI RICORSO AMMINISTRATIVO - LIMITI E RATIO

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2022

L’art. 112 cod. proc. amm. prevede, al comma 5, che il ricorso possa “essere proposto anche al fine di ottenere chiarimenti in ordine alle modalità di ottemperanza”.

La giurisprudenza del Consiglio di Stato, con orientamento cui si intende dare continuità, ha affermato che l’azione in esame “costituisce un mero incidente sulle modalità di esecuzione del giudicato — utilizzabile quando vi sia una situazione di incertezza da dirimere che impedisce la sollecita esecuzione del titolo esecutivo — e non un’azione o una domanda in senso tecnico, con la conseguenza che non può trasformarsi in un’azione di accertamento della legittimità o liceità della futura azione amministrativa, né in un’impugnazione mascherata, che porti di fatto a stravolgere il contenuto della pronuncia, la quale non può più venire riformata né integrata dal giudice dell’ottemperanza ove la pretesa avanzata sia de plano ricavabile dal tenore testuale della sentenza da eseguire; i quesiti interpretativi da sottoporre al giudice dell'ottemperanza devono attenere alle modalità dell’ottemperanza e devono avere i requisiti della concretezza e della rilevanza, non potendosi sottoporre al giudice questioni astratte di interpretazione del giudicato, ma solo questioni specifiche che siano effettivamente insorte durante la fase di esecuzione dello stesso; ne discende che lo strumento in esame non può trasformarsi in un pretesto per investire il giudice dell’esecuzione, in assenza del presupposti suindicati, di questioni che devono trovare la loro corretta risoluzione nella sede dell’esecuzione del decisum, nell’ambito del rapporto tra parti e amministrazione, salvo che successivamente si contesti l’aderenza al giudicato dei provvedimenti così assunti” (Cons. Stato, sez. VI, 18 novembre 2021, n. 7713). ;

In questo contesto la parte privata vittoriosa in sede di cognizione non è legittimata a chiedere chiarimenti al giudice amministrativo in ordine alle modalità di ottemperanza al giudicato da parte dell’Amministrazione soccombente, potendo agire ai sensi del comma 2 per l’ottemperanza della sentenza ogniqualvolta la parte pubblica soccombente non vi provveda; è invece quest'ultima, oltre che il commissario ad acta, la parte titolata a chiedere chiarimenti al giudice sui punti del decisum che presentano elementi di dubbio o di non immediata chiarezza (Cons. Stato, sez. IV, 17 dicembre 2018, n. 7089; 17 dicembre 2012, n. 6468; V, 19 giugno 2013, n. 3339).

Nella fattispecie in esame, alla luce degli orientamenti giurisprudenziali sopra riportati, l’azione di chiarimenti è inammissibile, in quanto gli istanti sono la parte vittoriosa del giudizio, sicché il rimedio che essi hanno a disposizione, a fronte di condotte dell’Amministrazione ritenute elusive del giudicato, è l’ordinaria azione di ottemperanza ex art. 112, comma 2, lett. a) c.p.a..

Inoltre, l’Amministrazione non ha ancora formalizzato gli atti esecutivi che gli istanti ritengono non conformi al giudicato, sicché il quesito posto difetterebbe comunque, allo stato, dei requisiti della concretezza, pertinenza e rilevanza (cfr., ex plurimis, la sentenza della Sezione n. 2700 del 2020).



SOCIETA' IN HOUSE - GIURISDIZIONE - GIUDICE ORDINARIO

TAR SICILIA PA SENTENZA 2021

il collegio, dopo attenta riflessione, ritiene di aderire al secondo orientamento, che ritiene maggiormente convincente anche in considerazione di quanto costantemente affermato dal Consiglio di Stato in materia di affidamenti in house e dalla Cassazione in materia di fallimento delle società a totale partecipazione pubblica.

Il Consiglio di Stato (vedi sentenza della V n. 2533 del 29 maggio 2017) ha, in particolare, precisato che il c.d. “controllo analogo” esercitato dall’amministrazione sulla società partecipata serve a consentire all’azionista pubblico di svolgere un’influenza dominante sulla società, se del caso attraverso strumenti derogatori rispetto agli ordinari meccanismi di funzionamento, così da rendere il legame partecipativo assimilabile a una relazione interorganica, la quale, tuttavia, non incide affatto sull’alterità soggettiva dell’ente societario nei confronti dell’amministrazione pubblica, dovendosi mantenere pur sempre separati i due enti – quello pubblico e quello privato societario – sul piano giuridico – formale, in quanto la società in house rappresenta un centro d’imputazione di rapporti e posizioni giuridiche soggettive diverso dall’ente partecipante.

