Art. 21-nonies. (Annullamento d'ufficio)
1. Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a dodici mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell'articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo. (2. È fatta salva la possibilità di convalida del provvedimento annullabile, sussistendone le ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole.
2-bis. I provvedimenti amministrativi conseguiti sulla base di false rappresentazioni dei fatti o di dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell'atto di notorietà false o mendaci per effetto di condotte costituenti reato, accertate con sentenza passata in giudicato, possono essere annullati dall'amministrazione anche dopo la scadenza del termine di ((dodici)) mesi di cui al comma 1, fatta salva l'applicazione delle sanzioni penali nonchè delle sanzioni previste dal capo VI del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
Testo Previgente
Giurisprudenza e Prassi
RITIRO DEGLI ATTI DI GARA IN UN PROJECT FINANCING: RIENTRA NELL'AMPIA DISCREZIONALITA' DELL'ENTE (193)
La giurisprudenza amministrativa concorda nel ritenere che la peculiare natura giuridica del bando di gara e degli atti endoprocedimentali della procedura ad evidenza pubblica (tra cui anche la proposta di aggiudicazione) “...non consentono di applicare la disciplina dettata dagli artt. 21-quinquies e 21-novies della L. n. 241 del 1990 in tema di revoca e annullamento d’ufficio” (cfr., ex multis, Cons. Stato, sez. VII, 19 dicembre 2024, n. 10220; Cons. Stato, sez. III, 31 marzo 2021, n. 2707; Cons. St., sez. V, 20 agosto 2013, n. 4183; T.A.R. Campania, Salerno, sez. II, 30 ottobre 2025, n. 1762), così da non richiedersi, pertanto, un raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato, non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario (Cons. Stato, sez. VII, 19 dicembre 2024, n. 10220, già citata; Cons. Stato, sez. V, 20 aprile 2012, n. 2338).
Ogni qualvolta l’amministrazione si determini, pertanto, nell’esercizio dell’ampio potere di riesame, a intervenire, mediante un provvedimento di secondo grado, su atti aventi valenza endoprocedimentale, viene in essere, in concreto, un atto di “ritiro”.
Tali conclusioni non divergono anche laddove il ricorso a tale potere di ritiro avvenga nell’ambito di una procedura di project financing, laddove, una volta chiusa la prima fase con la scelta del promotore, l’amministrazione procedente ritiri gli atti endoprocedimentali con i quali è stata avviata – e, se del caso, condotta, senza dar luogo ancora ad una aggiudicazione – la seconda fase avente ad oggetto la successiva gara.
Sebbene infatti “...la selezione del promotore crea, per il soggetto prescelto, una posizione di vantaggio certa e non meramente eventuale, atteso che il suo progetto è posto a base della successiva gara e che, ove anche nella gara vengano selezionati progetti migliori di quello del promotore, quest'ultimo ha un diritto potestativo di rendersi aggiudicatario, adeguando la propria proposta a quella migliore, o in caso contrario di ricevere il rimborso forfettario delle spese sostenute per la presentazione della proposta” (Cons. Stato, sez. V, 9 ottobre 2023, n. 8766), l’ente che ha avviato la procedura dispone di un’ampia discrezionalità rispetto all’eventuale prosecuzione della stessa, potendo anche decidere di non darvi seguito (Cons. Stato, sez. V, 26 gennaio 2024, n. 847).
REVOCA DELLA PROPOSTA DI AGGIUDICAZIONE: IN QUANTO ATTO ENDOPROCEDIMENTALE, PER IL CONCORRENTE C'E' SOLO UN'ASPETTATIVA ALLA CONCLUSIONE DELLA GARA (21QUINQUIES)
La proposta di aggiudicazione è, dunque, un mero atto provvisorio ad effetti non stabilizzati, inidoneo a determinare un affidamento qualificato in capo all'aggiudicatario provvisorio (T.A.R. Napoli, sez. I, 03/02/2022, n.778).
