Art. 30 - Azione di condanna

1. L'azione di condanna puo' essere proposta contestualmente ad altra azione o, nei soli casi di giurisdizione esclusiva e nei casi di cui al presente articolo, anche in via autonoma.

2. Puo' essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attivita' amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria. Nei casi di giurisdizione esclusiva puo' altresi' essere chiesto il risarcimento del danno da lesione di diritti soggettivi. Sussistendo i presupposti previsti dall'articolo 2058 del codice civile, puo' essere chiesto il risarcimento del danno in forma specifica.

3. La domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi e' proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si e' verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo. Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l'esperimento degli strumenti di tutela previsti.

4. Per il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di cui al comma 3 non decorre fintanto che perdura l'inadempimento. Il termine di cui al comma 3 inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.

5. Nel caso in cui sia stata proposta azione di annullamento la domanda risarcitoria puo' essere formulata nel corso del giudizio o, comunque, sino a centoventi giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza.

6. Di ogni domanda di condanna al risarcimento di danni per lesioni di interessi legittimi o, nelle materie di giurisdizione esclusiva, di diritti soggettivi conosce esclusivamente il giudice amministrativo.
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Giurisprudenza e Prassi

AGGIUDICAZIONE ILLEGITTIMA: PER OTTENERE IL RISARCIMENTO E' NECESSARIO PROVVEDERE ALL'IMPUGNAZIONE DEL PROVVEDIMENTO

TAR SICILIA CT SENTENZA 2023

Pur conoscendo l’effettiva portata lesiva e gli eventuali profili di illegittimità, parte ricorrente non ha tempestivamente impugnato l’aggiudicazione del servizio in favore della controinteressata, rimedio che avrebbe sicuramente impedito e totalmente eliminato il danno lamentato dalla parte ricorrente.

Affinché il pregiudizio economico del privato possa qualificarsi come danno risarcibile, occorre verificare che il danneggiato abbia attivato tutto il complesso di poteri e facoltà procedimentali e di reazione processuale concessi dall’ordinamento, secondo un criterio di ordinaria diligenza codificato all’art. 1227, comma 2, c.c. che, nell’analitica della responsabilità della P.A., si declina (diversamente che per i rapporti privati [cfr. Cass. Civ., Sez. II, 13 gennaio 2014, n. 470]), ai sensi dell’art. 30, comma 3, ultima parte, c.p.a., anche con l’esperimento delle azioni impugnatorie e di condanna previste dal c.p.a. (cfr. T.A.R. Sardegna, Cagliari, Sez. II, 14 maggio 2018, n. 437 e Cons. Stato, sez. IV, 7 agosto 2023, n. 7576 che ne evidenzia la valenza di principio generale già immanente nell’ordinamento ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c., e, pertanto applicabile anche ante codice del processo amministrativo).

AZIONE RISARCITORIA AUTONOMA - LIMITI

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2018

In base al disposto di cui al già citato art. 101, comma 2, c.p.a., “si intendono rinunciate le domande e le eccezioni dichiarate assorbite o non esaminate nella sentenza di primo grado, che non siano state espressamente riproposte nell’atto di appello”: ebbene, proprio alla luce di tale ultima disposizione, è evidente che, anche ammesso che la domanda risarcitoria abbia costituito oggetto di rinuncia (ex lege, quale conseguenza della sua mancata riproposizione in appello), la rinuncia medesima non potrebbe costituire ostacolo alla ripresentazione della suddetta domanda nell’ambito di un autonomo giudizio, nel rispetto (di fatto avvenuto), del termine di cui all’art. 30, comma 5, c.p.a..

