Interdittiva Antimafia

SUFFICIENTE UN DIPENDENTE “INFILTRATO”.

Consiglio di Stato, sez. III, 14.09.2018 n. 5410

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INTERDITTIVA ANTIMAFIA: SUFFICIENTE UN DIPENDENTE “INFILTRATO”.

nota a cura del Avv. Fortunato Picerno

Consiglio di Stato, sez. III, 14.09.2018 n. 5410

Il Consiglio di Stato, con la sentenza in oggetto, ha affermato che il condizionamento mafioso può derivare anche dalla presenza nell’organico societario di soggetti che, pur non svolgendo ruoli apicali ma rivestendo la qualifica di meri dipendenti, siano degli “infiltrati” di cui l’organizzazione criminale mafiosa si serve per controllare o guidare l’impresa dall’esterno.

La decisione è stata presa in aderenza a taluni principi espressi anteriormente, in materia di interdittiva antimafia, dalla stessa sezione del Consiglio di Stato. Al riguardo, infatti, già in una pronuncia precedente[1] era stato chiarito che l’interdittiva antimafia è un provvedimento la cui erogazione risponde alla ratio di salvaguardare l’ordine pubblico economico, la libera concorrenza tra le imprese e il buon andamento della pubblica Amministrazione. Per tale ragione è conferito al Prefetto il potere di escludere un imprenditore da una procedura di gara pur essendo quest’ultimo dotato di adeguati mezzi economici e di una adeguata organizzazione.  La valutazione che compie il Prefetto nel disporre la misura deve essere fondata, infatti, a parere dei giudici, sul complesso degli elementi concreti emersi nel corso del procedimento: una visione “parcellizzata”[2] di un singolo elemento non può, invece, che far perdere la propria rilevanza nel legame sistematico con gli altri. Del resto, chiarisce la Terza Sezione del Consiglio di Stato, l’interdittiva antimafia non è un provvedimento sanzionatorio, e non rilevano i principi penalistici della certezza probatoria raggiunta al di là del ragionevole dubbio. L’informativa, in effetti, ha una finalità anticipatoria che è quella di prevenire un grave pericolo e non già quella di punire una condotta penalmente rilevante. E’ per questa ragione, pertanto, che gli elementi posti a base dell’informativa possono non costituire oggetto di procedimenti o di processi penali o, al contrario, possono essere già stati oggetto del giudizio penale, con esito di proscioglimento o di assoluzione.

Ai principi enunciati, che la Terza Sezione del Consiglio di Stato aveva già adottato in precedenza, se ne aggiungono altri costantemente utilizzati dalla giurisprudenza amministrativa[3] riguardo la valutazione del pericolo di infiltrazioni mafiose, di competenza, come si è detto, del Prefetto. Valutazione che, nello specifico, è caratterizzata dall’utilizzo di peculiari tecniche di investigazione che escludono la possibilità al giudice amministrativo di sostituirvi la propria, ma non gli impedisce, tuttavia, di rilevare se quanto sostenuto dal Prefetto configura la fattispecie prevista dalla legge e se il giudizio formulato dallo stesso sia logico e congruo. Di conseguenza la valutazione fatta dal Prefetto relativamente al tentativo di infiltrazione mafiosa necessita di un giudizio sindacabile in sede giurisdizionale solo per la sua manifesta illogicità, irragionevolezza e travisamento dei fatti, mentre il sindacato del giudice amministrativo non potrà estendersi all’accertamento dei fatti, anche di rilievo penale, posti a base del provvedimento[4].

In adesione ai principi richiamati, i giudizi della Terza Sezione del Consiglio di Stato, nella pronuncia in oggetto, hanno concluso che le imprese possono “liberamente effettuare le assunzioni quando non intendono avere rapporto con le pubbliche amministrazioni: ove intendano avere, invece, tali rapporti devono vigilare affinché nella loro organizzazione non vi siano dipendenti contigui al mondo della criminalità organizzata”.

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[1] Cons. St., Sez. III, 3 maggio 2016, n. 1743.

[2] Consiglio di Stato, sez. III, 14.09.2018 n. 5410

[3] Cons. St. n. 5130/2011; Cons. St. n. 2783/2004; Cons. St. n. 4135/2006.

[4] Cons. St. n. 4724/2001.