Trattasi di un atto endoprocedimentale, che rileva ai fini dello sviluppo dell'iter procedimentale, ma non esprime la determinazione finale dell'amministrazione, fino alla cui adozione restano sconosciuti tanto l'esito del procedimento, quanto la possibilità che esso conduca ad un provvedimento lesivo.
La giurisprudenza assume, infatti, che la revoca o l'annullamento d'ufficio della gara intervenuti prima del formale provvedimento di aggiudicazione sono propriamente qualificabili non come atti di esercizio del potere di autotutela (ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della legge n. 241/1990), ma come semplici atti di ritiro che non richiedono il raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato (T.A.R. Napoli, sez. III, 24/10/2024, n.5632).
La natura giuridica di atto endoprocedimentale della proposta di aggiudicazione non consente infatti di applicare integralmente la disciplina degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. n. 241 del 1990 in tema di revoca e annullamento d'ufficio, con particolare riferimento all'esigenza del raffronto tra l'interesse pubblico e quello privato sacrificato, non essendo prospettabile alcun affidamento del destinatario della mera proposta di aggiudicazione (Consiglio di Stato, sez. VII, 19/12/2024, n.10220).
L'aggiudicatario provvisorio vanta solo un'aspettativa non qualificata o di mero fatto alla conclusione del procedimento; per cui, in assenza di una aspettativa qualificata, la P.A. non è tenuta a preavvertire l'aggiudicatario della volontà di dare seguito al procedimento in modo coerente con la precedente aggiudicazione provvisoria (T.A.R. Roma, sez. II, 03/07/2023, n.11161).
ANNULLAMENTO D'UFFICIO DELL'AGGIUDICAZIONE: IL TERMINE DI 12 MESI E' PERENTORIO E NON SUPERABILE IN ASSENZA DEI CASI TASSATIVI PREVISTI (21NONIES)
Il giudice di primo grado ha ritenuto fondata la censura di violazione del termine per l’annullamento d’ufficio stabilito dall’art. 21-nonies l. n. 241/1990, decorrente dal provvedimento di aggiudicazione del 3 febbraio 2022: “Non può pertanto essere condivisa l’affermazione di parte resistente secondo cui avrebbe eseguito la verifica del possesso continuativo del requisito di regolarità contributiva in capo a G. ai fini dell’autorizzazione al subentro di C. s.r.l. “in ossequio a quanto disposto con la Delibera Anac n. 614 del 20.12.2022”, atteso che la stazione appaltante ha omesso di procedere alle doverose verifiche sia ai fini dell’autorizzazione al subentro di C. nella procedura di gara sia quando, il 19 aprile 2022, il RTI Nigra aveva informalmente avvisato la stazione appaltante in merito all’irregolarità contributiva in capo a G. Gli argomenti addotti dalla stazione appaltante per giustificare le omesse e ritardate verifiche sulla segnalata irregolarità contributiva non scalfiscono l’illegittimità del provvedimento impugnato, dal momento che sulla doverosità delle verifiche si era espressa anche l’Anac, con il parere del 20 dicembre 2022 e la pendenza dei ricorsi proposti dalla C. avverso il parere di precontenzioso dell’Autorità non impediva al PAT di procedere al riesame della legittimità della partecipazione di G. e del subentro”.
Né il superamento di tale termine, secondo il primo giudice, può giustificarsi con il concorso dell’aggiudicataria, posto che “la stazione appaltante non ha neppure dato prova della sussistenza di “false rappresentazioni dei fatti” o di “dichiarazioni sostitutive di certificazione e dell’atto di notorietà false o mendaci” da parte del ricorrente o della sua dante causa, uniche ipotesi - del comma 2bis dell’art. 21 nonies - che avrebbero consentito all’amministrazione di prescindere dall’osservanza dei detti termini. Risulta invece dalla documentazione in atti che la ricorrente ha continuato a svolgere il servizio oggetto del contratto per diciotto mesi, e anche successivamente alla richiesta del DURC del 17 gennaio 2023, senza che il PAT avesse messo più in discussione la legittimità della aggiudicazione”.
