Giurisprudenza e Prassi

PERDITA DI CHANCE PER MANCATA PROCEDURA AD EVIDENZA PUBBLICA A CAUSA DI PROROGA CONTRATTUALE - LEGITTIMO RISARCIMENTO

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2021

Il riconoscimento della risarcibilità della perdita di ‘chance’, come è noto, è frutto di una lenta evoluzione interpretativa.

Si tratta, invero, di figura elaborata al fine di ‘traslare’ sul versante delle situazioni soggettive ‒ e, quindi, del danno ingiusto ‒ un problema di causalità incerta: quello cioè delle fattispecie in cui non sia affatto possibile accertare, già in astratto e in termini oggettivi, se un determinato esito vantaggioso (per chi lo invoca) si sarebbe o meno verificato senza l’ingerenza illecita del danneggiante.

Per superare l’impasse dell’insuperabile deficienza cognitiva del processo eziologico, il sacrificio della ‘possibilità’ di conseguire il risultato finale viene fatto assurgere a bene giuridico ‘autonomo’.

Mentre nel diritto privato le ipotesi più ricorrenti riguardano la responsabilità medica (quando si imputa la mancata attivazione di una cura o intervento sanitario il cui esito sarebbe stato tuttavia incerto), nel campo del diritto amministrativo la lesione della ‘chance’ viene invocata per riconoscere uno sbocco di tutela (sia pure per equivalente) a quelle delle aspettative andate ‘irrimediabilmente’ deluse a seguito dell’illegittimo espletamento (ovvero del mancato espletamento) di un procedimento amministrativo.

La fattispecie presa in considerazione è quella in cui il vizio accertato dal giudice amministrativo consiste nella violazione di una norma di diritto pubblico che ‒ non ricomprendendo nel suo raggio di protezione l’interesse materiale ‒ assicura all’istante soltanto la possibilità di conseguire il bene finale. L’«ingiustizia» del nocumento assume ad oggetto soltanto il ‘quid’ giuridico, minore ma autonomo, consistente nella spettanza attuale di una mera possibilità. Nella moderna economia di mercato, del resto, anche la diminuzione di probabilità di eventi patrimoniali favorevoli può rilevare come perdita patrimoniale, non solo i danni fisici intesi come distruzione di ricchezza tangibile.

Così delineata la nozione, il richiamo del giudice di primo grado alla ‘elevata probabilità’ di realizzazione, quale condizione affinché la ‘chance’ acquisti rilevanza giuridica, è fuorviante, in quanto così facendo si assimila il trattamento giuridico della figura in esame alla causalità civile ordinaria (ovvero alla causalità del risultato sperato).

La ‘chance’ prospetta invece, come si è detto, un’ipotesi ‒ assai ricorrente nel diritto amministrativo ‒ di danno solo ‘ipotetico’, in cui non si può oggettivamente sapere se un risultato vantaggioso si sarebbe o meno verificato. Pur essendo certa la contrarietà al diritto della condotta di chi ha causato la perdita della possibilità, non ne è conoscibile l’apporto causale rispetto al mancato conseguimento del risultato utile finale.

Poiché l’esigenza giurisdizionale è quella di riconoscere all’interessato il controvalore della mera possibilità ‒ già presente nel suo patrimonio ‒ di vedersi aggiudicato un determinato vantaggio, l’an del giudizio di responsabilità deve coerentemente consistere soltanto nell’accertamento del nesso causale tra la condotta antigiuridica e l’evento lesivo consistente nella perdita della predetta possibilità. La tecnica probabilistica va quindi impiegata, non per accertare l’esistenza della chance come bene a sé stante, bensì per misurare in modo equitativo il ‘valore’ economico della stessa, in sede di liquidazione del ‘quantum’ risarcibile. Con l’avvertenza che, anche se commisurato ad una frazione probabilistica del vantaggio finale, il risarcimento è pur sempre compensativo (non del risultato sperato, ma) della privazione della possibilità di conseguirlo.

Richiedere (come ha fatto il giudice di primo grado) che la possibilità di conseguire il risultato debba raggiungere una determinata soglia di probabilità prima di assumere rilevanza giuridica, significa ricondurre nuovamente il problema delle aspettative irrimediabilmente deluse (con un percorso inverso a quello che ha portato a configurare la ‘chance’ come bene autonomo, in ragione dell’impossibilità di dimostrare l’efficienza causale della condotta antigiuridica nella produzione del risultato finale) dal ‘danno’ alla ‘causalità’. In questo modo la ‘chance’ finisce per essere utilizzata quale frazione probabilistica di un risultato finale di cui (poteva essere fornita, ma) è mancata la prova. Ma si tratta di un esito del tutto contraddittorio, in quanto, se la verificazione dell’evento finale può essere empiricamente riscontrata, allora non ricorrono neppure i presupposti per l’operatività della ‘chance’.

Al fine però di non incorrere in una forma inammissibile di responsabilità senza danno, è necessario che, per raggiungere la soglia dell’«ingiustizia», la ‘chance’ perduta sia ‘seria’. A tal fine: da un lato, va verificato con estremo rigore che la perdita della possibilità di risultato utile sia effettivamente imputabile alla condotta altrui contraria al diritto; sotto altro profilo, al fine di non riconoscere valore giuridico a ‘chance’ del tutto accidentali, va appurato che la possibilità di realizzazione del risultato utile rientri nel contenuto protettivo delle norme violate.

Al fine poi di scongiurare azioni bagatellari o emulative, il giudice dovrà disconoscere l’esistenza di un ‘danno risarcibile’ (1223 c.c.) nel caso in cui le probabilità perdute si attestino ad un livello del tutto infimo.



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