Art. 94 Effetti delle informazioni del prefetto

1. Quando emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all'articolo 84, comma 4 ed all'articolo 91, comma 6, nelle società o imprese interessate, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2 cui sono fornite le informazioni antimafia, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni.

2. Qualora il prefetto non rilasci l'informazione interdittiva entro i termini previsti, ovvero nel caso di lavori o forniture di somma urgenza di cui all'articolo 92, comma 3 qualora la sussistenza di una causa di divieto indicata nell'articolo 67 o gli elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa di cui all'articolo 84, comma 4, ed all'articolo 91 comma 6, siano accertati successivamente alla stipula del contratto, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, salvo quanto previsto al comma 3, revocano le autorizzazioni e le concessioni o recedono dai contratti fatto salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l'esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite.

3. I soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2, non procedono alle revoche o ai recessi di cui al comma precedente nel caso in cui l'opera sia in corso di ultimazione ovvero, in caso di fornitura di beni e servizi ritenuta essenziale per il perseguimento dell'interesse pubblico, qualora il soggetto che la fornisce non sia sostituibile in tempi rapidi. si veda anche quanto disposto dall’art. 3 comma 4 del DL 76/2020 in vigore dal 17-7-2020

4. Le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 si applicano anche nel caso in cui emergano elementi relativi a tentativi di infiltrazione.
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Giurisprudenza e Prassi

INTERDITTIVA ANTIMAFIA - INDICI FORTEMENTE SINTOMATICI - CAUTELA AVANZATA COME PARAMETRO DI VALUTAZIONE

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2022

La giurisprudenza amministrativa consolidata ha invero evidenziato che l'interdittiva antimafia, per la sua natura cautelare e per la sua funzione di massima anticipazione della soglia di prevenzione, non richiede la prova di un fatto, ma solo la presenza di una serie di indizi in base ai quali non sia illogico o inattendibile ritenere la sussistenza di un collegamento con organizzazioni mafiose o di un condizionamento da parte di queste.

Ai fini dell’adozione dell’interdittiva occorre, da un lato, non già provare l'intervenuta infiltrazione mafiosa, bensì soltanto la sussistenza di elementi sintomatico-presuntivi dai quali – secondo un giudizio prognostico latamente discrezionale – sia deducibile il pericolo di ingerenza da parte della criminalità organizzata; d’altro lato, detti elementi vanno considerati in modo unitario, e non atomistico, cosicché ciascuno di essi acquisti valenza nella sua connessione con gli altri (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

Sotto tale profilo, rileva il complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: in altri termini, una visione “parcellizzata” di un singolo elemento, o di più elementi, non può che far perdere a ciascuno di essi la sua portata nel legame sistematico con gli altri.

In materia di interdittive antimafia, il Prefetto, nel rendere le informazioni richieste ai sensi dell'art. 10 D.P.R. n. 252/1998, non deve pertanto basarsi su specifici elementi, ma deve effettuare la propria valutazione sulla scorta di un quadro indiziario, ove assumono rilievo preponderante i fattori induttivi della non manifesta infondatezza che i comportamenti e le scelte dell'imprenditore possano rappresentare un veicolo di infiltrazione delle organizzazioni criminali sia negli appalti delle Pubbliche Amministrazioni che, in genere, nel circuito dell'economia pubblica (Cons. giust. amm. Sicilia, 29/07/2019, n. 713). Ne discende che l'ampiezza dei poteri di accertamento, resa necessaria dalla finalità preventiva sottesa al provvedimento, giustifica altresì che il Prefetto possa ravvisare l'emergenza di tentativi di infiltrazione mafiosa in fatti in sé e per sé privi dell'assoluta certezza, quali una condanna non irrevocabile, collegamenti parentali con soggetti malavitosi, dichiarazioni di pentiti, ma che, nel loro coacervo, siano tali da fondare un giudizio di possibilità che l'attività d'impresa possa, anche in maniera indiretta, agevolare le attività criminali o essere in qualche modo condizionata per la presenza, nei centri decisionali, di soggetti legati ad organizzazioni malavitose. In ragione della sua configurazione funzionale, la discrezionalità delle valutazioni effettuata è pertanto particolarmente ampia ed è sindacabile in sede di legittimità solo sotto il profilo della illogicità, incoerenza o inattendibilità, con riferimento al significato attribuito agli elementi di fatto e all'iter seguito per pervenire a certe conclusioni (Cons. giust. amm. Sicilia, 12/01/2017, n. 19).