Come statuito da questo Consiglio di Stato (cfr. Sezione IV, n. 2666 del 4 maggio 2018), infatti, “nel processo amministrativo la rinuncia alla domanda non va confusa con la rinuncia agli atti del giudizio atteso che, nel caso di rinuncia agli atti del giudizio, si può parlare di estinzione del processo, cui consegue una pronuncia meramente processuale, potendo essere la domanda riproposta nel caso in cui siano ancora aperti i termini per far valere in giudizio la pretesa sostanziale; la rinuncia all’azione comporta, invece, una pronuncia con cui si prende atto di una volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta in giudizio, con la conseguente inammissibilità di una riproposizione della domanda; in quest’ultimo caso non vi può essere estinzione del processo, in quanto la decisione implica una pronuncia di merito, cui consegue l’estinzione del diritto di azione, atteso che il giudice prende atto della volontà del ricorrente di rinunciare alla pretesa sostanziale dedotta nel processo” (ex multis, di recente, Consiglio di Stato sez. III 21 giugno 2017 n. 3058)”.

Ebbene, non può revocarsi in dubbio che una volontà rinunciativa ex lege, quale quella derivante dall’applicazione dell’art. 101, comma 2, c.p.a., non può assumere di per sé valenza di volontà di rinunciare alla pretesa sostanziale, con la conseguente limitazione dei relativi effetti al processo nell’ambito del quale si sia perfezionata e senza preclusioni di sorta in ordine alla riproposizione della relativa domanda in un altro contesto processuale.

CONTRATTI PUBBLICI - RICHIESTA DI RISARCIMENTO DEL DANNO DA MANCATA AGGIUDICAZIONE - ONERE DELLA PROVA

TAR LAZIO RM SENTENZA 2017

In tema di quantificazione e liquidazione del danno da mancata aggiudicazione di un pubblico appalto, vanno in questa sede ribaditi i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa e, da ultimo, definitivamente chiariti con il recente arresto dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (sent. n. 2 del 2017) che di seguito si ripropone nei suoi tratti salienti.

Anzitutto, il danneggiato – ai sensi degli artt. 30, 40 e 124, comma 1, cod. proc. amm. –deve offrire la prova sia dell'an che del quantum del danno che assume di aver sofferto. Nel caso di mancata aggiudicazione, il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con l'interesse c.d. positivo che ricomprende sia il mancato profitto (che l'impresa avrebbe ricavato dall'esecuzione dell'appalto), sia il danno c.d. curricolare (ovvero il pregiudizio subìto dall'impresa a causa del mancato arricchimento del curriculum e dell'immagine professionale per non poter indicare in esso l'avvenuta esecuzione dell'appalto). Spetta quindi all'impresa danneggiata offrire la prova dell'utile che in concreto avrebbe conseguito, qualora fosse risultata aggiudicataria dell'appalto, poiché nell'azione di responsabilità per danni il principio dispositivo opera con pienezza e non è temperato dal metodo acquisitivo proprio dell'azione di annullamento (ex art. 64, commi 1 e 3, cod. proc. amm.). In tale quadro la valutazione equitativa, ai sensi dell'art. 1226 c.c., è ammessa soltanto in presenza di situazione di impossibilità, o di estrema difficoltà, di una precisa prova sull'ammontare del danno. La prova in ordine alla quantificazione del danno può essere raggiunta anche mediante presunzioni, purché siano offerti elementi indiziari dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza; mentre non può attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici. Con specifico riferimento al quantum da risarcire, poi, l’Adunanza plenaria ha recisamente escluso la pretesa di ottenere l'equivalente del 10% dell'importo a base d'asta, “sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata (non potendo formularsi un giudizio di probabilità fondato sull'id quod plerumque acciditsecondo il quale, allegato l'importo a base d'asta, può presumersi che il danno da lucro cessante del danneggiato sia commisurabile al 10% del detto importo)”; ed anche per il c.d. danno curricolare il creditore deve offrire una prova puntuale del nocumento che asserisce di aver subito (il mancato arricchimento del proprio curriculum professionale), quantificandolo in una misura percentuale specifica applicata sulle somme liquidate a titolo di lucro cessante. Il mancato utile spetta nella misura integrale, in caso di annullamento dell'aggiudicazione impugnata e di certezza dell'aggiudicazione in favore del ricorrente, solo se questo dimostri di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, in quanto tenuti a disposizione in vista della commessa: in difetto di tale dimostrazione, può presumersi che l'impresa abbia riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori ovvero che li avrebbe potuti riutilizzare, usando l'ordinaria diligenza dovuta al fine di non concorrere all'aggravamento del danno, a titolo di aliunde perceptum vel percipiendum.