L’appellante valorizza inoltre il fatto che il potere di risoluzione qui sarebbe stato esercitato sulla base di una clausola contrattuale: ma tale dato non assume valore oltre il piano meramente nominale, che non muta la natura del potere e degli effetti del suo esercizio, considerata peraltro la chiara motivazione del provvedimento impugnato in primo grado.
È infatti irrilevante non solo, come rilevato dal T.A.R., la denominazione di “risoluzione” attribuita al provvedimento, ma anche la circostanza che in esso sia stato richiamato l’articolo 3 del contratto di appalto (da intendersi quale clausola risolutiva espressa), atteso che per pacifica giurisprudenza l’individuazione della giurisdizione consegue a una verifica sostanziale del potere esercitato dalla stazione appaltante, essendo non decisivi a tal fine sia il nomen impiegato, sia la circostanza che l’atto sia adottato durante la fase di esecuzione del contratto, in quanto deve essere comunque ricondotta alla sfera pubblicistica dell’autotutela la determinazione che sia espressione di un potere di controllo sulla serie procedimentale dell’evidenza pubblica anziché essere determinata da inadempimento o da altre vicende occorse nella fase di esecuzione (cfr. Cass. civ., sez. un., 27 gennaio 2014, n. 1530; id., 29 agosto 2008, n. 21928; Cons. Stato, sez. III, 22 maggio 2025, n. 4385; id., sez. V, 22 maggio 2015 n. 2562; id., 17 marzo 2010, n. 1554).
Tanto è avvenuto nel caso di specie, laddove l’Amministrazione è pervenuta al censurato atto di “risoluzione” all’esito dell’esercizio di un’attività, sia pure posta in essere solo a seguito di sollecitazioni di altro concorrente e del parere di precontenzioso dell’ANAC, che concerne la verifica del possesso dei requisiti di partecipazione in capo alla dante causa dell’aggiudicataria (che era subentrata in corso di procedura all’originaria offerente, per effetto di cessione di azienda), e pertanto in esercizio di un potere di chiara natura pubblicistica, afferente al regolare e legittimo svolgimento della fase di evidenza pubblica a monte del contratto.
Quanto sopra trova conferma nella successiva condotta della stessa stazione appaltante, la quale ha proceduto a scorrimento della graduatoria e a nuova aggiudicazione in favore della originaria terza graduata, ciò che non sarebbe stato possibile laddove, come sostiene l’appellante, si fosse trattato di un mero atto civilistico di risoluzione contrattuale tale da non pregiudicare la retrostante aggiudicazione disposta in favore della stessa odierna istante.
In realtà l’articolo 3 del contratto di appalto alla luce di quanto fin qui osservato più che una clausola risolutiva espressa appare configurare un impegno, preso dall’Amministrazione a titolo cautelativo, ad attenersi comunque a quelle che sarebbero state le determinazioni dell’ANAC, stante la natura doverosa del potere di verifica dei requisiti e il fatto che nella specie vi era “dubbio” sulla latitudine della sua estensione, in ragione dell’interpretazione del c.d. principio di continuità del possesso dei requisiti di partecipazione alle gare (dunque, come una sorta di autovincolo in punto di esercizio del potere – pubblicistico – di autotutela).
Così inteso, il ridetto articolo 3 del contratto finiva per integrare una pattuizione reiterativa della previsione di un potere spettante comunque alla stazione appaltante in forza della generale disciplina positiva del procedimento di evidenza pubblica, a fronte della quale il richiamo di parte appellante alla regola interpretativa di cui all’articolo 1367 c.c. non può certo autorizzare interpretazioni contra jus della volontà contrattuale.
