Giurisprudenza e Prassi

ANNULLAMENTO D'UFFICIO DELL'AGGIUDICAZIONE: IL TERMINE DI 12 MESI E' PERENTORIO E NON SUPERABILE IN ASSENZA DEI CASI TASSATIVI PREVISTI (21NONIES)

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2025

Il giudice di primo grado ha ritenuto fondata la censura di violazione del termine per l’annullamento d’ufficio stabilito dall’art. 21-nonies l. n. 241/1990, decorrente dal provvedimento di aggiudicazione del 3 febbraio 2022: “Non può pertanto essere condivisa l’affermazione di parte resistente secondo cui avrebbe eseguito la verifica del possesso continuativo del requisito di regolarità contributiva in capo a G. ai fini dell’autorizzazione al subentro di C. s.r.l. “in ossequio a quanto disposto con la Delibera Anac n. 614 del 20.12.2022”, atteso che la stazione appaltante ha omesso di procedere alle doverose verifiche sia ai fini dell’autorizzazione al subentro di C. nella procedura di gara sia quando, il 19 aprile 2022, il RTI Nigra aveva informalmente avvisato la stazione appaltante in merito all’irregolarità contributiva in capo a G. Gli argomenti addotti dalla stazione appaltante per giustificare le omesse e ritardate verifiche sulla segnalata irregolarità contributiva non scalfiscono l’illegittimità del provvedimento impugnato, dal momento che sulla doverosità delle verifiche si era espressa anche l’Anac, con il parere del 20 dicembre 2022 e la pendenza dei ricorsi proposti dalla C. avverso il parere di precontenzioso dell’Autorità non impediva al PAT di procedere al riesame della legittimità della partecipazione di G. e del subentro”.

Né il superamento di tale termine, secondo il primo giudice, può giustificarsi con il concorso dell’aggiudicataria, posto che “la stazione appaltante non ha neppure dato prova della sussistenza di “false rappresentazioni dei fatti” o di “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci” da parte del ricorrente o della sua dante causa, uniche ipotesi - del comma 2bis dell’art. 21 nonies - che avrebbero consentito all’amministrazione di prescindere dall’osservanza dei detti termini. Risulta invece dalla documentazione in atti che la ricorrente ha continuato a svolgere il servizio oggetto del contratto per diciotto mesi, e anche successivamente alla richiesta del DURC del 17 gennaio 2023, senza che il PAT avesse messo più in discussione la legittimità della aggiudicazione”.

L’appellante valorizza inoltre il fatto che il potere di risoluzione qui sarebbe stato esercitato sulla base di una clausola contrattuale: ma tale dato non assume valore oltre il piano meramente nominale, che non muta la natura del potere e degli effetti del suo esercizio, considerata peraltro la chiara motivazione del provvedimento impugnato in primo grado.

È infatti irrilevante non solo, come rilevato dal T.A.R., la denominazione di “risoluzione” attribuita al provvedimento, ma anche la circostanza che in esso sia stato richiamato l’articolo 3 del contratto di appalto (da intendersi quale clausola risolutiva espressa), atteso che per pacifica giurisprudenza l’individuazione della giurisdizione consegue a una verifica sostanziale del potere esercitato dalla stazione appaltante, essendo non decisivi a tal fine sia il nomen impiegato, sia la circostanza che l’atto sia adottato durante la fase di esecuzione del contratto, in quanto deve essere comunque ricondotta alla sfera pubblicistica dell’autotutela la determinazione che sia espressione di un potere di controllo sulla serie procedimentale dell’evidenza pubblica anziché essere determinata da inadempimento o da altre vicende occorse nella fase di esecuzione (cfr. Cass. civ., sez. un., 27 gennaio 2014, n. 1530; id., 29 agosto 2008, n. 21928; Cons. Stato, sez. III, 22 maggio 2025, n. 4385; id., sez. V, 22 maggio 2015 n. 2562; id., 17 marzo 2010, n. 1554).

Tanto è avvenuto nel caso di specie, laddove l’Amministrazione è pervenuta al censurato atto di “risoluzione” all’esito dell’esercizio di un’attività, sia pure posta in essere solo a seguito di sollecitazioni di altro concorrente e del parere di precontenzioso dell’ANAC, che concerne la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione in capo alla dante causa dell’aggiudicataria (che era subentrata in corso di procedura all’originaria offerente, per effetto di cessione di azienda), e pertanto in esercizio di un potere di chiara natura pubblicistica, afferente al regolare e legittimo svolgimento della fase di evidenza pubblica a monte del contratto.

Quanto sopra trova conferma nella successiva condotta della stessa stazione appaltante, la quale ha proceduto a scorrimento della graduatoria e a nuova aggiudicazione in favore della originaria terza graduata, ciò che non sarebbe stato possibile laddove, come sostiene l’appellante, si fosse trattato di un mero atto civilistico di risoluzione contrattuale tale da non pregiudicare la retrostante aggiudicazione disposta in favore della stessa odierna istante.

In realtà l’articolo 3 del contratto di appalto alla luce di quanto fin qui osservato più che una clausola risolutiva espressa appare configurare un impegno, preso dall’Amministrazione a titolo cautelativo, ad attenersi comunque a quelle che sarebbero state le determinazioni dell’ANAC, stante la natura doverosa del potere di verifica dei requisiti e il fatto che nella specie vi era “dubbio” sulla latitudine della sua estensione, in ragione dell’interpretazione del c.d. principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alle gare (dunque, come una sorta di autovincolo in punto di esercizio del potere – pubblicistico – di autotutela).

Così inteso, il ridetto articolo 3 del contratto finiva per integrare una pattuizione reiterativa della previsione di un potere spettante comunque alla stazione appaltante in forza della generale disciplina positiva del procedimento di evidenza pubblica, a fronte della quale il richiamo di parte appellante alla regola interpretativa di cui all’articolo 1367 c.c. non può certo autorizzare interpretazioni contra jus della volontà contrattuale.

Infatti, una volta acclarata la natura pubblicistica e di autotutela del potere esercitato dalla stazione appaltante (come sopra chiarito), ed il corretto significato dell’articolo 3 del contratto, quest’ultimo, ove interpretato nel senso di consentire un annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione – sia pure sotto la qualificazione nominale della “risoluzione” contrattuale – anche oltre il termine perentorio di dodici mesi di cui all’articolo 21-nonies, l. n. 241/1990, andrebbe certamente considerato nullo siccome contrastante con una norma imperativa (che regola i limiti temporali dell’esercizio del ridetto potere di autotutela: limiti evidentemente non derogabili pattiziamente, in considerazione della natura della norma che li pone).

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