Tale ripartizione dell'onere probatorio in materia di aliunde perceptum, pur nella consapevolezza che quest’ultima voce rappresenta un fatto impeditivo del danno, è dalla giurisprudenza considerata valida nel settore degli appalti, potendosi qui invocare la presunzione secondo cui l'imprenditore (specie se in forma societaria), in quanto soggetto che esercita professionalmente un'attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte in caso di mancata aggiudicazione di un appalto, ma si procura prestazioni contrattuali alternative traendone utili, non essendo ragionevolmente predicabile la condotta dell'impresa che immobilizza le proprie risorse in attesa dell'aggiudicazione di una commessa, o nell'attesa dell'esito del ricorso giurisdizionale volto ad ottenere l'aggiudicazione; peraltro, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, sicché il comportamento inerte dell'impresa ben può assumere rilievo in ordine all'aliunde percipiendum. Pertanto, in mancanza di prova contraria, deve ritenersi che l’impresa abbia comunque impiegato proprie risorse e mezzi in altre attività, dovendosi quindi sottrarre al danno subito per la mancata aggiudicazione l'aliunde perceptum, calcolato in genere in via equitativa e forfettaria (così, ancora, Cons. Stato, ad. plen., sent. n. 2 del 2017).

TERMINI PROPOSIZIONE AZIONE RISARCITORIA

TAR FRIULI SENTENZA 2016

Il dies a quo del termine di centoventi giorni fissato dall’articolo 30, comma 3, Cod. proc. amm. per l’esercizio dell’azione risarcitoria è nel caso di specie da individuarsi nella ricezione da parte della società ricorrente della comunicazione della stazione appaltante ex articolo 79, comma 5, lettera a), D.Lgs. n. 163/2006 di avvenuta aggiudicazione definitiva dell’appalto in questione al RTI controinteressato. (..) Né può ritenersi sospeso il suvvisto termine di esercizio dell’azione risarcitoria dalla attivazione da parte dell’interessata della procedura volta alla pronuncia di un parere sulla questione controversa da parte dell’ANAC. Invero, in assenza di specifica previsione normativa in tal senso, il termine perentorio per il ricorso ai rimedi di ordine giudiziale continua a decorrere, pur in pendenza del procedimento – sicuramente privo di valenza giurisdizionale - avanti l’Autorità di vigilanza del settore (cfr., T.A.R. Molise, sentenza n. 711/2013; T.A.R. Abruzzo – Pescara, sentenza n. 102/2014). (..) E’, altresì, da escludersi che possa avere efficacia sospensiva del termine di esercizio dell’azione risarcitoria la volontà manifestata dalla società (..) di attendere il parere di ANAC. Tale autovincolo è stato valorizzato dalla ricorrente quale sorta di stand still spontaneo.

Va, infatti, considerato che il comma 3 dell’articolo 30 del Cod. proc. amm. qualifica espressamente il termine in questione come un termine di decadenza: come tale, esso è, pertanto, disciplinato dagli articoli 2964 e ss. Cod. civ..

Orbene, trattandosi di materia (quella dell’attivazione delle azioni giudiziali) sottratta alla disponibilità delle parti (come dimostra la rilevabilità d’ufficio della irricevibilità del ricorso promosso avanti al Giudice amministrativo), la decadenza può essere impedita esclusivamente dall’esercizio del diritto (in questo caso, di difesa), senza possibilità di interruzione o sospensione della decorrenza del termine, nemmeno con il riconoscimento del diritto medesimo da parte del soggetto contro il quale viene esercitato.

AUTONOMA DOMANDA DI RISARCIMENTO DANNI

TAR LIGURIA SENTENZA 2015

Il codice del processo amministrativo ha sancito l’autonomia, sul piano processuale, della domanda di risarcimento rispetto all’azione impugnatoria.

L’art. 30 del codice prevede, infatti, che l’azione di condanna al risarcimento del danno puo' anche essere proposta in via autonoma, entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.