Infatti, una volta acclarata la natura pubblicistica e di autotutela del potere esercitato dalla stazione appaltante (come sopra chiarito), ed il corretto significato dell’articolo 3 del contratto, quest’ultimo, ove interpretato nel senso di consentire un annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione – sia pure sotto la qualificazione nominale della “risoluzione” contrattuale – anche oltre il termine perentorio di dodici mesi di cui all’articolo 21-nonies, l. n. 241/1990, andrebbe certamente considerato nullo siccome contrastante con una norma imperativa (che regola i limiti temporali dell’esercizio del ridetto potere di autotutela: limiti evidentemente non derogabili pattiziamente, in considerazione della natura della norma che li pone).
PROPOSTA DI AGGIUDICAZIONE: LA REVOCA NON RICHIEDE UN PARTICOLARE ONERE MOTIVAZIONALE (5)
Per giurisprudenza pacifica, dalla quale non v’è motivo di discostarsi, l’aggiudicazione provvisoria è un atto endoprocedimentale, non conclusivo del procedimento di gara, inidoneo ad attribuire in modo stabile il bene della vita (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sez. V, 12 settembre 2023, n. 8273; Cons. Stato, Sez. III, 31 marzo 2021, n. 2707; Cons. Stato, Sez. V, 31 luglio 2019, n. 5438; Cons. Stato, Sez. V, 11 ottobre 2018, n. 5863).
La natura giuridica di atto provvisorio ad effetti instabili, tipica dell’aggiudicazione provvisoria, spiega la non tutelabilità processuale di quest’ultima ai sensi degli artt. 21-quinquies e 21-nonies della l. n. 241 del 1990 (cfr. Cons. Stato, Sez. V, 12 settembre 2023, n. 8273; Cons. Stato, Sez. III, 31 marzo 2021, n. 2707; Cons. Stato, sez. V 20 agosto 2013, n. 4183): la sua revoca non è, cioè, qualificabile in senso stretto alla stregua di un esercizio del potere di autotutela, tale da richiedere un raffronto tra l’interesse pubblico e quello privato sacrificato ( cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14/05/2024 n. 4309).
RITIRO IN AUTOTUTELA DEL BANDO E ANCHE DELL'AGGIUDICAZIONE: LA SCELTA SI PUO' SINDACARE SOLO SE IRRAGIONEVOLE
Nel caso di specie la S.A. si è, plausibilmente, indotta a ritirare la propria precedente decisione di aggiudicare l’appalto di servizi de quo alla Società ricorrente, preferendo ritornare sul mercato per individuare un diverso contraente, anche: “a fronte della urgenza – ben evidenziata dalla parte resistente - di garantire un servizio pubblico necessario, quale quello della raccolta dei rifiuti”, attualmente garantito in via provvisoria dalla stessa ricorrente, in forza della ordinanza contingibile e urgente di cui in epigrafe.
Il Collegio ritiene che i gravati provvedimenti di ritiro siano sorretti da plausibili motivi di interesse pubblico alla sollecita individuazione di un operatore economico cui affidare, senza margini di incertezza, il servizio di igiene urbana di che trattasi oltre che, a ben vedere, alla corretta gestione delle risorse collettive, tanto più che i gravati atti di ritiro sono espressione della potestà di autotutela della resistente A.C., come noto, connotata da ampia discrezionalità.
La giurisprudenza amministrativa, infatti, ha più volte precisato che: “questo Giudice è tenuto ad esaminare la correttezza dell'esercizio del potere di autotutela dell'Amministrazione nei limiti propri della giurisdizione amministrativa.
La valutazione della conformità all'interesse pubblico delle scelte dell'Amministrazione non è sindacabile dal giudice amministrativo, il quale è tenuto ad attenersi ad aspetti che evidenziano irragionevolezza, difetti logici, violazione dell'imparzialità e travisamento istruttorio, che, nella specie, non si ritengono sussistenti, avendo la Regione dato atto, nei provvedimenti di ritiro, delle specifiche ragioni alla base della rinnovata valutazione dell'interesse pubblico, come condivisibilmente apprezzato dal Collegio di primo grado.
Secondo i principi che regolamentano l'agere amministrativo è consentito all'Amministrazione di ritornare sulle proprie decisioni con atti di autotutela, esercitando un potere che è stato sempre ritenuto come generale ed immanente nell'attribuzione della cura del pubblico interesse del caso concreto e che consente di annullare, modificare e revocare gli atti amministrativi.
