Art. 148 Controllo della Corte dei Conti

1. La Corte dei Conti esercita il controllo sulla gestione degli enti locali, ai sensi delle disposizioni di cui alla legge 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modificazioni ed integrazioni.

1. Le sezioni regionali della Corte dei conti verificano, con cadenza semestrale, la legittimità e la regolarità delle gestioni, il funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto delle regole contabili e del pareggio di bilancio di ciascun ente locale, nonché il piano esecutivo di gestione, i regolamenti e gli atti di programmazione e pianificazione degli enti locali. A tale fine, il sindaco, relativamente ai comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti, o il Presidente della provincia, avvalendosi del direttore generale, quando presente, o del segretario negli enti in cui non è prevista la figura del direttore generale, trasmette semestralmente alla sezione regionale di controllo della Corte dei conti un referto sulla regolarità della gestione e sull'efficacia e sull'adeguatezza del sistema dei controlli interni adottato, sulla base delle Linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti; il referto è, altresì, inviato al Presidente del consiglio comunale o provinciale. Per i medesimi controlli, la Corte dei conti può avvalersi, sulla base di intese con il Ministro dell'economia e delle finanze, del Corpo della Guardia di finanza, che esegue le verifiche e gli accertamenti richiesti, necessari ai fini delle verifiche semestrali di cui al primo periodo, agendo con i poteri ad esso attribuiti ai fini degli accertamenti relativi all'imposta sul valore aggiunto e alle imposte sui redditi. Per le stesse finalità e cadenze, sulla base di analoghe intese, sono disposte verifiche dei Servizi Ispettivi di finanza pubblica, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n. 196. In caso di rilevata assenza o inadeguatezza degli strumenti e delle metodologie di cui al secondo periodo del presente comma, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, e dai commi 5 e 5-bis dell'articolo 248, le sezioni giurisdizionali regionali della Corte dei conti irrogano agli amministratori responsabili la condanna ad una sanzione pecuniaria pari ad un minimo di cinque e fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione.

articolo così sostituito dall'art. 3, comma 1, lettera e), decreto-legge n. 174 del 2012
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Giurisprudenza e Prassi

SOCIETÀ MISTE - DEFINIZIONE DI CONTROLLO PUBBLICO - ELEMENTI QUALIFICANTI ED ESCLUDENTI - NECESSITÀ DI UN ACCERTAMENTO IN CONCRETO.

CORTE DEI CONTI DELIBERAZIONE 2019

La partecipazione pubblica diffusa, frammentata e maggioritaria non costituisce ex se prova o presunzione legale dell'esistenza di coordinamento tra i soci pubblici, che deve invece essere accertato in concreto; può, invece costituire una presunzione semplice, la cui valutazione ex art. 2729 c.c. è rimessa al prudente apprezzamento del giudice, che ammetterà solo quelle gravi, precise e concordanti ed in mancanza di prova contraria diretta.

In concreto, assume rilievo decisivo lo scrutinio delle disposizioni statutarie e dei patti parasociali per verificare in che termini le pubbliche amministrazioni che detengono partecipazioni azionarie sono in grado di influire sulle decisioni finanziarie e gestionali strategiche relative all’attività sociale e solo in mancanza di questi potrà avere rilevanza un coordinamento di fatto, espressione di comportamenti concludenti, il cui apprezzamento è rimesso alla prudente valutazione della Sezione di controllo. Tuttavia, solo la valutazione complessiva delle circostanze consente di desumere il controllo mediante il sistema delle presunzioni, che si ribadisce deve basarsi su indici “gravi, precisi e concordanti”.

Il criterio di individuazione, basato sull’applicazione letterale del combinato disposto delle lettere b) ed m) dell’art. 2 del TUSP, deve essere rivisto quando, in virtù della presenza di patti parasociali (art. 2314-bis cod. civ.), di specifiche clausole statutarie o contrattuali (anche aventi fonte, per esempio, nello specifico caso delle società miste, nel contratto di servizio stipulato a seguito di una c.d. “gara a doppio oggetto”), risulti provato che, pur a fronte della detenzione della maggioranza delle quote societarie da parte di uno o più enti pubblici, sussista un’influenza dominante del socio privato o di più soci privati (nel caso, anche unitamente ad alcune delle amministrazioni pubbliche socie).

Qualora dalla lettura delle disposizioni statutarie e contrattuali nonché dal riscontro dei fatti emerge in modo chiaro ed univoco che il socio privato concorre in modo determinante alla governance della società, il controllo pubblico è da escludere.

In particolare:

•Non può essere considerata a controllo pubblico una società nella quale per la modifica dello Statuto e per qualsiasi altra deliberazione dell'assemblea ordinaria e straordinaria è previsto il voto decisivo del socio privato;

•Non può essere riconosciuta la qualità di società a controllo pubblico ad una società in cui siano esercitabili in assemblea poteri di veto sia dal socio pubblico che dal socio privato;

•Non può essere qualificata a controllo pubblico una società in presenza di elementi quali: la maggioranza azionaria di un socio privato; la presenza necessaria del voto del socio privato per qualsiasi decisione assembleare in seduta sia ordinaria che straordinaria, la nomina da parte del socio privato della maggioranza degli amministratori, la nomina da parte del socio privato del Consigliere delegato a cui lo statuto assegna ampi poteri gestori.