Il comma 3 del successivo art. 34 consente l’accertamento dell’illegittimita' a fini meramente risarcitori nel caso in cui la pronuncia di annullamento non risulti piu' utile per il ricorrente.

Fermo restando che, nell’impianto disegnato dal codice del processo amministrativo, risulta quindi venuta meno ogni pregiudizialita' di rito, le stesse disposizioni del codice valorizzano, sul piano sostanziale, l’omessa impugnazione del provvedimento lesivo quale fatto valutabile al fine di escludere la risarcibilita' dei danni che avrebbero potuto essere evitati attraverso la tempestiva impugnazione del provvedimento medesimo.

L’art. 30, comma 3, secondo periodo, del codice, infatti, stabilisce che, nel determinare il risarcimento, il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti.

Ha precisato l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, con la citata sentenza n. 3 del 2011, che tale disposizione, “pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarieta', ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. E tanto in una logica che vede l’omessa impugnazione non piu' come preclusione di rito, ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile. (…) Di qui la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell’omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilita' di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi”.

In tal senso, appare significativo anche il disposto dell’art. 243 bis del codice dei contratti pubblici che, nel disciplinare l’istituto dell’informativa in ordine all’intento di proporre ricorso giurisdizionale, stabilisce, al comma 5, che l’omissione della comunicazione di cui al comma 1, finalizzata alla stimolazione dell’autotutela, costituisce comportamento valutabile ai sensi dell’art. 1227 del codice civile.

In definitiva, secondo la Plenaria, il legislatore “ha mostrato di non condividere la tesi della pregiudizialita' pura di stampo processuale al pari di quella della totale autonomia dei due rimedi, approdando ad una soluzione che, non considerando l’omessa impugnazione quale sbarramento di rito, aprioristico ed astratto, valuta detta condotta come fatto concreto da apprezzare, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, per escludere il risarcimento dei danni evitabili per effetto del ricorso per l’annullamento”.

VIOLAZIONE NORME APPALTI PUBBLICI – RISARCIMENTO NON SUBORDINATO A RICONOSCIMENTO COLPA PA

TAR TOSCANA SENTENZA 2013

Non è (..) necessaria alcuna particolare indagine in ordine all'elemento soggettivo della responsabilita' civile della pubblica amministrazione; <<trattandosi di violazione della normativa sugli appalti pubblici da parte dell'Amministrazione, la conseguente concessione di un risarcimento danni non puo' essere (infatti) subordinata al riconoscimento del carattere colpevole della violazione della normativa sugli appalti pubblici commessa dall'amministrazione aggiudicatrice, tenuto conto della sentenza della Corte di Giustizia CE che ha statuito : "il tenore letterale degli artt. 1, n. 1, e 2, nn. 1, 5 e 6, nonche' del sesto 'considerando' della direttiva 89/665 non indica in alcun modo che la violazione delle norme sugli appalti pubblici atta a far sorgere un diritto al risarcimento a favore del soggetto leso debba presentare caratteristiche particolari, quale quella di essere connessa ad una colpa, comprovata o presunta, dell'amministrazione aggiudicatrice, oppure quella di non ricadere sotto alcuna causa di esonero di responsabilita'">> (Cons. Stato, sez. V, 16 gennaio 2013 n. 240; T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 5 febbraio 2013 n. 341; T.A.R. Lombardia, Brescia, sez. II, 5 giugno 2012 n. 1005; per la giurisprudenza della Corte di Giustizia, si veda, Corte Giust. CE, sez. III – 30 settembre 2010 in causa C314/2009).

