Giurisprudenza e Prassi

ACCORDO-QUADRO MULTIOPERATORE - LIBERTÀ DI SCELTA DEL MEDICO – CONDIZIONE

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2020

Ha chiarito la Sezione che in virtù di quanto prescrive l’art. 15, comma 11-quater, lett. c), d.l. n. 95 del 2012, secondo una interpretazione di questa disposizione ispirata a ragionevolezza e costituzionalmente imposta, «al fine di garantire un’effettiva razionalizzazione della spesa e nel contempo un’ampia disponibilità delle terapie» il medico deve anzitutto orientarsi, nello scegliere il farmaco, su uno dei primi tre farmaci classificati nella graduatoria dell’accordo-quadro e, solo ove ritenga che nessuno di essi sia appropriato, potrà (continuare a) prescrivere al paziente, con l’obbligo di una adeguata e specifica motivazione, un farmaco diverso da questi, purché “incluso” nel lotto di gara (nel senso che si dirà), senza ovviamente alcuna ripercussione sul regime della rimborsabilità previsto dalla legge, su tutto il territorio nazionale, a carico del Servizio sanitario.

La consolidata giurisprudenza di questa Sezione, nell’avallare il bilanciamento tra l’interesse pubblicistico della stazione appaltante ad indire la gara e il diritto alla salute dei pazienti, ha affermato in più occasioni che l’obbligo di una rigorosa motivazione da parte del medico, che ritenga di dover necessariamente utilizzare un farmaco più costoso rispetto a quelli di gara, non può considerarsi limitativo della libertà prescrittiva, tenuto conto che, attraverso tale motivazione, comunque giustificata dalla necessità di tenere sotto controllo l’ammontare della spesa pubblica sanitaria in virtù della c.d. appropriatezza prescrittiva, il medico può comunque disporre l’utilizzazione del farmaco da lui ritenuto maggiormente appropriato al caso di specie.

La pubblica amministrazione non è infatti sempre tenuta a servirsi del farmaco in assoluto più evoluto, o ritenuto migliore, soprattutto se questo è più costoso di altro di pari e sicura efficacia nella terapia nella maggior parte dei casi trattati, ferma restando la possibilità di acquisire anche il primo, se ciò si rivela, per una parte dei pazienti da trattare, realmente necessario (Cons. St., sez. III, 3 dicembre 2015, n. 5476; id. 14 novembre 2017, n. 5251).

È chiaro dunque che la lett. e) dell’art. 15, comma 11-quater, d.l. n. 95 del 2012, nello stabilire che «eventuali oneri economici aggiuntivi, derivanti dal mancato rispetto delle disposizioni del presente comma, non possono essere posti a carico del Servizio sanitario nazionale», si riferisce non già alla prescrizione di un farmaco appropriato diverso dai primi tre classificati da parte del medico secondo scienza e coscienza, bensì alla prescrizione di un farmaco inappropriato e, cioè, che sia prescritto dal medico, in modo irragionevole e/o immotivato, rispetto alle tre alternative terapeutiche, una delle quali risulti almeno adeguata a tutelare la salute del singolo paziente.

La disposizione rimanda evidentemente, come si è accennato, al concetto di appropriatezza prescrittiva, principio-cardine, ormai, del nostro ordinamento sanitario, e immanente al sistema, per un razionale contenimento della spesa pubblica e un’equilibrata erogazione delle cure a tutti i cittadini senza inutili dispendi, in quanto anche il medico, nel prescrivere il farmaco nella propria autonomia decisionale e secondo scienza e coscienza, deve essere consapevole e viene chiamato dal legislatore ad essere responsabile delle ripercussioni economiche di una scelta non appropriata sull’organizzazione Servizio sanitario nazionale in punto di sostenibilità, laddove il medesimo risultato terapeutico per il paziente possa essere garantito, in condizioni di eguale efficienza e di piena sicurezza, dalla prescrizione di uno dei tre farmaci primi classificati, meno costosi rispetto a detto farmaco, secondo quanto è risultato all’esito di un corretto confronto concorrenziale in sede di gara.

Nell’adozione di questa necessaria linea interpretativa si spiega allora come il legislatore, quando nell’art. 15, comma 11-quater, lett. b), del d.l. n. 95 del 2012, allude ai farmaci “inclusi” nella procedura di cui alla lett. a), prescrivibili dal medico oltre ai primi tre classificati, non intenda riferirsi ai (soli) farmaci ammessi alla gara e/o classificatisi dopo il terzo, ma a tutti i farmaci che, da un punto di vista scientifico, per medesimo principio attivo, per medesimo dosaggio e per medesima somministrazione, hanno le caratteristiche di biosimilarità per rientrare nello stesso lotto unico, perché, diversamente ragionando e considerando, peraltro in modo antiletterale, l’espressione “inclusi” come sinonimo di “ammessi”, l’esclusione dalla gara nei confronti del farmaco più costoso, ma necessario in rapporto al singolo paziente quantomeno per ragioni di continuità terapeutica, costituirebbe un limite irragionevole alla prescrizione del farmaco da parte del medico o alla sua rimborsabilità, nonostante la sua (permanente) insostituibilità per il singolo paziente, e dunque un ostacolo inaccettabile, per mere ragioni di risparmio, al fondamentale diritto alla salute del paziente stesso, con evidente violazione dell’art. 32 Cost.

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