Articolo 176. Oggetto e ambito di applicazione.

1. La presente Parte disciplina le procedure di aggiudicazione dei contratti di concessione indette da enti concedenti e la relativa esecuzione.

2. Alle concessioni di servizi economici d’interesse generale si applicano le norme della presente Parte, ferme restando le specifiche esclusioni previste dal codice. Per i profili non disciplinati si applica il decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201, nonché le altre norme speciali di settore.

EFFICACE DAL: 1° luglio 2023

Relazione

RELAZIONE In base al disposto del comma 1, la Parte II disciplina le procedure di aggiudicazione dei contratti di concessione indette da enti concedenti e la relativa esecuzione. Il comma 2 precisa ...

Commento

NOVITA’ • Viene fatto un rinvio al decreto legislativo 23 dicembre 2022, n. 201 per tutti i profili inerenti la regolazione dei servizi economici d’interesse generale. CONSIGLI UTILI PER SA Per tu...
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Giurisprudenza e Prassi

CONCESSIONI DI SERVIZI - OBBLIGO RISPETTO DELLA GARA PUBBLICA

CONSIGLIO DI STATO SENTENZA 2024

La questione fondamentale sollevata (o. meglio, riproposta) dall’appellante si riassume nello stabilire se il servizio di cremazione svolto da S. Torino fin dal 1886 avesse, o non, natura di servizio pubblico locale esercitato su concessione del Comune, tramite impianti di proprietà della società.

Il T.a.r. ha rammentato come nelle leggi di inizio del secolo scorso che hanno disciplinato la cosiddetta municipalizzazione dei servizi pubblici locali (disposta in particolare con la legge 29 marzo 1903, n. 103, legge Giolitti; e poi con il successivo testo unico sull’assunzione diretta dei pubblici servizi dei comuni, di cui al regio decreto 15 ottobre 1925, n. 2578) non fosse espressamente contemplato il servizio di cremazione; il quale tuttavia era preso in considerazione da altre norme sia di livello legislativo che regolamentare, essenzialmente a fini di igiene e sanità pubblica.

Peraltro, il problema di qualificazione del servizio - già all’inizio del secolo e anche prima della legislazione sopra richiamata – si presentava non con riferimento alle ipotesi in cui una norma di fonte primaria qualificava espressamente l’attività come servizio pubblico, obbligando altresì i comuni a procedere alla sua assunzione e al suo concreto svolgimento, ipotesi che non suscitava particolari questioni di qualificazione (se non sotto il profilo della individuazione delle forme giuridiche e organizzative mediante le quali i comuni dovevano attuare il servizio). La questione si prospettava, invece, soprattutto con riguardo alla facoltà dei comuni di assumere, fra i loro compiti, anche attività non comprese tra quelle che il legislatore (si pensi all’elenco di cui all’art. 1 della legge Giolitti, riproposto come art. 1 del testo unico del 1925) individuava quali servizi pubblici locali.

In ogni caso veniva sottolineato come si trattava di un elenco a carattere esemplificativo e non tassativo, che consentiva ai comuni di estendere il catalogo dei servizi pubblici anche ad attività non comprese tra i servizi obbligatori o tra quelli elencati dal legislatore.

In tale contesto, la qualificazione del servizio di cremazione svolto da Socrem Torino come servizio pubblico locale fin dalla originaria deliberazione consiliare del 14 ottobre 1886 non è ostacolata dalla circostanza che all’epoca non esisteva una norma di fonte primaria che lo considerasse in tali termini. Occorre invece procedere attraverso l‘esame della concreta disciplina dettata per il rapporto instaurato (con la citata deliberazione) tra il Comune di Torino e Socrem, da cui si evince che il Comune, fin dal primo atto del 1886, ha previsto la concessione alla società della «facoltà di erigere nei terreni compresi nel perimetro del Camposanto e designati nell’unita planimetria, il Tempio crematorio ed i locali per la conservazione delle ceneri», riservandosi espressamente il potere di revoca della concessione e di cessazione del rapporto (in particolare se «per qualsiasi motivo venga a cessare al Cimitero l’attuale sua destinazione»).

Come già riferito, inoltre, nel 1978 il Comune decise di estendere gli impianti concedendo a Socrem un’area di altri 3380 metri quadri presso il Cimitero monumentale, realizzati a spese della società.

Ma al di là delle successive vicende del rapporto ciò che appare essenziale al fine di dare una soluzione alla controversia in esame è l’accertata natura di servizio pubblico locale del servizio di cremazione svolto da Socrem, in base alla concessione rilasciata fin dal 1886 dal Comune di Torino.

Il che comporta l’assoggettamento (anche) alle successive modifiche legislative che hanno inserito il servizio tra quelli di rilevanza economica e a domanda individuale e lo hanno normativamente incluso tra i servizi pubblici locali (art. 6, comma 2, della legge 30 marzo 2001, n. 130: «La gestione dei crematori spetta ai comuni, che la esercitano attraverso una delle forme previste dall'articolo 113 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, approvato con decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267»); e (con le previsioni di cui all’art. 34, commi 20 e 21, del decreto-legge n. 179 del 2012 e dell’art. 13 del decreto-legge n. 150 del 2011, citati) hanno imposto che per i servizi affidati a terzi senza gara – previa l’eventuale applicazione della norma di cessazione ex lege degli affidamenti diretti - l’amministrazione proceda all’affidamento mediante l’indizione di una gara a evidenza pubblica (salvo il pagamento del valore residuo degli impianti di proprietà del concessionario, come del resto deciso dal Comune di Torino che – come già segnalato – ha avviato un procedimento connesso diretto a determinare l’importo da riconoscere a Socrem).

Ne deriva come ulteriore conseguenza che la revoca delle concessioni demaniali disposta dal Comune con la deliberazione del 2014, impugnata in primo grado, assume connotati peculiari perché, come correttamente affermato dal T.a.r., la decisione – nel quadro normativo sopra sinteticamente descritto – non poteva avere un contenuto diverso da quello deliberato, la revoca imponendosi al fine di procedere all’affidamento del servizio tramite gara; con la conseguente dequotazione della omessa comunicazione di avvio del procedimento, e della violazione dell’art. 7 della legge n. 241 del 1990, al rango di vizio non invalidante, il quale – pur esistente – impedisce l’annullamento giurisdizionale del provvedimento ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990 (anche quando il potere esercitato ha, in astratto, natura discrezionale).

In conclusione, i motivi fin qui esaminati sono, sotto ogni profilo, infondati.