Con riferimento alle poste risarcitorie richieste da parte ricorrente, la Sezione deve poi rilevare:

1) come il ricorrente non abbia provato la sussistenza di esborsi o perdite patrimoniali riportabili alla tipologia del cd. danno emergente e, come, in mancanza di detta prova, la sussistenza di detta "posta risarcitoria" non possa costituire oggetto di valutazione equitativa (Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2009 n. 3679; T.A.R. Campania, Napoli, sez. VIII, 19 dicembre 2012 n. 5254);

2) come, al contrario, la valutazione del cd. lucro cessante possa costituire oggetto di valutazione presuntiva e probabilistica, da quantificarsi nell'ormai tradizionale misura del 10% delle offerte presentate dal ricorrente nella procedura (in questo senso, tra le tante, Cons. Stato, sez. V, 12 giugno 2009 n. 3679; sez. VI, 13 gennaio 2012 n. 115; T.A.R. Lazio, Roma, sez. II, 4 gennaio 2013 n. 40);

3) come debba essere riconosciuta al ricorrente anche la spettanza dell'ulteriore posta costituita dal cd. <<danno curriculare determinato dall'impossibilita' di indicare l'incarico nel proprio curriculum, al fine di ottenere successivi incarichi professionali>> (T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, 1° febbraio 2013 n. 136; T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 28 novembre 2012 n. 9883) e come la liquidazione della detta posta possa essere effettuata utilizzando il criterio utilizzato in giurisprudenza e costituito dalla concessione al ricorrente di una somma ulteriore, equitativamente determinata nel 3% delle offerte presentate nella procedura.

MANCATA PROMOZIONE GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA - NEGATO IL RISARCIMENTO

TAR TOSCANA SENTENZA 2012

A fronte della preclusione della via risarcitoria il giudice d’appello indicava alle ricorrenti la via maestra della tutela reale, consistente nell’ottenimento dell’aggiudicazione della procedura. Le ricorrenti hanno posto in essere un atto di diffida a ridosso del deposito del dispositivo della sentenza, non risultando documentata ulteriore attivita' sollecitatoria e soprattutto non risultando che esse abbiano attivato il giudizio di ottemperanza dinanzi al Consiglio di Stato per ottenere, in via esecutiva, l’aggiudicazione. Si trattava di azionare uno strumento di tutela che avrebbe senz’altro consentito il soddisfacimento della loro pretesa escludendo il danno qui domandato. Cio' secondo quanto prevede il secondo periodo del comma terzo dell’art. 30 c.p.a. a mente del quale il giudice “esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti”. È vero che, anche in questo caso, si tratta di norma entrata in vigore dopo la proposizione del ricorso, ma l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, nella nota sentenza n. 3 del 2011, ha chiarito che la regola della non risarcibilita' dei danni evitabili con la diligente utilizzazione degli strumenti di tutela previsti dall’ordinamento, contenuta nell’art. 30 cit., è ricognitiva di principi gia' evincibili dall’art. 1227 del codice civile ed è quindi applicabile anche alle azioni risarcitorie proposte prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo. D’altra parte che la tutela risarcitoria, in ambito contrattuale, sia condizionata dal preliminare sforzo del concorrente di ottenere l’aggiudicazione risulta anche dalla disciplina di cui all’art. 124 del Codice.

In secondo luogo le ricorrenti non hanno in alcun modo provato che il loro mancato perseguimento della tutela conformativa in favore di quella risarcitoria sia legato ad un interesse non piu' sussistente alla esecuzione del rapporto negoziale, in forza dello stato della esecuzione del contratto stipulato dalla stazione appaltante con l’originario aggiudicatario.

ILLEGITTIMA AGGIUDICAZIONE - QUANTIFICAZIONE DEL RISARCIMENTO DANNI

TAR LAZIO SENTENZA 2012

“Si è affermato che, ai sensi dell'art. 1227 c.c., il danneggiato ha un puntuale dovere di non concorrere ad aggravare il danno, con la conseguenza che l'impresa non aggiudicataria, ancorche' proponga ricorso e possa ragionevolmente confidare di riuscire vittoriosa, non puo' immobilizzare i mezzi di impresa nelle more del giudizio (e nell'attesa dell'aggiudicazione in proprio favore), essendo invece ragionevole che, con l’ordinaria diligenza, si attivi per svolgere (o svolga) altre attivita'; con la conseguente ragionevolezza di una detrazione a tale titolo del risarcimento per il mancato utile (Cons. Stato, Sez. VI, 21 settembre 2010, n. 7004)” (Cons. Stato, sez. III, 12 maggio 2011 n. 2850).