Inoltre l'interdittiva antimafia può legittimamente fondarsi anche su fatti risalenti nel tempo, purché dall'analisi del complesso delle vicende esaminate emerga, comunque, un quadro indiziario idoneo a giustificare il necessario giudizio di attualità e di concretezza del pericolo di infiltrazione mafiosa nella gestione dell'attività di impresa (cfr., T.A.R. per la Campania, Napoli, sez. I, 7.01.2019, n.73; Cons. Stato, sez. III, 2 gennaio 2020, n. 2).

In tale ottica si è pertanto precisato che il mero decorso del tempo è in sé un elemento neutro, che non smentisce da solo la persistenza di legami, vincoli e sodalizi e, comunque, non dimostra da solo l'interruzione di questi, se non corroborato da ulteriori e convincenti elementi indiziari. Peraltro, occorre considerare che l'infiltrazione mafiosa, per la natura stessa delle organizzazioni criminali dalla quale promana e per la durevolezza dei legami che essi instaurano con il mondo imprenditoriale, ha una stabilità di contenuti e, insieme, una mutevolezza di forme, economiche e giuridiche, capace di sfidare il più lungo tempo e di occupare il più ampio spazio disponibile (cfr Cons. Stato, Sez. III, n. 4657/2015).

L'Amministrazione può inoltre dare rilievo anche ai rapporti di parentela tra titolari di un'impresa e familiari che siano soggetti affiliati, organici o contigui a contesti malavitosi laddove tali rapporti, per loro natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lascino ritenere, secondo criteri di verosimiglianza, che l'impresa ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla criminalità organizzata. Specialmente, nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all'interno della famiglia ben può verificarsi un'influenza reciproca di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza. Tale influenza può essere, quindi, desunta dalla considerazione che la complessa organizzazione della mafia ha una struttura clanica, si fonda e si articola, a livello particellare, sul nucleo fondante della famiglia, sicchè in una famiglia mafiosa, anche il soggetto che non sia attinto da pregiudizio mafioso può subire, nolente, l'influenza del capofamiglia e dell'associazione. Deve essere, quindi, esclusa ogni presunzione di irrilevanza dei rapporti di parentela, ove gli stessi risultino indizianti di una situazione complessiva tale da non rendere implausibile un collegamento, anche non personale e diretto, tra soggetti imprenditori ed ambienti della criminalità organizzata (cfr., T.A.R. per la Campania, Napoli, sez. I, 09/12/2019, n. 5796 non appellata).

Inoltre, la giurisprudenza consolidata ha già chiarito che la valutazione del rischio di inquinamento mafioso deve basarsi sul criterio del "più probabile che non", che gli elementi posti a base dell'informativa possono essere anche non penalmente rilevanti o non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o possono anche essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione, e che la relativa valutazione del Prefetto risulta sindacabile in sede giurisdizionale solo in caso di manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti (cfr., Consiglio di Stato sez. III, 14/07/2020, n.4542).

In applicazione del principio, costantemente affermato dalla Sezione III di questo Consiglio di Stato (ex multis 30 giugno 2020, n. 4168; 325 giugno 2020, n. 4091), la verifica della legittimità dell’informativa deve essere effettuata sulla base di una valutazione unitaria degli elementi e dei fatti che, visti nel loro complesso, possono costituire un’ipotesi ragionevole e probabile di permeabilità della singola impresa ad ingerenze della criminalità organizzata di stampo mafioso sulla base della regola causale del “più probabile che non”, integrata da dati di comune esperienza, evincibili dall’osservazione dei fenomeni sociali (quale è quello mafioso), e che risente della estraneità al sistema delle informazioni antimafia di qualsiasi logica penalistica di certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio (Cons. St., sez. III, 18 aprile 2018, n. 2343).