Anche in relazione ai procedimenti ad evidenza pubblica per l'affidamento di lavori, servizi e forniture, l'amministrazione conserva il potere di ritirare in autotutela il bando, le singole operazioni di gara o lo stesso provvedimento di aggiudicazione, ancorché definitivo, in presenza di vizi dell'intera procedura, ovvero a fronte di motivi di interesse pubblico tali da rendere inopportuna, o anche solo da sconsigliare, la prosecuzione della gara (Cons. Stato, n. 6313 del 2018)” (cfr. ex multis, Cons. Stato, Sezione V, 16/05/2024, n. 4349).
INFORMATIVA ANTIMAFIA SOPRAVVENUTA – REVOCA TOTALE DEL CONTRIBUTO CONCESSO – ILLEGITTIMITÀ
Il Collegio non ignora il recente approdo dell’Adunanza Plenaria n. 3/2018 in tema di effetti delle informative antimafia, nel senso che determinerebbero una sorta di incapacità giuridica, impedendo di ottenere contributi, finanziamenti, corrispettivi e persino il pagamento di somme di denaro a titolo di risarcimento dei danni, quantunque aventi titolo in sentenze di condanna passate in giudicato. Ma, prescindendo dall’approfondire un simile orientamento che pone una serie di problemi, anche di teoria generale, di sicuro questo principio di diritto non può valere per i rapporti esauriti o che sarebbero dovuti esserlo da tempo e che non lo sono stati per ragioni imputabili alla pubblica amministrazione. Se così non fosse – si deve rilevare – i ritardi e le inefficienze dell’azione amministrativa sarebbero premiati e persino incentivati, ledendo le garanzie fondamentali delle parti private (la cui fisionomia può essere mutata nel tempo, avendo reciso i vecchi legami, riparato i propri errori, come deve ritenersi sia avvenuto nel caso della società odierna appellante alla luce dell’informativa liberatoria del 2015) e contribuendo a determinare un senso di incertezza e di insicurezza, nei traffici commerciali e nella serietà degli impegni giuridici, che concorre a definire il grado di “legalità” di un Paese e che potrebbe non essere di minor danno dell’insicurezza e del pericolo intollerabilmente originati e alimentati dal fenomeno e dal metodo mafioso.
Anche per tale concorrente ragione, quindi, l’atto del Ministero impugnato deve ritenersi illegittimo nella parte in cui, con la revoca, ha disposto il recupero delle somme già erogate, non facendo salvo il pagamento del valore delle opere già eseguite al momento della revoca del finanziamento.
AUTOTUTELA - ANNULLAMENTO PER MANCATA TRASCRIZIONE NELLE MINUTE DI TUTTI I PUNTEGGI ATTRIBUITI
E' illegittimo l'annullamento in autotutela in base all'affermata impossibilita' di "ricostruire compiutamente i lavori svolti dalla commissione di gara", di "correggere refusi relativi all'attribuzione dei punteggi senza che cio' comporti una rivalutazione ex post dei progetti tecnici" e di "verificare compiutamente tutta l'attribuzione dei punteggi in quanto non tutti i punteggi sono riportati nelle minute", in quanto contrastante con l'interesse pubblico all'efficienza amministrativa e gestionale ed irragionevolmente penalizzante per l'impresa vulnerata dall'atto di autotutela, avuto riguardo nel caso di specie al fatto che la correttezza e veridicita' dei punteggi assegnati alle imprese partecipanti in corso di gara e riportati nei relativi atti e verbali, sulla cui scorta è stata disposta l'aggiudicazione definitiva, non sono state messe in discussione ne' hanno evidenziato la commissione di alcun concreto (e grave) vizio e/o errore valutativo, tale da richiedere l'annullamento di tutti gli atti di gara, tra cui, in particolare, l'aggiudicazione definitiva.
ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA - INTERESSE PUBBLICO SOTTESO
L’Amministrazione ha agito in autotutela, procedendo all’annullamento d’ufficio di atti amministrativi ritenuti illegittimi. Il provvedimento di autoannullamento non risulta, pero', adottato in conformita' all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, atteso che l’interesse pubblico nel medesimo esplicitato (“interesse pubblico ad evitare un illegittimo esborso di danaro”) è sicuramente inidoneo a rappresentare la sussistenza di un preciso, attuale e concreto interesse pubblico nei termini prescritti dalla legge.
OBBLIGO DI MOTIVAZIONE DEL PROVVEDIMENTO DI ANNULLAMENTO DELL'AGGIUDICAZIONE
Il provvedimento di annullamento d’ufficio dell’atto di aggiudicazione non reca alcuna esternazione dei motivi di interesse pubblico che hanno indotto alla scelta di autotutela.
Diversamente - anche alla luce di ha quanto ora codificato all’art. 21 nonies della legge n. 241 del 1990, quale introdotto dall’art. 14 della legge n. 15 del 2005 – dovevano essere esternate le prevalenti ragioni di interesse pubblico poste a sostegno della scelta di autotutela, in raffronto dell’affidamento […] quanto all’esecuzione dei lavori.
REQUISITI PARTECIPAZIONE - ANNULLAMENTO IN AUTOTUTELA DELLA GARA
La previsione errata di un requisito di partecipazione (nella fattispecie: concessione ministeriale ad effettuare e certificare prove geotecniche, rilasciata ai sensi del d.p.r. n° 246 del 21-4 1993 e della circolare del Ministero dei Lavori Pubblici del 16-12-1999, successivamente annullati dal Tar Lazio) altera la platea dei possibili partecipanti, con evidente violazione del principio di concorrenza, parita' di trattamento e massima partecipazione. L'aggiudicazione alla ricorrente a seguito di un provvedimento di autotutela parziale, ovvero solo dell’esclusione, provvedendo alla aggiudicazione, riconoscendo la erronea previsione del requisito, avrebbe comportato una illegittimita' del provvedimento per violazione dei principi di concorrenza, parita' di trattamento e massima partecipazione alle gare pubbliche, con possibile impugnazione da parte di chi non ha presentato domanda di partecipazione in quanto, come la ricorrente, non in possesso del richiesto requisito. Pertanto, la valutazione della stazione appaltante in ordine alla prevalenza dell’interesse pubblico all’annullamento dell’intera gara deve ritenersi legittima.
In caso di mancata comunicazione agli interessati dell’avvio del procedimento di annullamento in autotutela di una procedura di gara, avendo il provvedimento di cui all’art. 21 nonies l. n. 241/1990 carattere discrezionale, l’amministrazione, al fine di escludere l’effetto invalidante del vizio procedimentale ai sensi dell’art. 21 octies, comma 2, l. n. 241/1990, ha l’onere di dimostrare che, anche alla luce della comparazione con gli affidamenti ingenerati e le posizioni antagoniste, la determinazione di ritiro sia l’unico sbocco decisionale possibile a seguito del riscontro della illegittimita' dell’atto oggetto di ritiro (Consiglio Stato , sez. V, 07 gennaio 2009, n. 17).
AUTOTUTELA - PUBBLICO INTERESSE - ANNULLAMENTO D'UFFICIO
Le ragioni di pubblico interesse, sottese all’esercizio del potere di autotutela, non sono specificate dall'art. 21-nonies della legge 241/1990. Si richiede, quindi, alla p.a. una comparazione tra l'interesse pubblico e gli interessi dei destinatari e dei controinteressati. Cio' significa che l'interesse pubblico all'annullamento d'ufficio è il risultato di una scelta discrezionale dell'amministrazione operata in assenza di precisi parametri normativi, poiche' il legislatore si è astenuto dall'identificare le situazioni che costituiscono un interesse pubblico rilevante ai fini della rimozione dell’atto. Tuttavia, un limite all’esercizio del potere di annullamento consiste nella certezza delle situazioni giuridiche originate dal provvedimento annullabile in via di autotutela. Infatti, se il provvedimento ha prodotto effetti favorevoli ed è trascorso un apprezzabile lasso di tempo, sufficiente ad ingenerare un legittimo affidamento nell’interessato, si deve ritenere che la stabilita' della situazione venutasi a creare costituisca un limite all’autoannullamento. Le svolte considerazioni evidentemente si pongono in contrasto con l’aspirazione alla costante legittimita' dell'azione amministrativa, ma le esigenze di certezza del diritto e di affidamento ingenerato dalla stessa p.a. attraverso l’emanazione dell’atto illegittimo e l’omesso tempestivo ritiro, inducono a preferire una soluzione che contemperi la necessita' del ripristino della legittimita' e gli altri interessi concorrenti.