La percentuale deve essere ridotta di un importo proporzionale equitativamente determinato corrispondente all’“aliunde perceptum”. Sicchè, con riferimento al periodo 11 settembre 2009-31 dicembre 2010, appare equo determinare la percentuale dovuta con riferimento al servizio mensa, ai sensi anche di quanto disposto dall’art. 30, comma 3, c.p.a. nel 10% del corrispettivo offerto dalla ricorrente per la prestazione dei tre pasti giornalieri (euro12,10) moltiplicato per il numero di pasti previsti nel bando.

Per il periodo successivo corrispondente alle due proroghe non annullate 1 gennaio – 31 marzo 2010, in ragione di quanto sin qui esposto, tale valore cosi' determinato va ridotto del 50%, spettando il risarcimento del danno per la perdita di “chance” al conseguimento all’utile che avrebbe potuto ottenere nel caso in cui, nella qualita' di aggiudicatario, avrebbe ottenuto la proroga del servizio.

Per il periodo successivo - dal 1° aprile 2010 al 27 maggio 2011 e dal 28 maggio 2011 al 31 dicembre 2011 spettera', altresi', il risarcimento del danno da perdita di “chance” che puo' essere determinato sulla base dell’utile come sopra individuato, diviso quattro, che corrisponde al numero di imprese che avevano originariamente risposto alla lettera di invito.

Con riferimento al risarcimento per il danno da mancata aggiudicazione della gestione del bar, con riguardo al primo periodo 11 settembre 2009 - 31 dicembre 2009 non puo' che farsi riferimento al criterio standard del 10% del fatturato, detraendo da tale percentuale un valore equitativamente determinato del 5% per quanto “aliunde perceptum”. Per quanto concerne la perdita di “chance” derivante dalla mancata possibilita' di usufruire della proroga, nel periodo 1 gennaio 2010-31 marzo 2010, suddetto valore deve essere abbattuto del 50%.

Spetta poi il 2,5% del fatturato per quanto concerne il risarcimento del danno da perdita di “chance” in relazione alla esclusione della possibilita' di partecipazione alla gara in relazione al periodo successivo 1 aprile 2010 - 27 maggio 2011.

DOMANDA RISARCIMENTO DEL DANNO - AUTONOMIA PROCESSUALE RISPETTO AL RIMEDIO IMPUGNATORIO - CONNESSIONE SOSTANZIALE DI TIPO CAUSALE - POSSIBILE LIMITAZIONE DEL RISARCIMENTO

TAR LAZIO SENTENZA 2011

A fronte di una azione volta esclusivamente all’accertamento del diritto al risarcimento del danno cagionato dall’azione asseritamente illegittima dell’amministrazione, senza che sia stato tempestivamente chiesto anche l’annullamento dell’atto produttivo di danno, l'art. 30 del codice del processo amministrativo ha previsto che l'azione di condanna al risarcimento del danno puo' essere proposta in via autonoma (comma 1) entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo (comma 3, primo periodo).

Come ha osservato la citata Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 23 marzo 2011 n. 3, la norma citata, da leggere in combinazione con il disposto del comma 4 dell'art. 7 - il cui inciso finale prevede la possibilita' che le domande risarcitorie aventi ad oggetto il danno da lesione di interessi legittimi e di altri diritti patrimoniali consequenziali siano introdotte in via autonoma - sancisce, dunque, l'autonomia, sul versante processuale, della domanda di risarcimento rispetto al rimedio impugnatorio.

Seguendo il condivisibile avviso interpretativo della citata Plenaria, deve poi essere osservato che il codice, pur negando la sussistenza di una pregiudizialita' di rito, “ha mostrato di apprezzare, sul versante sostanziale, la rilevanza eziologica dell'omessa impugnazione come fatto valutabile al fine di escludere la risarcibilita' dei danni che, secondo un giudizio causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempestiva reazione processuale nei confronti del provvedimento potenzialmente dannoso”.