Ciò che connota la regola probatoria del “più probabile che non” non è un diverso procedimento logico, ma la (minore) forza dimostrativa dell’inferenza logica, sicché, in definitiva, l’interprete è sempre vincolato a sviluppare un’argomentazione rigorosa sul piano metodologico, «ancorché sia sufficiente accertare che l’ipotesi intorno a quel fatto sia più probabile di tutte le altre messe insieme, ossia rappresenti il 50% + 1 di possibilità, ovvero, con formulazione più appropriata, la c.d. probabilità cruciale» (Cons. St., sez. III, 26 settembre 2017, n. 4483).

Alla stregua di tali rilievi, come evidenziato da Consiglio di Stato, sez. III, n. 14/0772020 n. 4542 cit., non è richiesto – alla Prefettura come al Giudice amministrativo – di pervenire ad un grado di convincimento che resista ad ogni ragionevole dubbio.

È, infatti, sufficiente, ai fini dell’emissione di un’informativa interdittiva antimafia e della valutazione in sede giurisdizionale in ordine alla sua legittimità, l’essere ragionevolmente persuasi della ricorrenza, nel caso che viene in rilievo, di indici fortemente sintomatici di contiguità, connivenza o comunque condivisione di intenti criminali. Il metro di valutazione è, come si è detto, quello del “più probabile che non”, nel rispetto d’altronde della ratio dell’istituto e delle finalità di “cautela avanzata” di fronte ad ogni pericolo o tentativo di infiltrazione mafiosa nel tessuto dell’attività economica, specialmente se esercitata in ambiti tradizionalmente di interesse per le mafie (Cons. St., sez. III, 30 giugno 2020, n. 4168).



INTERDITTIVA ANTIMAFIA - CONTROVERSIE - GIURISDIZIONE GIUDICE AMMINISTRATIVO

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2021

Nell’attribuire al ritardo nella sostituzione della mandante attinta dall’interdittiva fondamento esclusivo dell’atto di risoluzione impugnato la sentenza di primo grado ha trascurato che il presupposto di quest’ultimo rimane l’incapacità di contrattare con l’amministrazione conseguente al provvedimento prefettizio prevista dall’art. 94 del citato codice antimafia di cui al d.lgs. n. 159 del 2011, sulle cui controversie la giurisdizione è devoluta al giudice amministrativo (da ultimo in questo senso: Cons. Stato, III, 11 gennaio 2021, n. 338). Del pari, lungi dal potere essere ricondotto alla fase esecutiva dell’appalto, la sostituzione dell’impresa infiltrata, così come il suo eventuale ritardo, è un fatto comunque riconducibile all’incapacità contrattuale derivante dall’adozione di provvedimenti in materia di contrasto alla criminalità mafiosa, sotto il profilo della sua non operatività prevista dall’art. 95, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011 per il contraente privato in forma plurisoggettiva che abbia sostituito il proprio componente colpito dall’interdittiva.

Per le ragioni ora esposte non ha fondamento ai fini del riparto di giurisdizione tra giudice amministrativo e giudice ordinario la distinzione tra controversie concernenti il recesso conseguente all’interdittiva antimafia, da un lato, e dall’altro lato controversie invece relative alla successiva sostituzione dell’impresa raggruppata colpita da quest’ultimo provvedimento. Oltre a determinare una potenziale proliferazione di controversie proposte davanti a diversi ordini giurisdizionali in vicende contrattuali unitarie, la distinzione è in sé non sempre di agevole risoluzione, nella misura in cui scinde tra diversi ordini giurisdizionali di aspetti comunque riconducibili ad un potere amministrativo avente fondamento normativo unitario, ricavabile dai sopra citati artt. 94 e 95 d.lgs. n. 159 del 2011, laddove a base del riparto di giurisdizione si pongono invece esigenze di certezza, in funzione dell’effettività e rapidità della tutela giurisdizionale.