Infatti, come costantemente affermato dalla giurisprudenza, la p.a. che agisce in via di autotutela deve evidenziare la concretezza e l’attualita' del pubblico interesse che sostiene la scelta di annullare il provvedimento anche a distanza di tempo dalla sua adozione (Cfr. Cons. St., sez. IV, 7.11.02, n. 6113; TAR Lazio, Latina, 12.1.01, n. 81).
Circa la valutazione del lasso di tempo intercorrente tra l’emanazione dell’atto da ritirare ed il provvedimento di annullamento assunto in via di autotutela, il potere di esercitare l'autotutela non soffre limiti temporali, ma il decorso del tempo puo' consolidare situazioni di fatto sorrette dall'apparenza di uno stato di diritto basato sull’atto da ritirare. In sostanza, rileva ai fini della decisione sull’annullamento l’affidamento ingenerato dall’atto nell’interessato in merito alla legittimita' del provvedimento. La ragionevolezza del termine è un concetto vago e indeterminato. In vero, l’art. 21-nonies, parla di ‘termine ragionevole’ senza fornire elementi per definire la ‘ragionevolezza’ del termine entro il quale puo' essere esercitato il potere di autotutela. Quindi, per un verso, la p.a. è tenuta a motivare specificamente al riguardo e, per l’altro, occorre procedere caso per caso ad eseguire tale valutazione, esaminando gli elementi che caratterizzano la vicenda.
AUTOTUTELA DELLA P.A.
La giurisprudenza amministrativa si è preoccupata, in mancanza di una disciplina legislativa specifica dell'esercizio dell'autotutela, di definire i limiti, i presupposti e le condizioni di legittimità dell'annullamento d'ufficio, chiarendo, in estrema sintesi, che quest'ultimo non può fondarsi sulla mera esigenza di ripristino della legalità, ma deve dare conto, nella motivazione, della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell'atto.
Inoltre ha chiarito che l'esercizio dello jus poenitendi da parte dell'Amministrazione incontra un limite (insuperabile) nell'esigenza di salvaguardare le situazioni di soggetti privati che, confidando nella legittimità dell'atto rimosso, hanno acquisito il consolidamento di posizioni di vantaggio loro attribuite da questo e che il decorso di un lasso temporale di diversi anni dall'adozione dell'atto rimosso, senza che l'Amministrazione abbia apprezzato l'esistenza di un interesse pubblico attuale alla sua eliminazione, determina l'illegittimità dell'annullamento d'ufficio.
Tali principi, univocamente affermati dai giudici amministrativi, sono stati tradotti e declinati in diritto positivo dalla legge 11 febbraio 2005 n. 11, là dove, in particolare, introducendo l'art. 21-nonies nella legge 7 agosto 1990 n. 241, ha disciplinato l'annullamento d'ufficio di atti illegittimi, stabilendo, quali condizioni di legalità dell'esercizio del relativo potere, proprio la necessità che l'atto di autotutela sia sorretto dal rilievo della sussistenza di ragioni di interesse pubblico alla rimozione del provvedimento viziato, che venga adottato entro un termine ragionevole e che tenga conto degli interessi dei soggetti privati coinvolti (destinatari ed eventuali controinteressati).