In altri termini, emerge dal codice del processo amministrativo la regola secondo cui la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalita' civile imperniato sulla probabilita' relativa recide, in tutto o in parte, il nesso causale che, ai sensi dell'art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili

Ancora la citata Plenaria esclude ogni violazione del canone della buona fede “laddove la decisione di non fare leva sullo strumento impugnatorio sia frutto di un'opzione discrezionale ragionevole e non sindacabile in quanto l'interesse all'annullamento oggettivamente non esista, sia venuto meno e, in generale, non sia adeguatamente suscettibile di soddisfazione. Si consideri, a titolo esemplificativo, l'ipotesi in cui il provvedimento sia stato immediatamente eseguito producendo una modificazione di fatto irreversibile; o quella in cui i tempi tecnici del processo non consentano, ragionevolmente, di praticare, in modo efficiente, il rimedio della tutela ripristinatoria; o, ancora, le situazioni in cui, per effetto di specifica previsione di legge (cfr. l'art. 246, comma 4, del codice dei contratti pubblici, da ultimo confluito nell'art. 125, comma 3, del codice del processo amministrativo), il mezzo dell'annullamento non possa soddisfare, in termini reali, l'aspirazione al conseguimento del bene della vita desiderato. Dette evenienze, ostative al soddisfacimento in natura della posizione azionata, possono maturare nel corso del giudizio in guisa da produrre la concentrazione in itinere della domanda sul solo profilo del risarcimento sulla base della regola giurisprudenziale prima ricordata, oggi canonizzata dall'art. 34, comma 3, del codice del processo amministrativo”.

La condotta di parte ricorrente, con specifico riferimento alla omessa tempestiva impugnazione degli atti di gara, non potra' dunque essere valutata ai fini della esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza.

Deve, infatti, innanzitutto essere rilevato che la ricorrente ha sia diffidato la stazione appaltante dal procedere all’affidamento del servizio all’aggiudicataria che notificato alla stessa informativa ex art. 243 del Codice degli appalti, in entrambi i casi rappresentando all’amministrazione le ragioni della ritenuta illegittimita' della sua condotta. Cosi' come deve pure rilevarsi che il servizio di che trattasi andava realizzato in un periodo per cui se tempestiva era la diffida inoltrata dalla ricorrente, verosimilmente la proposizione di tempestiva impugnativa intesa all’annullamento degli atti di gara rischiava di non essere di alcuna utilita' sul piano del conseguimento di un risarcimento in forma specifica.

RISARCIMENTO DEL DANNO - CONNESSIONE SOSTANZIALE DI TIPO CAUSALE TRA RIMEDIO IMPUGNATORIO ED AZIONE RISARCITORIA - POSSIBILE LIMITAZIONE DEL RISARCIMENTO

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2011

Nell’ambito di un giudizio risarcitorio relativo alla liceita' dell’agere amministrativo, l’omessa impugnazione del provvedimento non puo' essere adeguatamente affrontata in termini processuali come condizione di ammissibilita' della domanda per via dell’estensione analogica di un termine decadenziale previsto per l’impugnazione, termine per sua natura eccezionale e, quindi, sottoposto al rispetto di un canone di stretta interpretazione. Di tanto è consapevole lo stesso legislatore che, proprio nell’assunto della non estensibilita' del termine decadenziale che governa il rimedio impugnatorio ad una domanda che ha un diverso oggetto e mira a produrre un diverso effetto, ha previsto, per il futuro, un autonomo termine decadenziale per l’actio damni proposta a tutela di interessi legittimi, pari a centoventi giorni, a fronte del temine di prescrizione quinquennale sancito, in via generale, per i fatti illeciti, dall’art. 2947 c.c.

Va, peraltro, osservato che il codice, pur negando la sussistenza di una pregiudizialita' di rito, ha mostrato di apprezzare, sul versante sostanziale, la rilevanza eziologica dell’omessa impugnazione come fatto valutabile al fine di escludere la risarcibilita' dei danni che, secondo un giudizio causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempestiva reazione processuale nei confronti del provvedimento potenzialmente dannoso.