La Cassazione, sulla scia dei principi affermati nella decisione delle sezioni unite n. 4989 del 1995 (vedi di recente la sentenza n. 5346 del 22 febbraio 2019), ha, da canto suo, affermato che la società di capitali con partecipazione pubblica non muta la sua natura di soggetto di diritto privato solo perché gli enti pubblici (Comune, Provincia e simili) ne posseggono le partecipazioni, in tutto o in parte, in quanto non assume alcun rilievo, per le vicende societarie, la persona dell’azionista, dato che la società, quale persona giuridica privata, opera, comunque, nell’esercizio della propria autonomia negoziale.

Ha precisato che la natura di ente in house deriva da una visione sostanziale del fenomeno tipico dell’approccio funzionale seguito in sede Europea, nell’ambito del quale gli istituti giuridici elaborati a livello sovranazionale sono applicati sulla base della reale essenza della fattispecie concreta, a prescindere dalle qualificazioni formali vigenti negli ordinamenti dei singoli Paesi membri.

Ha anche rilevato che nell’ambito dell’ordinamento nazionale (che solo rileva ai fini specifici) non è prevista – per le società in house così come per quelle miste – alcuna apprezzabile deviazione rispetto alla comune disciplina privatistica delle società di capitali, nel senso che la posizione dei Comuni all’interno della società è unicamente quella di socio in base al capitale conferito; donde soltanto in tale veste l’ente pubblico può influire sul funzionamento della società, avvalendosi non di poteri pubblicistici, ma dei soli strumenti previsti dal diritto societario, da esercitare a mezzo dei membri presenti negli organi della società.

Ha, inoltre, affermato (vedi sentenza n. 3196 del 7 febbraio 2017) che la scelta di perseguire l’interesse pubblico attraverso lo strumento privatistico comporta, in ogni caso, che queste assumono i rischi connessi alla loro insolvenza, anche ai fini dell’assoggettabilità a fallimento, pena la violazione dei principi di uguaglianza e di affidamento dei soggetti che con esse entrano in rapporto e attesa la necessità del rispetto delle regole della concorrenza, che impone parità di trattamento tra quanti operano all’interno di uno stesso mercato con identiche forme e medesime modalità.

Illustrate le ragioni per le quali il collegio ritiene che non sussiste la giurisdizione amministrativa si deve, per completezza, rilevare che a diversa conclusione non può giungersi sulla base dell’orientamento delle Sezioni Unite in tema di equiparazione delle società in house agli enti pubblici (vedi sentenza 25 novembre 2013 n. 26283), in quanto la stessa riguarda esclusivamente il tema della responsabilità amministrativo-contabile, in ordine al quale sussiste, però, una precisa disposizione, ovverosia l’art. 12 del testo unico in materia di società a partecipazione pubblica di cui al d.lgs.vo n. 175 del 2016.


ANNULLAMENTO GARA - EFFICACIA EX POST DEL CONTRATTO

TAR LAZIO SENTENZA 2021

La possibilità per il giudice amministrativo di modulare gli effetti della dichiarazione di inefficacia del contratto di appalto, in conseguenza dell’annullamento dell’aggiudicazione, è già stata affermata in giurisprudenza (TAR Lazio, Roma, II ter, 24 dicembre 2019, nr. 14851) in maniera conforme con quanto ritenuto, in via generale, dall’Adunanza Plenaria (sentenza del 22 dicembre 2017, nr. 13 e giurisprudenza ivi richiamata, tra cui Cons. Stato, sez. VI, n. 2755 del 2011).

Più precisamente, si è ritenuto che la regolazione della decorrenza dell’inefficacia del contratto può essere decisa dal giudice con effetti costitutivi dell’assetto di interessi, ulteriori e non meramente dipendenti dall’annullamento, ai sensi dell’art. 122 c.p.a.

A stretto rigore, la disposizione citata demanda al giudice la regolazione degli effetti dell’inefficacia del contratto, salvo che dall’annullamento dell’aggiudicazione derivi la ripetizione della gara; tuttavia, essa va coordinata con l’art. 34 del c.p.a. che consente di adottare le misure necessarie a tutelare le situazioni giuridiche dedotte in giudizio e che, attesa la sua valenza generale ed atipica, non c’è ragione di escludere dal rito appalti, risolvendosi essa in uno strumento di effettività di tutela che si affianca armonicamente alla statuizione prevista dall’art. 122 ( e che, a ben vedere, ne integra una ipotesi applicativa tipica) la cui natura costitutiva ne risulta così ampliata.

Come accennato, tale conclusione risulta coerente con quanto affermato dall’Adunanza Plenaria nella sentenza nr. 17/2020, laddove quest’ultima riconosce in linea generale la possibilità del giudice di regolare gli effetti conformativi dell’accoglimento del ricorso (sia pure, in quella sede, per derogare all’effetto retroattivo dell’annullamento in funzione dell’efficacia ex nunc : “Il Consiglio di Stato ha già fatto applicazione di codesti principi (leading case Cons. Stato, sez. VI, n. 2755 del 2011)…la regola dell’annullamento con effetti ex tunc dell’atto impugnato può, sia pure in circostanze assolutamente eccezionali, trovare una deroga, con la limitazione parziale della retroattività degli effetti (si veda, in questo senso, Sez. VI, 9 marzo 2011, n. 1488), o con la loro decorrenza ex nunc. L’ordinamento riconosce la possibilità di graduare l’efficacia delle decisioni di annullamento di un atto amministrativo (cfr. l’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 e l’art. 34, comma 1, lettera a), del Codice del processo amministrativo). È altresì ammessa la possibilità per il giudice amministrativo di modellare nel caso concreto l’efficacia delle sentenza in materia di contratti pubblici (cfr. artt. 121 e 122 del Codice del processo amministrativo).”).