CLAUSOLA DI SALVAGUARDIA E PAGAMENTO VALORE PRESTAZIONI GIÀ ESEGUITE – SOLO PER CONTRATTI PUBBLICI

CONSIGLIO DI STATO - A.P. SENTENZA 2020

La salvezza del pagamento del valore delle opere già eseguite e il rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del rimanente, nei limiti delle utilità conseguite, previsti dagli articoli 92, comma 3, e 94, comma 2, del d,. lgs. 6 settembre 2011 n. 159, si applicano solo con riferimento ai contratti di appalto di lavori, di servizi e di forniture.

NOMINA AMMINISTRATORE GIUDIZIARIO PER IL CONTROLLO DELLA SOCIETÀ - SOSPENSIONE DEL GIUDIZIO PROPOSTO AVVERSO L'INTERDITTIVA ANTIMAFIA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2019

Qualora sia stato nominato un amministratore giudiziario per il controllo della società per due anni, ai sensi dell’art. 34-bis, comma 6, d.lgs. n. 159 del 2011, inserito dall’art. 11, comma 1, l. n. 161 del 2017, deve essere sospeso il giudizio proposto avverso l'interdittiva antimafia per tutto il periodo della misura del controllo giudiziario.

INTERDITTIVA ANTIMAFIA - RILIEVO RAPPORTO DI PARENTELA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2016

L’interdittiva antimafia è una misura volta – ad un tempo - alla salvaguardia dell’ordine pubblico economico, della libera concorrenza tra le imprese e del buon andamento della pubblica Amministrazione e comporta che il Prefetto escluda che un imprenditore – pur dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione – meriti la fiducia delle Istituzioni (vale a dire che risulti «affidabile») e possa essere titolare di rapporti contrattuali con le pubbliche Amministrazioni o degli altri titoli abilitativi, individuati dalla legge.

L’Amministrazione ben può dare rilievo anche ad un rapporto di parentela, «laddove tale rapporto, per la sua natura, intensità, o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere … che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti) ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto» (in tal senso, v. la sentenza n. 2683 del 2016, secondo cui «nei contesti sociali in cui attecchisce il fenomeno mafioso, all’interno della famiglia si può verificare una ‘influenza reciproca’ di comportamenti e possono sorgere legami di cointeressenza, di solidarietà, di copertura o quanto meno di soggezione o di tolleranza».

COLLEGAMENTO ANTIMAFIA - CONTINUAZIONE NEL RAPPORTO DI APPALTO - LIMITI

TAR ABRUZZO PE SENTENZA 2016

La facolta' di continuare il rapporto con imprese, nonostante il collegamento delle stesse con organizzazioni malavitose, prevista dall’articolo 94 del d.lgs. n. 159 del 2011, è ipotesi - data l'evidente ratio di pieno sfavore legislativo alle infiltrazioni mafiose nei contratti pubblici - remota e residuale, e dunque consentita al solo fine di tutelare l'interesse pubblico attraverso una valutazione di convenienza in relazione a circostanze particolari, quali il tempo dell'esecuzione del contratto o la sua natura, o la difficolta' di trovare un nuovo contraente, se la causa di decadenza sopravviene ad esecuzione ampiamente inoltrata (cfr. Consiglio di Stato, sentenza n. 197 del 2012); pertanto la stazione appaltante, mentre puo' richiamare l'informativa a supporto della decisione di risolvere il contratto, senza addurre particolari giustificazioni, ha viceversa il dovere di motivare adeguatamente nel caso in cui, nonostante la presenza di un inquinamento mafioso, l'interesse pubblico alla completa esecuzione del contratto è cosi' pregnante da legittimare un'impresa sospetta ad effettuare lavori pubblici (Tar Napoli, sentenza n. 860 del 2014).

Nel caso di cui all’articolo 32 del d.l. n. 90 del 2014, viceversa, la valutazione non è rimessa alla Stazione appaltante e non riguarda la scelta se far completare o meno l’appalto ad un’impresa in cui sussistono infiltrazioni mafiose; si tratta di una valutazione che è viceversa rimessa al Prefetto e riguarda una misura che mira a sterilizzare tale condizionamento mafioso, consentendo cosi' una gestione da esso immune, che priva quindi le stazioni appaltanti del potere di recedere sulla base del mero presupposto dell’interdittiva antimafia.