L'art. 30, comma 3, del codice dispone, infatti, al secondo periodo, stabilisce che, nel determinare il risarcimento, "il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti".

La disposizione, pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarieta', ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. E tanto in una logica che vede l'omessa impugnazione non piu' come preclusione di rito ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile.

Si deve allora ritenere che la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo possa essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell’ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno (in questo senso, Cons. Stato, sez. VI, 24 settembre 2010, n. 7124; sez. VI, 22 ottobre 2008 , n. 5183; sez. V, 31 dicembre 2007, n. 6908; sez. IV 3 maggio 2005, n. 2136) .

Si deve, infatti, considerare che il ricorso per annullamento finalizzato a rimuovere la fonte del danno, pur non essendo piu' l’unica tutela esperibile, è il mezzo di cui l’ordinamento giuridico processuale dota i soggetti lesi da un provvedimento illegittimo proprio per evitare che quest’ultimo produca conseguenze dannose. Ne deriva che l’utilizzo del rimedio appropriato coniato dal legislatore proprio al fine di raggiungere gli obiettivi della tutela specifica delle posizioni incise e della prevenzione del danno possibile, costituisce, in linea di principio, condotta esigibile alla luce del dovere di solidale cooperazione di cui alla norma civilistica in esame.

Nella specie assume un ruolo decisivo la considerazione, di tipo comparativo, che la tecnica di tutela non praticata, quella di annullamento, se si eccettua il profilo del termine decadenziale, non implica costi ed impegno superiori a quelli richiesti per la tecnica di tutela risarcitoria, ed anzi si presenta piu' semplice e meno aleatoria nella misura in cui richiede il solo riscontro della presenza di un vizio di legittimita' invalidante senza postulare la dimostrazione degli altri elementi invece necessari a fini risarcitori, quali l’elemento soggettivo, il duplice nesso eziologico nonche' l’esistenza e la consistenza del danno risarcibile in base ai parametri di cui agli artt.1223 e seguenti del codice civile.

Si deve allora reputare che la scelta di non avvalersi della forma di tutela specifica e non (comparativamente) complessa che, grazie anche alle misure cautelari previste dall’ordinamento processuale, avrebbe plausibilmente (ossia piu' probabilmente che non) evitato, in tutto o in parte il danno, integra violazione dell’obbligo di cooperazione, che spezza il nesso causale e, per l’effetto, impedisce il risarcimento del danno evitabile. Detta omissione, apprezzata congiuntamente alla successiva proposizione di una domanda tesa al risarcimento di un danno che la tempestiva azione di annullamento avrebbe scongiurato, rende configurabile un comportamento complessivo di tipo opportunistico che viola il canone della buona fede e, quindi, in forza del principio di auto-responsabilita' cristallizzato dall’art. 1227, comma 2, c.c., implica la non risarcibilita' del danno evitabile.

Va aggiunto che la latitudine del generale riferimento ai mezzi di tutela e al comportamento complessivo consente di soppesare l’ipotetica incidenza eziologica non solo della mancata impugnazione del provvedimento dannoso ma anche dell’omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali la via dei ricorsi amministrativi e l’assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell’ autotutela amministrativa (cd. invito all’autotutela).

L’Adunanza Plenaria, consapevole dell’inapplicabilita' delle norme del codice, entrato in vigore il 16 settembre 2010, ad una fattispecie ed ad un giudizio risalenti ad epoca anteriore, reputa, tuttavia, che la disciplina ora analizzata, nella parte che rileva ai fini della risoluzione della presente controversia, pervenga ad una soluzione convincente delle divergenze interpretative, estensibile a situazioni anteriori in quanto ricognitiva di principi evincibili dal sistema normativo antecedente all’entrata in vigore del codice.

Reputa, infatti, questo Consiglio che entrambi i principi affermati dal d.lgs. n. 104 del 2010 – quello dell’assenza di una stretta pregiudiziale processuale e quello dell’operativita' di una connessione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria – fossero ricavabili anche dal quadro normativo vigente prima dell’entrata in vigore del codice.