Appare evidente che, una volta ammessa in linea di principio la possibilità per il giudice amministrativo di modulare l’efficacia della sentenza, nella speciale materia di contratti pubblici, caratterizzata dalla peculiare disciplina di cui agli artt. 121 e 122 del c.p.a., non può escludersi che tale facoltà includa, ex art. 34 lett. “e” del c.p.a., anche quella di disporre opportunamente circa la sorte del contratto, coordinandone l’inefficacia con l’obbligo di ripetizione del procedimento di gara (in tutti quei casi nei quali il giudizio non si concluda con una pronuncia di aggiudicazione o di subentro del ricorrente vittorioso), quando gli interessi dedotti in giudizio (come accade nel caso di specie), lo richiedano.

ESAME DEL RICORSO PRINCIPALE – A FRONTE DELL’ACCOGLIMENTO DEL RICORSO INCIDENTALE – AMMISSIBILITÀ – QUESTIONE SOLLEVATA DALL’A.P. CON RIMESSIONE ALLA CORTE DI GIUSTIZIA

CONSIGLIO DI STATO ORDINANZA 2019

In tema di rapporto tra ricorso incidentale e principale, con specifico riferimento alla possibilità di esame del ricorso principale pur a fronte del previo accoglimento del ricorso incidentale escludente, l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con ordinanza 11 maggio 2018, n. 6, ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’U.E la seguente questione pregiudiziale di corretta interpretazione del diritto eurounitario: “se l’articolo 1, paragrafi 1, terzo comma, e 3, della direttiva 89/665/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1989, che coordina le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative relative all’applicazione delle procedure di ricorso in materia di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture e di lavori, come modificata dalla direttiva 2007/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 dicembre 2007, possa essere interpretato nel senso che esso consente che allorché alla gara abbiano partecipato più imprese e le stesse non siano state evocate in giudizio (e comunque avverso le offerte di talune di queste non sia stata proposta impugnazione) sia rimessa al Giudice, in virtù dell’autonomia processuale riconosciuta agli Stati membri, la valutazione della concretezza dell’interesse dedotto con il ricorso principale da parte del concorrente destinatario di un ricorso incidentale escludente reputato fondato, utilizzando gli strumenti processuali posti a disposizione dell’ordinamento, e rendendo così armonica la tutela di detta posizione soggettiva rispetto ai consolidati principi nazionali in punto di domanda di parte (art. 112 c.p.c.), prova dell’interesse affermato (art. 2697 cc), limiti soggettivi del giudicato che si forma soltanto tra le parti processuali e non può riguardare la posizione dei soggetti estranei alla lite (art. 2909 cc)”.

Conseguentemente, allorché risulti che in appello sia sollevata detta questione, va disposta la sospensione c.d. impropria, al fine di evitare contrasti di giudicati.

QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO DANNI NELLA MISURA DEL 10% - LIMITI

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2013

Il richiamato criterio del 10% non puo' quindi essere oggetto di applicazione automatica (Cons. Stato, Sez. V, n. 2317/2012 cit.) e, in assenza di un criterio legale di determinazione del danno e a fronte della difficolta' di determinare nel suo preciso ammontare questo tipo di pregiudizio patrimoniale, non resta che ricorrere alla valutazione equitativa.

Va osservato che il mancato utile nella misura integrale, nel caso di annullamento dell'aggiudicazione e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, spetta solo se quest'ultimo dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, mentre, in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l'impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi e, pertanto, in tale ipotesi deve operarsi una decurtazione del risarcimento di una misura per l' “aliunde perceptum vel percipiendum”.

Considerate le circostanze e tenuto conto sia del fatto che non è stata data dimostrazione da parte del danneggiato dell’impossibilita' di utilizzare diversamente gli strumenti d’impresa e sia del fatto che quella che viene in considerazione è, comunque, una semplice “chance” contrattuale (sia pure significativa, essendo la ricorrente, a suo tempo, risultata aggiudicataria provvisoria) e non un contratto alternativo definito e dunque definitivamente "certo", appare equo e ragionevole decurtare del 50% la somma pari al 10 % dell’offerta della ricorrente (il cui ammontare, sommate le spese per la sicurezza di € 77.597,99, sarebbe stato di € 1.986.176,70), che risulta, quindi, essere quella di € 99.308,83 il cui pagamento viene liquidato a favore della attuale ricorrente e posto a carico del Comune di B.